Roland Garros
Roland Garros: dove il rosso si tinge d’azzurro
Ripercorriamo i migliori risultati dei tennisti italiani al Roland Garros, dalle vittorie di Pietrangeli e Panatta, al meraviglioso successo della Schiavone, dalle finali di De Stefani, della stessa Schiavone e di Sara Errani, passando per i risultati di prestigio di Sirola, Merlo, Barazzutti, Bertolucci, Furlan, Gaudenzi e Fognini fra gli uomini e della Bossi e della Lazzarino tra le donne

Fare un excursus sui migliori risultati del tennis italiano all’Open di Francia significa ripercorrere i successi azzurri nel torneo del Grande Slam che più ci ha regalato soddisfazioni, basti ricordare che è l’unico che abbiamo vinto, due volte consecutive con Nicola Pietrangeli nel 1959 e nel 1960, una con Adriano Panatta nel 1976 e una volta in campo femminile grazie a Francesca Schiavone, nel 2010.
Procedendo in ordine cronologico, il primo tennista di casa nostra a far parlare di sé fu Giorgio De Stefani, che nel 1932 raggiunse la finale, persa contro Henri Cochet, uno dei quattro moschettieri, in quattro set (6-0 6-4 4-6 6-3). Il tennista veronese, noto per non giocare il rovescio (quando doveva colpire la palla alla sua destra, lui che era un mancino naturale, passava in un istante la racchetta dalla mano sinistra a quella destra), aveva raggiunto i quarti l’anno precedente (1931) e centrò anche la semifinale del 1934.
Nel Dopoguerra, si spinge fino alle semifinali nel 1955 e nel 1956 Beppe Merlo, grande protagonista del tennis italiano dell’epoca assieme a Nicola Petrangeli, Fausto Gardini (che raggiunse i quarti di finale nel 1953) e Orlando Sirola. Merlo venne sconfitto nel 1955 dallo svedese Sven Davidson e l’anno successivo dal futuro vincitore del torneo, l’australiano Lew Hoad.
Arriviamo così alla leggenda vivente del tennis italiano, Nicola Pietrangeli, vincitore a Parigi in due edizioni consecutive, nel 1959 superando in finale il sudafricano Ian Vermaak e nel 1960 battendo all’atto conclusivo il cileno Luis Ayala (che l’anno prima aveva vinto gli Internazionali d’Italia). Il 1960 fu un anno magico per gli italiani a Parigi: i cugini d’oltralpe dovettero spellarsi le mani dividendo gli applausi tra il vincitore Pietrangeli e il semifinalista Orlando Sirola, sconfitto proprio da quell’Ayala che cedette in finale a Pietrangeli. Il grande Nicola fu capace di raggiungere la finale anche l’anno successivo (1961), quando però perse da Manolo Santana (sciupando un vantaggio di due set a uno: 4-6 6-1 3-6 6-0 6-2), esattamente come accadde nella finale del 1964, con lo spagnolo vincitore in 4 set (6-3 6-1 4-6 7-5). Nel 1959, oltre al torneo di singolare, Pietrangeli si aggiudicò il doppio in coppia con Orlando Sirola, ottenendo gli scalpi di due grandissimi come gli australiani Roy Emerson e Neale Fraser (sconfitti 6-3, 6-2, 14-12), che in coppia di doppio hanno vinto insieme tutti e quattro i tornei del Grande Slam. Se non fosse che i due azzurri, oltre che grandi amici, sono stati la coppia di doppio migliore e più titolata del tennis italiano (e quella vittoria contro i giganti australiani fu la prima di una coppia italiana in uno Slam), si potrebbe quasi dire che la vittoria nel doppio del 1959 arrivò perché Pietrangeli, che non ha mai amato lasciare le cose a metà, voleva chiudere il trittico di tutto quello che poteva vincere sui campi intitolati all’aviatore francese Roland Garros, dato che l’anno prima aveva trionfato nel doppio misto assieme alla britannica Shirley Bloomer Brasher. Nascerà mai in Italia, da oggi alla fine dei tempi, un altro tennista del genere?
Per poter gioire di nuovo, gli italiani devono attendere l’inizio dell’Era Open (il Roland Garros apre le porte ai professionisti nel 1968) e Adriano Panatta, che nel 1976, dopo aver salvato un match point al primo turno contro il cecoslovacco Pavel Hutka (battuto dopo una strenua lotta 12-10 al quinto) solleva la coppa dei moschettieri dopo aver superato in finale col punteggio di 6–1 6–4 4–6 7–6 l’americano Harold Solomon, giustiziere di Guillermo Vilas, ma soprattutto dopo aver battuto Bjorn Borg ai quarti di finale (per 6–3 6–3 2–6 7–6), vincitore delle due edizioni precedenti. Adriano è stato l’unico tennista in assoluto capace di sconfiggere Borg a Parigi (impresa riuscitagli anche nel 1973 agli ottavi di finale). “È stato tremendo, quando eseguiva il movimento per colpire la palla non riuscivo mai a intuire dove l’avrebbe tirata”, dirà poi lo svedese, sorpreso dalla sconfitta, prima di trionfare di nuovo altre quattro volte di fila dal 1978 al 1981. Da sottolineare anche i quarti di finale raggiunti nel 1972 (eliminando Ilie Nastase al secondo turno) e nel 1977 e le semifinali del 1973 (sconfitto dal croato Nikola Pilic) e del 1975 (quando perse da Borg dopo aver eliminato ancora una volta Nastase, allora n.6 del mondo, al terzo turno).
In evidenza anche il quarto di finale raggiunto da Paolo Bertolucci nel 1973, sconfitto in quattro set da Nikola Pilic ma capace di superare Arthur Ashe agli ottavi per 7-6 6-3 6-4, così come non possono essere dimenticate la semifinale del 1978 e i quarti del 1980 di Corrado Barazzutti, in entrambe le circostanze eliminato in tre rapidi set da un ingiocabile Borg. Inarrivabile l’ironia con cui l’attuale capitano di Coppa Davis e Fed Cup accettò la sconfitta – per non dire demolizione – del 1978 per 6-0 6-1 6-0: quando i due si strinsero la mano a rete alla fine del match, Corrado sussurrò all’orecchio del Cristo Nordico le testuali parole: “Grazie per avermi fatto fare un game”.
Negli anni Novanta, giusto ricordare gli ottavi di finale raggiunti da Andrea Gaudenzi nel 1994 (dopo aver lottato cinque set per eliminare al primo turno Petr Korda) contro Goran Ivanisevic in un match che il faentino giocò benissimo, sebbene alla fine dovette arrendersi in 4 set (6-2, 5-7, 6-4, 6-3) alla superiorità del campione croato. Quel match è da ricordare anche perché Gaudenzi si rese protagonista di un simpatico episodio, quando ad un certo punto, dopo aver vinto uno scambio e con esso il game, il giudice di sedia approfittò del break per assentarsi per una sosta fisiologica. Andrea, eroe in Coppa Davis ma meno protagonista nel circuito ATP (sebbene capace di issarsi al n.18 del mondo nella prima parte della stagione 1995), fece per una volta lui la parte dell’istrione contro uno show-man come Ivanisevic: approfittando dell’assenza dell’arbitro, salì sul suo seggiolone e recitò impassibile: “Jeu, set et match Gaudenzi”, tra le risate generali del pubblico e dello stesso Ivanisevic.
Nel 1995, riesce a fare anche meglio Renzo Furlan, che sorprende tutti centrando un risultato di grande rilievo, i quarti di finale, dove è costretto ad arrestare la sua bellissima cavalcata davanti a un fortissimo Sergi Bruguera, vincitore delle due edizioni precedenti.
Degli anni 2000, da ricordare i cinque bellissimi set, in quattro ore e mezza di partita, giocati al terzo turno del Roland Garros 2004 da Potito Starace contro Marat Safin, nel match in cui il napoletano, n.202 del mondo e proveniente dalle qualificazioni, si fece conoscere a livello internazionale. Il match terminò 6-7(4), 6-4, 3-6, 7-5, 7-5 per il russo, allora n.20 ATP, con l’azzurro che ebbe due match point nel quarto set. Sul secondo il giudice di linea chiamò un incredibile fallo di piede a Potito e, poco dopo, Safin chiese in modo sospetto il medical time-out per una vescica alla mano. L’italiano non cedette e sul 6-5 Safin del quinto set annullò cinque match point prima di arrendersi, col pubblico francese che gridava “Potitò, Potitò, Potitò”.
Nel 2011 Fabio Fognini centra il grande risultato dei quarti di finale dopo una battaglia infinita contro Albert Montanes, piegato 11-9 al quinto e rimontando da due set a uno (4-6 6-4 3-6 6-3 11-9), al termine di una sfida di nervi e crampi. Quella battaglia così feroce costrinse Fabio a rinunciare a scendere in campo nei quarti contro Djokovic, negando di fatto al serbo la possibilità di superare il record eguagliato di 43 vittorie consecutive di McEnroe, dato che poi Novak avrebbe perso la semifinale contro Federer.
Nel 2012 poi toccò ad Andreas Seppi sfiorare la grande sorpresa quando, agli ottavi di finale, era avanti due set a zero contro il n.1 del mondo Novak Djokovic, che cercava la vittoria nell’unico Slam che gli mancava (e, almeno per il momento, gli manca ancora). Dal terzo set la musica cambiò e il serbo alla fine s’impose per 4-6, 6-7 (5), 6-3, 7-5, 6-3.
In ambito femminile, i migliori risultati erano le semifinali di Annalisa Bossi nel 1949 e di Silvana Lazzarino nel 1954, prima dell’indimenticabile Roland Garros 2010, quando si realizza il successo più inatteso: Francesca Schiavone vince il titolo battendo in finale l’australiana Samatha Stosur. La Leonessa inizia il torneo da n.17 del mondo, supera al terzo turno la n.11 Na Li e ai quarti Caroline Wozniacki, allora n.3 del ranking WTA. In semifinale si trova davanti Elena Dementieva, in un match tiratissimo in cui l’azzurra vince il primo set al tie-break per 7-3, poi quasi sta svenendo quando la russa le si palesa davanti per comunicarle il ritiro, a causa di uno strappo al polpaccio sinistro. In finale, come detto, Samatha Stosur, giustiziera di Serena Williams. Francesca gioca una finale da urlo, alternando aperture del campo col suo meraviglioso rovescio a una mano e discese a rete chiuse con volee al bacio per spezzare il ritmo della Stosur, ben più potente di lei e dunque superabile solo con un gioco molto vario, in grado di negarle punti di riferimento e possibilità di concentrarsi su qualche tallone d’Achille della milanese. Ma la chiave per vincere la finale fu giocare insistentemente sul rovescio dell’australiana, mandandola letteralmente al manicomio: Samantha pur di colpire di diritto si spostava aggirando la pallina ma finiva per steccare spesso mandando le palle in tribuna. Alla fine Francesca trionfa 6-4 7-6 (2) tra gli applausi del pubblico del Philippe Chatrier.
Rino Tommasi disse la sua, come al solito con molta franchezza e senza giri di parole, sul successo parigino del 2010, il primo e finora unico Slam in campo femminile raggiunto da una tennista italiana: “La Schiavone ha avuto la fortuna di un tabellone non impossibile, ma lei è stata bravissima a sfruttare al meglio questa occasione, senza sbagliare niente”. Di solito, quando nel corso del torneo realizzi passo dopo passo, anche assistendo a eliminazioni eccellenti che aumentano le tue probabilità, che puoi davvero farcela, che quello che era il tuo sogno fin da bambina può davvero diventare realtà quando forse nemmeno tu ormai ci credevi ancora, ecco che sulle tue spalle si carica una pressione mastodontica. “Francesca, se non ora quando?” è la domanda che tu per prima rivolgi a te stessa ma che, inevitabilmente, avverti che ti arriva anche da tutto l’ambiente intorno a te, dai tuoi cari al tuo entourage, alla Federazione fino all’intera Italia del tennis e anche di chi il tennis lo segue sì e no una volta l’anno. Non a caso la finale contro la Stosur, in via del tutto eccezionale, venne all’ultimo momento acquisita dalla Rai e trasmessa anche su RaiDue, perché non poteva esserci nemmeno un solo italiano che, volendo vedere la partita, non potesse farlo perché privo del segnale satellitare di Eurosport (a proposito, grazie mamma Rai, ma se il tennis lo prendessi in considerazione qualche volta di più non sarebbe una cosa così inopportuna…)
Ma la pressione, quell’anno, la Schiavone se la mangiava a colazione. Si capiva la sua voglia di vincere. In un’intervista di qualche mese dopo raccontò che, nel prepararsi in albergo la mattina della finale, si era minuziosamente curata le unghie perché voleva a tutti i costi la vittoria e doveva essere perfetta al momento di alzare il trofeo. Le mani che sostenevano la coppa dovevano essere all’altezza del trofeo. Presunzione? Niente affatto. Solo grande fiducia, sicurezza di sé, voglia di vincere, determinazione feroce e consapevolezza nei propri mezzi.
Francesca, la sera di quel meraviglioso sabato di sport azzurro, dopo essere stata raggiunta telefonicamente dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per i complimenti, era a cena in un ristorante del centro di Parigi a celebrare il successo. Raggiunta dalle telecamere, ringraziò a suo modo chi l’aveva aiutata in quell’impresa impensabile ad inizio torneo: “Grazie ai miei genitori, grazie al mio staff, allenatore, preparatore atletico, […], grazie alle ragazze della nazionale di FedCup che mi hanno sempre sostenuta, grazie a Corrado (Barazzutti, ndr), grazie ai tifosi in campo e a quelli che mi hanno seguita dall’Italia, senza tutte queste persone non ce l’avrei mai fatta, il successo è anche vostro… ma la Coppa è miaaaaa!” Coup de theatre: quella che sembrava una sentita, doverosa ma un po’ piatta dichiarazione di ringraziamento si trasforma di colpo in una rivendicazione personale, solo apparentemente contraddittoria. Il significato è chiaro: “Senza di voi ora non sarei qui, ma la fatica in allenamento e in campo, la voglia di arrivare a tutti i costi, tra rinunce e sacrifici, è stata mia, e allora è giusto partire da tutti voi ma rivendicare il mio successo personale”. Alzi la mano chi ha il coraggio di darle torto, grazie Francesca!
L’anno dopo, 2011, la Schiavone compie l’impresa di raggiungere di nuovo la finale, a dimostrazione del fatto che la vittoria del torneo dell’anno prima non era affatto arrivata per caso. Il match è contro Na Li, che aveva eliminato in semifinale niente meno che Maria Sharapova. Dopo la straordinaria rimonta nei quarti contro Anastasija Pavljucenkova (sotto 1-6 1-4 Francesca si trasforma e finisce col vincere 1-6 7-5 7-5, tra le ovazioni del pubblico e la gioia degli italiani presenti sugli spalti) e la grande semifinale giocata dall’azzurra contro Marion Bartoli, superata senza affanni 6-3 6-3, tutto lascia sperare in un bis della Schiavone da consegnare alla Storia. La milanese però è un po’ contratta e la cinese non sbaglia nulla, impressionando per il gioco messo in campo. Anche lei non è lì per caso, lo si capisce subito. Vinto il primo set, la partita sembra destinata a un rapido epilogo, con la regolarità della cinese capace d’impedire la varietà di colpi e la fantasia della Schiavone, quando la Leonessa ha un sussulto d’orgoglio e sale di livello proprio mentre la Li non sembra essere più infallibile. Sul 6-4 5-6 vantaggio pari, un rovescio della cinese non raggiunto dall’italiana viene correttamente chiamato fuori dal giudice di linea, ma quello di sedia, la svedese Louise Engzell, corregge la chiamata, giudicando erroneamente la palla in campo. Così sfuma ingiustamente l’opportunità di avere una palla set e poi la cinese domina chiudendo il tie-break per 7 punti a 0. La Schiavone, in conferenza stampa, ammette sportivamente che “non è una singola palla, per quanto importante, a decidere un match”, aggiungendo i complimenti all’avversaria.
Il feeling del tennis femminile contemporaneo con il Major parigino prosegue grazie a Sara Errani, che centra un’insperata ma meritatissima finale nel 2012 contro Maria Sharapova, la semifinale contro Serena Williams nel 2013 (dopo aver eliminato nei quarti la n.4 WTA Agnieszka Radwanska) e i quarti lo scorso anno contro Andrea Petkovic.
In particolare, la finale del 2012 arriva dopo una cavalcata imperiosa, durante la quale estromette dal torneo la vincitrice del 2008 Ana Ivanovic al terzo turno, poi in successione la vincitrice del 2009 Svetlana Kuznetsova agli ottavi con un roboante 6-0 7-5 e le due top ten Angelique Kerber (allora n.10) e Samantha Stosur (allora n.6), prima di arrendersi in finale alla tigre siberiana.
Speriamo dunque che anche quest’anno non faccia eccezione e che la terra rossa del Philippe Chatrier e del Suzanne Lenglen si colori un po’ d’azzurro.
Australian Open
Wimbledon: Sonego-Berrettini il ventunesimo derby azzurro negli Slam, Fognini l’italiano ad averne disputati di più
11 Roland Garros, 5 Wimbledon, 3 US Open, un solta volta a Melbourne: così suddivisi i derby italiani nei Majors

A distanza di poco più di tre settimane dal loro incrocio sull’erba di Stoccarda, Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini daranno vita, nel primo turno dell’edizione 2023 di Wimbledon, al ventunesimo derby italico che si consumerà nella prestigiosa cornice dei tornei del Grande Slam.
I derby di Wimbledon
Se poi si vuole limitare il campo di analisi al “solo” Church Road, quello tra il torinese ed il romano, sarà il sesto incontro con protagonisti due tennisti azzurri ad affrontarsi nella storia dello Slam londinese che va in scena sul suolo di Sua Maestà. Il capostipite, in tal senso, dei Championships è stato il match di 43 anni fa, correva quindi il 1980, fra Adriano Panatta e Corrado Barazzutti: una partita di secondo turno che vide l’Adriano Nazionale aggiudicarsi la sfida con Barazza, compagno di squadra in Davis, solamente al quinto set per 1-6 6-3 6-4 3-6 6-1. Piccola curiosità relativa al contorno, o se preferite all’antipasto, di quello scontro “nostrano” è rappresentata dal fatto che Corrado al round precedente superando lo statunitense Scott Davis ottenne il primo ed unico successo della carriera sui sacri prati.
Da quella partita fratricida in salsa tricolore sul perfetto manto erboso di SW19, trascorrono 11 lunghi anni prima di poter riammirare – con annesso plotone emotivo che ne consegue – un altro derby italiano nella medesima prova Major: il teatro che ospita lo spettacolo infatti è sempre lo stesso, ancora Wimbledon, ma nel 1991 i “nuovi” volti sono quelli di Omar Camporese e Claudio Pistolesi. Da annotare anche una piccola differenza a livello di momento nel tabellone in cui il duello prende vita, non i trentaduesimi bensì i sessantaquattresimi: alla fine della fiera, però, cambia poco. Vince il bolognese con lo score di 6-1 6-3 2-6 6-3.
Il terzo derby azzurro consumatosi nel torneo più famoso del Pianeta è decisamente più recente, rintracciabile nel primo quinquennio del ventunesimo secolo: era il 2005, e tra un giovane Andreas Seppi ed un esperto Davide Sanguinetti – i 21 anni del bolzanino contro le 33 candeline del viareggino – ad avere la meglio fu il maggiore chilometraggio del tennista toscano che si impose nettamente in scala discendente 6-3 6-2 6-1. Esattamente un anno dopo, dunque con il ritmo dei sorteggi malandrini che accoppia uno contro l’altro esponenti della racchetta del Bel Paese in considerevole aumento rispetto al passato, al 2°T e nel quarto derby verde-bianco-rosso di sempre sull’erba più sublime che esista Daniele Bracciali trionfava in quatto parziali sul padovano Stefano Galvani.
L’ultimo, prima di Sonny-Berretto, è datato 2018 con gli amici “Chicchi” di mille avventure in doppio Simone Bolelli e Fabio Fognini a doversi misurare con le ripercussioni psicologiche che un tale faccia a faccia poteva portare in dote: a spuntarla fu il più forte in quel preciso frame storico delle loro carriere sulle superfici rapide, il ligure staccò il pass per i sedicesimi in virtù del 6-3 6-4 6-1 finale.
Negli altri tre appuntamenti Slam del calendario, l’Italia tennistica nella storia di questo sport ha così distribuito i suoi 20 derby: 11 al Roland Garros, 5 a Wimbledon, 3 allo US Open, 1 all’Australian Open.
Fognini il tennista azzurro ad aver giocato, e vinto, più derby tricolore
Il tennista azzurro che in assoluto ha disputato più volte un derby Slam è il taggiasco Fabio Fognini, la bellezza di 5 scontri con connazionali a tentare di contrastarlo dall’altra parte delle rete sulla lunga distanza: a Melbourne ha sconfitto Salvatore Caruso nel 2021, nella Parigi terrosa ha superato sempre Andy Seppi sia nel 2017 che nel 2019, cinque stagioni orsono all’All England Club la già menzionata vittoria di Fogna si è materializzata a discapito del fido Bolelli. Infine, a completamento del proprio personale Career Grand Slam a livello di derby giocati c’è l’unico KO con Stefano Travaglia a New York nel 2017.
A quota tre derby nei Majors ci sono invece Barazzutti e Seppi; a 2 Bolelli, Bracciali e Sanguinetti.
Vale la pena anche ricordare come nessun derby azzurro Slam sia andato in scena oltre il 3°T, non abbiamo mai assistito ad un ottavo di finale tutto italiano per capirsi. I sedicesimi nella storia – in assoluto, non soltanto nell’Era Open – Majors sono stati 3: De Morpurgo-Bonzi all’Open di Francia del lontanissimo 1929, Paolo Lorenzi – Thomas Fabbiano nel 2017 a Flushing Meadows e dulcis in fundo Lorenzo Musetti contro Marco Cecchinato al RG del 2021, l’ultimo tutt’ora.
Ma adesso siamo pronti per scrivere un altro capitolo, il ventunesimo: Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini fateci divertire.
Flash
Luminosi, sobri o a tinta unita: gli outfit del Roland Garros 2023
Djokovic sul pesca, Iga in bianco, Sonego e Fognini vanno sul classico: le mise dei protagonisti dello splam parigino

Completi all’insegna della sobrietà quest’anno al Roland Garros. I brand indossati dai protagonisti del rosso si sono distinti, a volte, per colori brillanti ma non troppo e, in alcuni casi, per la tinta unita. Insomma, le gesta dei campioni parigini sono state accompagnate da uno stile classico e non eccessivamente stravagante. Tinte neutre e passe-partout come il bianco, il blu e il nero si sono alternate al rosso mattone o al verde, ma il tutto ben dosato e senza esagerare.
Novak Djokovic (Lacoste)

Un altro completo vincente quello del fenomeno serbo firmato come sempre da Lacoste. In tutti i sensi. Polo rossa, come ormai ci ha abituato Nole in quel di Parigi da quando è sponsorizzato dal coccodrillo. Questa volta però in una inusuale tonalità pesca. A rendere più particolare la polo c’è un gioco di contrasti nelle maniche che riprende la fantasia a scacchi diagonali già vista a Melbourne. A spezzare pantaloncini blu navy. Scarpe coordinate con la polo come sempre. A costo di essere ripetitivi, c’è da sottolineare come il rosso e l’arancione non risaltino proprio benissimo sui campi in terra. Tuttavia, in sé e per sé, la polo del serbo è davvero ben concepita e realizzata: pulita, semplice, senza scadere nella banalità. Aggiornata anche la giacca sportiva della vittoria: tanti piccoli crocos bianchi che questa volta vanno a comporre il numero magico 23, quello del record di Slam, superando un Nadal che sembra a fine corsa, su un fondo rosso e nero con fantasia a quadretti. Un riferimento a Michael Jordan? La grandezza riconosce la grandezza. (Valerio Vignoli)
Collezione Lacoste

Ogni anno Lacoste prepara una collezione speciale per lo slam di casa. Quella di quest’anno è improntata a tonalità primaverili: verde smeraldo, salmone, blu, giallo canarino. E a colletti originali e ricercati. Manifesto della collezione è la polo indossata tra gli altri da Grigor Dimitrov, passato da Lacoste dopo una vita con Nike proprio in occasione dello Slam parigino. Prevalentemente bianca, con bande verdi sui lati e richiami giallo lime all’altezza della spalle. Colletto verde con ben tre righe: giallo-salmone-giallo. Tanti colori assieme che riescono a non essere troppi. Pantaloncini verdi a spezzare con le stesse righini nella fascia. L’alternativa serale (un po’ meno riuscita) prevedeva polo salmone e con contrasti e pantaloncini blu navy. Davvero tutto molto fresco e chic. Più classico l’abito per le ragazze, visto ad esempio sulla russa Anastasia Pavlyuchenkova: bianco candido con bande blu scure e righe gialle sui lati con colletto a polo con zip. (Valerio Vignoli)
Iga Swiatek (ON)


La tre volte campionessa del Roland Garros brilla per il suo tennis granitico e talentuosissimo; tuttavia, alcuni outfit indossati in passato risultavano un po’ troppo anonimi per essere quelli della n. 1 del mondo. Invece, quest’anno, forse grazie al fatto di essere passata ad “ON”, l’azienda svizzera di cui è azionista Roger Federer (della ON sono le ormai celebre sneakers “The Roger”), il completino indossato a Porte d’Auteuil ha un qualcosa in più rispetto a quelli dell’anno scorso. Molto meglio il gonnellino svasato e con qualche piegolina rispetto agli short della passata stagione. Una striscia laterale e polsini fucsia danno un tocco di colore al total white. Molto deludente, invece, il vestitino scelto per lo shooting con il trofeo. Va bene l’idea del tubino corto nero, però le spalline sgualcite, larghe e cadenti fino al gomito a mo’ di stola mancano totalmente di eleganza. Peccato. (Laura Guidobaldi)
Casper Ruud e Elena Ribakina (Yonex)


Yonex è apprezzata tra i professionisti e gli appassionati per la qualità delle sue racchette, caratterizzate da una forma leggermente squadrata nella parte superiore. Molto meno per l’impatto visivo dei suoi completi tra colori sgargianti, abbinamenti azzardati e fantasie improbabili. Basti pensare ai famosi pantaloncini indossati da Wawrinka durante il suo trionfale Roland Garros 2015 (ma anche all’outfit total fucsia con cui lo svizzero l’anno successivo si è imposto a New York). Spesso anche noi abbiamo bastonato il brand giapponese. Però bisogna dire che stavolta hanno fatto centro, sia al femminile che al maschile. La coreana di Casper Ruud blu navy con maniche arancioni e colletto bianco a righe si intona alla perfezione con lo stile del norvegese, classico con un tocco di modernità. I pantaloncini blu gessati con il logo ricavato in un quadrato sono però la chicca retrò che rende questo look uno dei più belli visti quest’anno a Parigi. Sul fronte femminile tutte le atlete hanno puntato sulla variante fucsia della collezione (opzione presente anche per gli uomini). Un po’ troppo semplice ma comunque gradevole il look di Elena Rybakina, che già usava racchette Yonex e che ora ne utilizza anche gli abiti: canottiera fucsia con ampio colletto a v bianco abbinata ad una gonna con pieghe leggere navy. (Valerio Vignoli)
Lorenzo Sonego e Fabio Fognini (EA7)


Emporio Armani ha scelto un grande classico per gli outfit parigini di Lorenzo Sonego e Fabio Fognini. Il torinese era assai distinto nel suo completo blu navy, con la raffinatissima polo con il colletto alla coreana con un sottile bordino bianco, lo stesso bordino presente anche nello spacchetto del pantaloncino. Il completo di Fognini era meno luminoso e un po’ più banale ma ugualmente distinto, un total black che ben si addice all’ocra dei campi di Porte d’Auteuil. (Laura Guidobaldi)

Elina Svitolina (Paka)
La politica delle sponsorizzazioni di Nike negli ultimi anni è chiara: o sei una superstar (Nadal), o sei un talento emergente (Alcaraz, Rune, Sinner), o sei un personaggio (Tiafoe, Kyrgios) o vieni tagliato. Vedi i casi recenti di Rublev, Dimitrov e Bencic. Il baffo non si è impietosito neanche di fronte alla pausa forzata per maternità di Svitolina, abbandonando pure lei. La tennista di Odessa ha preso la palla al balzo e al suo ritorno in campo si è presentata griffata dallo sconosciuto brand ucraino Paka. Una scelta particolarmente significativa di questi tempi. Ma non c’è da stupirsi considerato quanto Svitolina si sia esposta riguardo alla guerra in Ucraina, tramite le parole e anche in gesti, come quello di non stringere la mano ad atlete russe e bielorusse. Un atteggiamento che le è costato anche la contestazione da parte del pubblico francese, particolarmente su di giri in questa edizione. Ma torniamo agli outfit. Due i completi indossati da Svitolina. Il primo violava una legge non scritta valida in tutto il mondo a parte Los Angeles sponda Lakers: mettere insieme il giallo e il viola. Peccato perché la fantasia della gonna era anche interessante. Il secondo total black con un tribale bianco e giallo sul lato. Due look grintosi come Svitolina. Forse troppo. (Valerio Vignoli)
Carlos Alcaraz e Aryna Sabalenka (Nike)


Linee con effetto a ripetizione per i completi di Carlos Alcaraz e Aryna Sabalenka. La mise di Carlitos è semplice ma di buon gusto, con la t-shirt dalle righe mosse verdoline sullo sfondo bianco. Gli shorts, anch’essi bianchi, richiamano il verde della maglietta sul bordino posteriore. Non propriamente estetico, invece, il top di Aryna Sabalenka, il cui effetto delle righe ricorda un sovrapporsi di cuori dal contorno rosso su sfondo rosa, il tutto accompagnato da un bordino bordeaux del collo e delle spalline. Insomma… (Laura Guidobaldi)
Coco Gauff (New Balance)

Un completo grintoso e pieno di energia per l’esplosiva Coco Gauff; tuttavia, l’abbinamento dei colori lascia un po’ a desiderare. Non è la prima volta che la New Balance azzarda negli accostamenti ma, questa volta, il celeste e lo stile del top non si sposano benissimo con il nero e il bianco del gonnellino leggero. Insomma, la canotta ricorda molto quelle usate per gli allenamenti in palestra, molto minimal e che lasciano la pancia scoperta, mentre la gonna è grintosa pur essendo elegante al tempo stesso. Per carità, a Coco sta bene qualsiasi cosa, ma questa volta lo shock degli stili tra la parte superiore e inferiore dell’outfit non è poi così vincente (Laura Guidobaldi)
Alex Zverev e Karolina Muchova (Adidas)


A cosa ispirarsi per la collezione di vestiti per la stagione su terra rossa? Vediamo un po’…. alla terra rossa! Evidentemente i designer del dipartimento tennis del colosso tedesco erano un po’ alla frutta a quanto idee nuove. Ma la cosa più sorprendente non è che a uno di loro sia venuta questa brillante ispirazione quanto che tutti l’abbiano approvata senza fargli notare che se fai vestire i giocatori con vestiti arancione scuro su un campo in terra rossa l’effetto cromatico non sia il massimo. Ma evidentemente anche in quanto a spirito critico c’è da lavorare. Fatto sta che la bravissima Karolina Muchova, invece di distinguersi per le sue aggraziate movenze, finiva per mimetizzarsi con il Philippe Chatrier a causa del suo top. Stessa colorazione per i pantaloncini di Zverev abbinati ad una polo nera abbastanza anonima. Le scarpe color terra rossa sono però geniali. Della serie: già sporche prima di essere sporche. Insomma, Adidas bocciata anche a questo giro. (Valerio Vignoli)
Flash
Roland Garros 2023: respinto l’appello di Miyu Kato
Semaforo rosso per la tennista giapponese che non avrà indietro i punti e i prize money ottenuti per gli ottavi raggiunti al Roland Garros

Niente da fare per Miyu Kato. Non ha avuto l’esito sperato la richiesta di appello della tennista giapponese ad una delle decisioni che ha creato scalpore dell’edizione 2023 del Roland Garros.
Ricordiamo, infatti, che la tennista giapponese ha chiuso in anticipo la sua avventura nel doppio femminile a causa della squalifica comminatale nel corso del suo match di ottavi di finale, giocato in coppia con Aldila Sutjadi, contro il tandem ispanico-ceco composto da Sorribes Tormo e Bouzkova.
La tennista giapponese è stato autrice di un gesto avventato che l’ha portata a colpire involontariamente una ball girl. Situazione che ha portato il supervisor, dopo diverse polemiche, a chiudere in anticipo il match, dichiarando vincitrici il duo Sorribes-Tormo/Bouzkova.
Nonostante la squalifica, a Kato è stato comunque permesso di continuare a giocare nel doppio misto. Possibilità che la giapponese ha sfruttato al meglio l’opportunità arrivando a trionfare in coppia con il tedesco Puetz.
A supporto della tennista giapponese si erano espressi sia diversi addetti ai lavori sia la PTPA che con un comunicato aveva definito “ingiusta e sproporzionata” la sanzione comminata alla tennista giapponese.
A dare l’annuncio dell’esito negativo dell’appello è stata la stessa tennista giapponese sul suo account twitter, al termine del suo primo match su erba a s’Hertogenbosch.
“Roland Garros mi ha multato e ha respinto il mio appello per riavere il mio prize money e i miei punti, quindi tutto quello che posso fare è continuare a guardare avanti. Prossima fermata Berlino”
La giapponese ha, quindi, rinunciato a 21 mila e 500 euro dato che il prize money stabilito per chi raggiunge gli ottavi di finale al Roland Garros ammontava a 43 mila euro per coppia. In termini di punti il danno subito da Kato ammonta a 240 punti che non entreranno a far parte del suo ranking.