Murray-Mauresmo: un esperimento riuscito a metà

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Murray-Mauresmo: un esperimento riuscito a metà

Sia dal punto di vista sportivo che da quello simbolico la collaborazione tra il campione scozzese e l’ex tennista francese non ha funzionato del tutto

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A poche ore dal suo debutto agli Internazionali di Italia, che poi avrebbe vinto imponendosi in finale sul n.1 del mondo Novak Djokovic, Andy Murray ha annunciato la clamorosa separazione dalla sua allenatrice Amelie Mauresmo, dopo quasi due anni di lavoro insieme. Il 29enne tennista di Dunblane ha attribuito la sua decisione nella conferenza stampa pre-torneo alla difficoltà della 2 volte campionessa Slam di conciliare i suoi impegni familiari (da pochi mesi è diventata mamma) e la sua attività di coach a tempo pieno. Dunque si è così consumata, improvvisamente, la prima storica collaborazione tra un’allenatrice donna e un giocatore di primo piano.

Dal punto di vista prettamente sportivo, il sodalizio tra Andy e Amélie, è stato un moderato successo, con luci e ombre.

Quando nel giugno 2014 l’ex tennista transalpina si è seduta nel box di Murray, per la sua prima esperienza da allenatrice, ha trovato un giocatore in crisi di fiducia e ancora non al meglio fisicamente dopo l’operazione alla schiena dell’autunno precedente. Piano piano lo scozzese ha ritrovato la strada della vittoria, migliorando il proprio rendimento sulla terra rossa. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Murray in questi due anni ha conquistato lo stesso numero di titoli (7) dell’era Lendl, quella che gli ha portato in bacheca Wimbledon, US Open e medaglia d’oro olimpica in casa. Anche la percentuale di vittorie è sempre stata molto alta (intorno al 80%) con una lieve flessione appunto nella stagione 2014, quella del cambio di allenatore. Murray inoltre, con Mauresmo al proprio fianco, ha chiaramente acquisito maggiore confidenza con la terra battuta. I primi due trofei in carriera l’anno scorso a Monaco e Madrid (anche se c’era Jonas Bjorkman in panchina in entrambe le occasioni a causa maternità della Mauresmo), l’autorevole prestazione nella finale di Coppa Davis a Gent e, appunto, lo straordinario trionfo a Roma quest’anno, costituiscono quattro prove inconfutabili di un inedito feeling con questa superficie, sulla quale tanto si era allenato a Barcellona da giovane all’accademia Sanchez-Casal.

L’altro lato della luna ci mostra però un Murray che non ha vinto Major, non ha fatto sostanziali progressi tecnici e che ha faticato molto negli scontri diretti con Djokovic e il redivivo Federer versione 2015. Insieme alla Mauresmo il tabellino degli Slam segna un misero zero, sul quale gravano due finali perse agli Australian Open, un paio di semifinali al Roland Garros e una pure a Wimbledon. A fermarlo spesso è stato Nole, contro il quale in questo periodo il britannico ha peggiorato il suo record da 12-8 a 12-2. Negli head 2 head contro Federer Murray addirittura vantava un lieve vantaggio che, con Amélie, si è trasformato in un desolante 0-4. Molti osservatori suggerivano ad Andy di essere più propositivo in campo per battere i suoi principali rivali. Questa tanto invocata evoluzione tecnica si è vista solo sporadicamente nei due anni di lavoro con la 36enne di Saint-Germain-en-Layne. Chissà quanto sia colpa della celeberrima testardaggine di Andy? Anche se lo fosse significherebbe che Mauresmo non era capace di imporsi abbastanza sul suo assistito, come peraltro insinuano le malelingue.

In quanto assoluto debutto di un coach donna sulla panchina di un tennista di vertice, l’esperienza Murray-Mauresmo ha tuttavia inevitabilmente assunto un chiaro valore simbolico nel promuovere le pari opportunità nel tennis. Anche sotto questo secondo aspetto, purtroppo, gli esiti sembrano modesti.

Murray, scegliendo nel giugno 2014 l’ex tennista francese come coach, non aveva benché minima intenzione di rompere un tabù o di ribaltare stereotipi ben consolidati. “Sapevo che non era mai successo prima ma non pensavo di fare una mossa innovativa o che avrebbe avuto un’influenza che potesse estendersi anche ad altri sport” ha affermato lo scozzese in un’occasione. Per lui, abituato ad una fortissima presenza femminile nella sua vita, della madre Judy in primis, la decisione è stata assolutamente naturale. “Ho sempre trovato più facile comunicare con le donne”, ha detto ancora Murray nel giugno dello scorso anno, “Quando parlo delle mie emozioni e dei miei sentimenti è più facile farlo con Amelie rispetto forse ad altri allenatori uomini”. Con Mauresmo si era oltretutto instaurata fin dal primo istante un’affinità elettiva particolarmente spiccata, tanto da provocare l’allontanamento dello storico preparatore atletico Jez Green e dell’amico d’adolescenza Dani Vallverdu. Al contrario del severo e apatico Lendl, la francese infatti riusciva nella non facile missione di smussare gli spigoli caratteriali del nervoso Andy, con il dialogo e la sensibilità tipiche di una donna. “Lei è molto calma e ciò è importante per me. Ascolta e fa un sacco di domande”, ha affermato in proposito Murray.

Tuttavia l’enorme valenza simbolica di questa partnership all’interno del dibattito sulle pari opportunità tra uomini e donne nel tennis era evidente a tutti. Se ne è presto reso conto suo malgrado anche lo stesso Murray a causa dei ripetuti commenti dubbiosi sulla Mauresmo in versione allenatrice di alto livello: come quelli della leggenda britannica Virginia Wade (un’altra donna paradossalmente) all’indomani dell’ufficializzazione oppure quelli che gli sono piovuti addosso dopo il 6-0 6-1 contro Roger Federer alle ATP World Tour Finals del 2014. Per il n.1 britannico queste critiche ingiustificate hanno rappresentato una sorta di epifania che gli ha fatto capire come esista ancora una questione di genere nello sport e nella società contemporanea. “Iniziare a lavorare con Amelie mi ha davvero aperto gli occhi. La disuguaglianza è qualcosa che ho iniziato a vedere e mi ci sono interessato. Quando ero più giovane non pensavo a cose del genere”, ha detto Murray, definendosi addirittura un “femminista” e constatando la mancanza di coach donne nel tennis e anche nelle altre discipline.

L’esperienza Murray-Mauresmo si è rivelato purtroppo sostanzialmente un fallimento nel sensibilizzare il mondo del tennis su questo tema. La più chiara dimostrazione di come questo messaggio sia caduto nel vuoto è arrivata dalla bocca di Raymond Moore, ex direttore del torneo di Indian Wells, il quale ha sottolineato con parole indecorose come il movimento del circuito femminile sia stato trainato economicamente dai successi di stelle del circuito maschile come Federer e Nadal. Il fatto che altre figure di primo piano di questo sport, come lo stesso Djokovic o l’organizzatore del Mutua Madrid Open Ion Tiriac, abbiano messo in dubbio il diritto delle tenniste ad ricevere lo stesso montepremi dei loro colleghi uomini, dovrebbe far riflettere. Anche dal punto di vista della presenza di allenatrici nelle alte sfere del tennis l’impatto è stato limitato a due casi, peraltro molto circoscritti. Qualche mese dopo l’inizio della collaborazione tra Murray e Mauresmo, la promettente tennista statunitense Madison Keys ha assunto come coach l’ex n.1 al mondo Lindsay Davenport. Peccato che questa collaborazione tutta a stelle e strisce sia durata meno di un anno, a causa degli impegni familiari di Davenport, mamma di ben 4 figli; quasi una conferma dell’inconciliabilità per una donna dei ruoli di allenatrice sul tour e genitore. Peggio ancora è andato l’esperimento tra Agnieszka Radwanska e Martina Navratilova, cominciato nel dicembre 2014 e terminato malamente nell’aprile dell’anno seguente.

Insomma la battaglia dei sessi, a oltre quarant’anni dalla pittoresca sfida di esibizione tra Bobby Riggs e Billie Jean King, è ancora tutta da combattere nel tennis. Andy nonostante tutto è sempre stato lì, in trincea, a prendere le difese non solo di una scelta che per lui era naturale e per gli altri controcorrente, ma anche dell’universo femminile in senso lato. Lo ha fatto ancora nella già citata conferenza stampa al Foro Italico, di fronte ai giornalisti che gli chiedevano se la prematura fine del rapporto professionale con Mauresmo potesse rappresentare un ostacolo per nuovi coach donna nel tennis. “Io credo che abbia funzionato”, ha controbattuto Murray, come se dovesse compiere uno dei suoi miracolosi recuperi di rovescio. Il problema è che, come in campo, anche dietro ai microfoni era costretto a difendersi.

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