A ritmo di Slam: i trofei “spartiti” del 2018

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A ritmo di Slam: i trofei “spartiti” del 2018

Cecchinato, Djokovic, Osaka e Zverev: i sorprendenti solisti della seconda parte dell’anno

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Dopo aver ammirato le opere sconvolgenti di un 2018 agli sgoccioli, con il 2019 cominciato soltanto da poche ore, è doveroso un assaggio musicale che ha inizio in uno dei teatri più sontuosi del circuito: il Philippe Chatrier di Parigi.

Il velluto rosso si apre, l’orchestra accorda gli strumenti, a calcare la scena è un pianista semisconosciuto, che porta un tocco di azzurro in una Parigi monocorde: Marco Cecchinato. La sua racchetta scorre sulla tastiera, macchiandola di rosso. La sua musica fa sogghignare gli scettici spettatori, ma entusiasma gli animi azzurri che lo sostengono a gran voce in modalità rock con l’incessante “pooo-popopo-po-pooo-po”. Contro ogni pronostico si impone su tutti gli altri orchestranti, dal primo movimento fino al quarto, quando arriva colui che ha già vinto il Roland Garros due anni fa: Novak Djokovic. Il suono dello strumento serbo è martellante, incessante, tuttavia Ceck risponde bombardando Nole di lob virtuosi e smorzate improvvise. La melodia del suo rovescio ad una mano incanta, il dritto è un colpo di coda deflagrante, le scelte tattiche sono in sinergia con il ritmo serrato della danza serba. Ai primi due set fa seguito uno scroscio di applausi per il musicista italiano, che subisce un calo di prestazione nel terzo, ma nella fase finale è lui a suonare l’ultima nota, costringendo Djokovic ad una discesa a rete, infilzata da un lob di rovescio che tocca la linea di fondo e regala a Cecchinato il miglior successo della sua carriera.

Il nostro pianista si issa fino alla semifinale (non avendo mai vinto una partita in un Major precedentemente) 40 anni dopo l’ultimo italiano a riuscirci nel medesimo torneo: Corrado Barazzutti. Purtroppo il meraviglioso crescendo rossiniano viene bruscamente interrotto dal mozartiano Dominic Thiem. “È una musica che non so suonare”, direbbe Marco nei panni di Novecento (il pianista sull’oceano di Baricco) ed è costretto a dover perfezionare ancora di più i suoi rintocchi per poter essere l’ultimo ad inchinarsi di fronte alla platea. Ogni musicista presente al Roland Garros ha contribuito a creare l’armonia, ma alla fine è il direttore d’orchestra a scegliere come si concluderà l’opera. E così, l’uomo che sta sul piedistallo con la bacchetta in mano decide di terminare il concerto in maniera trionfale, dirompente, rubando la scena a tutti gli orchestranti: il Maestro della terra rossa, Rafael Nadal, non lascia scampo all’austriaco, mettendo la firma sulla sua 11esima sinfonia parigina.

Tuttavia, il direttore spagnolo deve cedere la bacchetta nello scenario londinese a Novak Djokovic, dopo 5 ore e 15 minuti di battaglia. I due si passano il testimone nella semifinale di Wimbledon, conclusasi 10-8 al quinto set. Nadal è costretto a salutare il pubblico inchinandosi all’esecuzione perfetta del solista serbo, il quale impone un “presto con fuoco” a ritmo serratissimo: i suoi prodigiosi recuperi in allungo sono delle biscrome incessanti, che tolgono il fiato a Rafa. Nella finale, Kevin Anderson sostiene il suono della racchetta dell’inscalfibile Nole: palleggio solido, senza sbavature e il quarto Wimbledon in carriera è servito. Lo Slam di Londra è solo l’ouverture dell’opera che andrà in scena a Flushing Meadows. Infatti, Djokovic svilisce gli altri archi, i suoi assoli portano allo sfinimento un del Potro sfiancato, che cede la finale in 3 set. Novak chiude la sua lirica con uno smash prima di cadere a terra esultante e di lasciare un altro segno nella storia del tennis: 14esimo Slam e di nuovo tra i primi tre del mondo, per poi chiudere la stagione sul trono mondiale.

Siamo sempre nella finale degli US Open, ma a suonare sono Serena Williams e Naomi Osaka. Le due fanno riecheggiare i loro strumenti senza risparmiarsi: la nipponica è esplosiva, potente, prestante, ma è risaputo che Serena non sia da meno. L’armonia perfetta viene interrotta sull’uno pari del secondo movimento, quando viene attribuito un warning a Williams per coaching e gliene verrà dato un altro, in seguito ad un gesto di frustrazione. L’episodio scatena la statunitense che perde completamente il ritmo dell’esecuzione. È proprio ora che il tempo vivace lascia spazio alla prestazione moderata di Naomi: decisa, solida negli spostamenti, dai fondamentali vigorosi. Serena deve farsi da parte e lasciare la scena alla giovane tennista che gestisce le emozioni alla perfezione e strappa il 24esimo Slam all’avversaria, conquistando il suo primo Major.

Tuttavia, Osaka non è la sola nuova solista a farsi sentire in quest’annata: il 21enne Alexander Zverev scalza i vecchi maestri e fa risuonare il suo gioco. Dopo le ottime esecuzioni in teatri prestigiosi (Roma 2017, Montreal 2017 e Madrid 2018), Sascha comincia la sua cavalcata delle valchirie nelle ATP Finals di Londra. Il più piccolo tra i grandi direttori d’orchestra, capace di domare sua maestà Roger Federer a suon di servizi e sciabolate da fondo campo. Il gran finale arriva nell’ultimo step: il tedeschino non si lascia intimorire neanche dal vincitore di Wimbledon e US Open della stagione. La differenza sostanziale è nel servizio, marchio di fabbrica di Zverev, ma anche i suoi attacchi e passanti armonizzano il gioco. Il tentativo di serve & volley di Djokovic viene annichilito con un’arcata lungolinea di Sascha, che diventa così Maestro del 2018. Siamo in inverno, ormai, eppure il trionfo dei due giovani tennisti ha il sapore di una primavera vivaldiana.

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