Se Andy Murray non vince nemmeno oggi, contro Novak Djokovic vincerà mai?

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Se Andy Murray non vince nemmeno oggi, contro Novak Djokovic vincerà mai?

Novak Djokovic è a caccia del terzo titolo consecutivo al Foro, e del 30mo Masters 1000. Prima finale romana per
Andy Murray nel giorno del 29mo compleanno. Si farà un bel regalo? Finale non scontata quella tra Serena Williams e Madison Keys

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Nell’immediata vigilia della miglior finale possibile che un organizzatore possa augurarsi, quella fra il n.1 e il n.2 del mondo (per il ranking ATP di lunedì prossimo), capisco bene che titolare e scrivere … “o questa volta o mai più!”, sappia di provocazione per lo scozzese e i suoi fans che certo ricordano come Andy Murray abbia battuto Nole Djokovic già nove volte, pur avendoci perso 23 (con l’ultimo suo successo nella finale di Montreal dell’agosto 2015).

Quei fans del britannico ricorderanno pure certamente che nel 2011, l’anno migliore di Djokovic prima del quasi irripetibile 2015, Andy Murray aveva qui servito per il match. Eppure il serbo era in grandissima forma: era imbattuto da sei mesi. Non aveva più ingoiato l’amaro boccone della sconfitta da prima della finale di Coppa Davis vinta dalla sua Serbia sulla Francia nel dicembre 2010. Andy perse ma fu una gran partita.

Perchè allora stavolta a Murray si chiede imperiosamente di vincere? Beh, non tanto perchè lui non ha fin qui perso un set in tutto il torneo dominando abbastanza agevolmente avversari di non grandissima qualità: Kukushkin, Chardy, Goffin, Pouille…Direi che solo Goffin ha vero talento.

Ma perché ieri pomeriggio è stato in campo meno di un’oretta contro il “perdente fortunato” francese Pouille, già più che soddisfatto del suo torneo.

Mentre Djokovic ha dovuto lottare per 3 ore e 2 minuti fin dopo le 23, bello stress psicofisico prima di rimontare l’handicap di un set e riuscire a domare 7-6 al terzo set Kei Nishikori, risalendo da 1 a 3 nel tiebreak decisivo grazie anche ad un doppio fallo del giapponese che lo ha generosamente rimesso in corsa.

Fra interviste, conferenza stampa, un po’ di cibo rigorosamente senza glutine, Novak non sarà andato a letto prima delle una e mezzo del mattino.

Per recuperare non avrà avuto – con la finale maschile prevista per le 17 dopo la doppia cerimonia della racchetta d’oro a Stan Smith e Mima Jausovec – più di 13 ore. Basteranno?

Se quello visto al Foro questa settimana fosse stato il miglior Djokovic non credo che il recupero sarebbe stato un vero problema. Anche sotto il profilo della condizione atletica l’uomo di gomma di
Belgrado è un numero uno.

Ma io non ho avuto l’impressione, al di là delle clamorose partenze diesel come la sua Peugeot (primo set perso 6-0 con Bellucci, 6-2 con Nishikori, presto sotto di un break con Nadal), che questo Djokovic sia lo stesso di quello che abbiamo constatato ingiocabile del 2015.

Lo vedo più nervoso del solito, come quando ha fracassato la racchetta all’inizio del secondo set con Nadal, ma anche con Bellucci e con Nishikori. Trasmette ansia, insicurezza.

Poi però è sempre stato in grado di alzare l’asticella, contro tutti i suoi avversari, quando più contava: è questo che vuol dire essere un grande campione.

La classe consiste nel sapere esprimere il meglio di sé quando serve, quando conta. Non va confusa con il talento.

Djokovic ha classe e sta mascherando alla grande con quella un periodo di forma tennistica che non mi pare straordinario anche se alla fine vince quasi tutte le partite che gioca, con due rarissime eccezioni:
33 vittorie nel 2016, infatti, a fronte di due sole sconfitte, con Feliciano Lopez a Dubai (dove si è ritirato a fine primo set) e con Jiri Vesely a Montecarlo dove peraltro ha giocato da cani, un match
irriconoscibile.

Oggi Novak dovrebbe giocare e battere Murray, che non è il n.2 del mondo (da domani) per caso, per centrare il 30mo Masters 1000 e il 65mo torneo in carriera in 91 finali, di cui sei a Roma (le due perse sono state con Nadal). Ma se dovesse perdere anche con Murray il primo set, una nuova rimonta sarebbe più difficile rispetto a quelle con Bellucci e Nishikori.

Da un anno a questa parte, come ha raccontato lo scozzese, ricordando la prima vittoria in un torneo sulla terra battuta a Monaco di Baviera su Kohlschreiber e poi quella di Madrid in finale su Nadal – exploit bissato quest’anno una settimana faMurray ha cominciato a vincere anche sulla superficie più ostica, meno congeniale, sebbene quella su cui si era tanto allenato da ragazzino, quando era andato in Spagna a caccia di quel sole e di quegli sparring-partners che a Dumblane non avrebbe potuto trovare.

Un clic così improvviso in positivo si spiega soltanto con una fiducia che oggi Andy ha anche sulle sue possibilità sulla terra rossa e che prima non aveva.

Andy giocherà proprio nel giorno del suo ventinovesimo compleanno – è di una settimana più vecchio di Djokovic, nato il 22 maggio – e ieri ha detto scherzando “Non ricordo di aver mai vinto un match nel giorno del mio compleanno”.

Vedremo se, alla cinquantacinquesima finale, sarà in grado di rompere il ghiaccio e di conquistare il suo trentaseiesimo titolo. Io credo che stavolta le premesse ci siano, alla sua terza finale del 2016 e dopo aver perso le altre due proprio da Djokovic, Melbourne e Madrid. Un po’ per merito suo, ma – come dicevo – per un appannamento credo di aver intravisto in Djokovic.

A preoccuparmi, semmai, è il fatto che siano passati sette mesi dal suo ultimo torneo vinto (Montreal) e non era prima mai successo che un n.2 del mondo restasse a digiuno così a lungo. Per diverso tempo, prima che Andy vincesse il Wimbledon olimpico del 2012 e due Slam (US open e di nuovo Wimbledon) veniva considerato il…Ringo Starr dei Fab Four, il Beatle della racchetta meno dotato.

Sarà certo una sensazione sbagliata – se penso a come è finita malamente a Madrid per Andy direi sbagliatissima! – ma il digiuno potrebbe anche interrompersi e Roma celebrare un vincitore nuovo, anziché Djokovic per la quinta volta. Stasera, se non piove, sapremo.

Ma prima ci sarà spazio per la prima finale “all USA” dal 1970, cioè da quando Billie Jean King superò Julie Heldman lasciandole solo 4 game. Il rischio è che possa finire allo stesso modo con Serena nei panni ovviamente di King. Serena sembra aver ritrovato un condizione decente, anche se il suo fisico rimane – ma lo è sempre stato – poco ideale per una sportiva. Ma Madison Keys non è un’avversaria banale, e molti ricorderanno la semifinale australiana del 2015, con un primo set giocato ad altissimo livello dalla Keys. Madison ha appena cambiato allenatore, rivolgendosi a Thomas Högstedt. Il coach svedese ha un passato glorioso, visto che aveva portato Caroline Wozniacki in vetta alla classifica mondiale e allenato Sharapova e Li Na, e se il buongiorno si vede dal mattino potrebbe essere questo il torneo della svolta per Madison.

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