Numeri: la rincorsa di Petra, la Grande Serbia e l'Italia che cresce

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Numeri: la rincorsa di Petra, la Grande Serbia e l’Italia che cresce

Mentre Kvitova rilancia l’assalto alla vetta, un Paese di 7 milioni di abitanti ha 3 giocatori in Top 30. Ma anche l’Italia sorride: 6 nei primi 100

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Petra Kvitova - Australian Open 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)
 

2 le tenniste ceche, curiosamente entrambe mancine, ad essere arrivate in finale nei due tornei WTA in programma la scorsa settimana: Petra Kvitova al Premier di Stoccarda e Marketa Vondrousova all’International di Istanbul. Le due, separate da nove anni di differenza di età, non hanno fatto altro che confermare il grande momento vissuto dal tennis ceco e dare grandi prospettive anche al futuro di una scuola tennistica da sempre tra le migliori al mondo. Un piccolo paese capace di avere nell’ultima classifica WTA due giocatrici tra le prime 5 e altre tre tra le prime 45. 

Con il ventisettesimo titolo conquistato a Stoccarda, Kvitova si è riappropriata del secondo posto in classifica e ha consolidato il suo primato nella Race. Sebbene sia distante meno di centocinquanta punti, non sarà facilissima per lei la caccia al numero 1 del ranking, mai raggiunto in carriera, quantomeno nei prossimi mesi. Osaka, infatti, sino a New York in pratica non difende punti (solo la manciata della semifinale all’International di Nottingham e dei due terzi turni nei Major europei), a differenza di Petra, che ha le cambiali della vittoria al Mandatory di Madrid e al Premier di Birmingham (e della semifinale a Cincinnati). A Stoccarda, dopo Melbourne, Kvitova è tornata a sconfiggere tenniste almeno nella top 20, superandone addirittura tre: Sevastova (2-6 6-2 6-3) nei quarti e Bertens in semi (7-6 3-6 6-1), mentre in finale si è presa la rivincita su Kontaveit (7-6 6-2), che l’aveva sconfitta in due delle ultime tre occasioni che si erano affrontate.

Fa invece per la prima volta il suo ingresso nella top 40 Marketa Vondrousova: ci riesce a nemmeno venti anni (li compie il 28 giugno), raggiungendo una zona di classifica attualmente condivisa solo con Andreescu e Yastremska, relativamente a tenniste under 20. A due anni di distanza dal primo titolo conquistato a Biel, la giovane ceca sta esplodendo in tutto il suo talento in questo 2019 (è al 16esimo posto della Race): finale a Budapest e quarti nei due Mandatory di Indian Wells e Miami, nei quali ha collezionato già vittorie importanti come quelle su Kasatkina, Ostapenko, Halep e Mertens. In Turchia è arrivata in finale, dove si è fermata di fronte a Martic (vincitrice col punteggio 1-6 6-4 6-1) senza perdere un set e lasciando diciannove game complessivi a, nell’ordine, Tomljianovic (top 40), Kutsnetsova, Arruabarrena e Strycova.

3 i tennisti serbi nella top 30 del ranking ATP. Non accadeva da aprile 2012, un momento di tale grazia per un paese di appena sette milioni di abitanti e povero quanto a infrastrutture tennistiche e investimenti pubblici nello sport. L’unico denominatore comune della classifica di sette anni fa con quello attuale è costituito dal numero 1 di Novak Djokovic, che all’epoca era coadiuvato nelle parti alte della classifica da Tipsarevic (addirittura giocarono uno contro l’altro alle ATP Finals di Londra nel 2011) e Troicki. Assieme a loro, Nole vinse la Coppa Davis nel 2010 e arrivò in finale nel 2013. Da questa settimana, a fare compagnia nella top 30 al detentore degli ultimi tre Slam disputati, ci sono invece il finalista di Montecarlo, il 28enne Dusan Lajovic e Laslo Djere, capace di bissare a Budapest la semifinale raggiunta nel 2017, quando per la prima volta in carriera si spinse così avanti a livello ATP (quella della scorsa settimana è invece la quinta, tutte raggiunte sulla terra rossa). Partito come 93 del mondo, il 23enne serbo quest’anno ha impresso una svolta alla sua carriera vincendo l’ATP 500 di Rio De Janeiro e conquistando poi la semi a San Paolo.

Ma se sette anni fa la Serbia, oltre ai tre citati tennisti non ne aveva altri tra i primi 180 del mondo, questa volta tra i primi cento ci sono altri due giocatori: il 19enne Kecmanovic (messosi in luce soprattutto a Indian Wells, dove ha raggiunto i quarti) e Filip Krajinovic, rientrato nella top 100 grazie alla finale di Budapest, seconda nel circuito maggiore dopo quella di Parigi Bercy nel 2017. L’ex 26 ATP, fermato all’atto conclusivo del torneo da Berrettini, l’ha conquistata perdendo un solo set, contro Seppi (6-2 6-7 7-5) al primo turno. Qualificatosi senza perdere un parziale contro Marcora e Gerasimov, non ha incontrato particolari difficoltà contro due top 50 come Albot (7-5 6-4) in ottavi e Herbert (duplice 6-2) in semifinale e, soprattutto, nei quarti contro Coric (6-4 7-5), ha ottenuto la terza vittoria del 2019 contro top 20, dopo quelle su Cecchinato e Medvedev.

6 i tennisti italiani nella top 100 ATP. Una presenza record, quantitativamente parlando: per capirne meglio la portata basti pensare che nel nuovo millennio, solo il 2012 è stato un anno concluso con lo stesso numero di giocatori azzurri tra i primi 100. Oltre ai “veterani” Fognini e Seppi – in quel periodo nostro numero 1, Andreas chiuse la stagione come 23 ATP – presenti già sette anni fa, all’epoca a far loro compagnia c’erano Lorenzi, Bolelli, Volandri e Cipolla. La differenza in positivo è anche nella qualità media attuale di questo gruppo, visto che adesso possiamo contare su due top 20, e su due 23enni (nel 2012, il più giovane era il recente vincitore del Masters 1000 di Montecarlo, che aveva 25 anni e mezzo). Soprattutto, spicca l’attuale presenza di ben diciannove tennisti italiani nella top 200 (nessuna nazione fa meglio dell’Italia) un numero che non ha precedenti recenti per il nostro movimento: solo un anno e mezzo fa il 2017 era chiuso con nove italiani e mai si erano superati, in questi ultimi diciotto anni, le undici presenze azzurre tra i primi 200 tennisti al mondo.

Il periodo vissuto dal nostro settore maschile è, da qualunque prospettiva lo si guardi, ottimo: la prima vittoria di un torneo Masters 1000 da parte di un italiano, avvenuta con un Fognini che ha buone possibilità di accedere anche alla top 10. Un obiettivo che un tennista azzurro non raggiunge da oltre quaranta anni (l’ultimo a riuscirci è stato Barazzutti a fine 1978). Il successo a Montecarlo rappresenta la punta di un iceberg di un movimento che nel 2019 ha visto Cecchinato confermarsi nella top 20 e vincere a febbraio l’ATP di Buenos Aires, Berrettini conquistare a 23 anni il suo secondo titolo e Sonego, coetaneo del romano, raggiungere i quarti di finale del quarto torneo Masters 1000 giocato in carriera. Si può dunque capire perché nella Race il tennis italiano si ritrovi addirittura con quattro tennisti nella top 50 e sette giocatori nella top 100. Rispetto alla classifica che raccoglie i risultati degli ultimi dodici mesi, non c’è Fabbiano, ma si aggiungono il 24enne Gianluca Mager (vincitore di due Challenger nel 2019) e il classe 91 Stefano Travaglia, vincitore la scorsa settimana a Francavilla.

Senza dimenticare che qualche giorno fa il minorenne Sinner ha confermato quanto di buonissimo fatto vedere a livello Futures e Challenger, ottenendo a Budapest la prima vittoria a livello del circuito maggiore. Una situazione più che positiva rispetto agli standard a cui ci eravamo tristemente abituati negli ultimi trent’anni, i cui meriti alla federazione vanno riconosciuti tutti. Sebbene, vedendo il corrispondente stato comatoso del nostro settore femminile, che è difficilmente ipotizzabile sia volutamente trascurato (e in quel caso, comunque, sarebbe molto grave), venga da pensare che la componente casualità abbia dato il suo innegabile contributo all’ottimo momento dei nostri uomini.

9 le sconfitte consecutive rimediate da Lucas Pouille dallo scorso ottobre, ovviamente ad eccezione della semifinale raggiunta dal francese agli ultimi Australian Open. Il tennista transalpino vive ormai un lungo periodo di grande crisi di risultati, iniziato in corrispondenza della finale conquistata a Dubai nel febbraio 2018. Dopo quel torneo, escludendo lo Slam Down Under, non ha mai più vinto tre partite di seguito, vedendo la sua crisi farsi sempre più nera, a partire dalla vittoria nella semifinale di Davis tra Francia e Spagna contro Bautista Agut. Dopo quel successo e con l’inizio della stagione autunnale indoor, l’ex 10 del mondo (nel marzo dell’anno scorso), sino a Melbourne aveva vinto una sola delle cinque partite giocate, scivolando fuori dalla top 30. Pouille a fine 2018 sentiva quindi la necessità di una scossa e prendeva la coraggiosa decisione di interrompere dopo sei anni il sodalizio con il coach che lo aveva accompagnato nella sua ascesa nel mondo pro, Emmanuel Planque.

Lo scorso dicembre annunciava anche l’inizio del sodalizio con Amelie Mauresmo, ex campionessa e capitano di Fed Cup, nonchè ex allenatrice di Andy Murray tra il 2014 e il 2016, quando divenne la prima allenatrice donna di un top ten. La nuova collaborazione era iniziata come meglio non si sarebbe potuto: semifinale nel primo Major del 2019 (sconfiggendo tra gli altri Coric e Raonic). Dopo quell’acuto, però, Lucas è ripiombato in un momento difficile, rimediando ben cinque sconfitte al primo turno, quattro delle quali contro tennisti non nella top 50 del ranking (l’ultima, contro Ferrer a Barcellona). Una serie nera che ha spinto Lucas a cercare vittorie che gli facciano tornare una componente fondamentale nel tennis, la fiducia: per riuscirci, dopo più di tre anni è tornato questa settimana a giocare un Challenger, a Bordeaux. Le prossime settimane ci diranno se sarà stata una scelta capace di pagare positivamente.

9 (bis) i tennisti italiani impegnati nei tornei ATP e WTA la scorsa settimana. La maggior soddisfazione è arrivata dalla vittoria a Budapest di Matteo Berrettini, al secondo titolo della sua giovane carriera. L’allievo di Vincenzo Santopadre è arrivato a Budapest reduce da quattro eliminazioni consecutive al primo turno e dall’aver vinto due partite consecutive nel 2019 solo a Sofia (semifinale) e nel Challenger vinto a Phoenix. A 23 anni appena compiuti, Matteo ha giocato e vinto con carattere (4-6 6-3 6-1) la seconda finale della carriera contro Krajinovic: per accedervi, ha sconfitto in due set due top 40 come Kukushkin al primo turno (duplice 6-4) e Djere in semifinale (6-4 6-2) e, sempre senza perdere un parziale, ha avuto la meglio in due parziali su Bedene (7-6 6-2) in ottavi, mentre più fatica è occorsa nei quarti contro un terraiolo esperto come Cuevas (6-3 1-6 6-3). A 23 anni, nessuno degli italiani (Fognini, Seppi, Gaudenzi, Furlan e Camporese) arrivati nella top 20 negli ultimi quattro decenni aveva già vinto due titoli e solo il faentino e il bolognese avevano una classifica da top 30 a quell’età (Matteo questa settimana è 37 ATP). Sono dati che possono voler dire poco, ma senz’altro benauguranti per il futuro di Berrettini.

Erano a Budapest anche gli altri azzurri impegnati la scorsa settimana: quarta sconfitta consecutiva negli ultimi mesi sulla terra per Seppi, sebbene sfortunata – tre set lottati – contro Krajinovic, mentre resta ancora fermo a Melbourne il ricordo dell’ultima vittoria in un torneo ATP per Fabbiano, sconfitto nella capitale magiara in tre set da Haase (6-7 6-3 6-2). Arriva invece molto presto, ad appena 17 anni e 251 giorni, la prima vittoria di Jannik Sinner nel circuito maggiore: ripescato nel tabellone principale dopo essere stato sconfitto da Maden nelle quali, il giovane azzurro è stato bravo ad avere la meglio (6-2 0-6 6-4) su Valkusz, 323 ATP. La sua successiva sconfitta patita da Djere – raccogliendo quattro game – non preoccupa ed è fisiologica in un percorso ancora lunghissimo, ma partito davvero bene. Nelle quali del torneo ungherese erano infine presenti anche Giannessi, Marcora e Baldi, ma tutti si sono fermati al primo turno.

Tra le donne, nel ricco Premier di Stoccarda, Giulia Gatto-Monticone ha confermato di stare vivendo a 31 anni e mezzo il migliore momento della sua carriera, sconfiggendo nelle quali la tennista dalla migliore classifica mai battuta, Jakupovic, 103 WTA. Battuta da Minnen nel turno decisivo delle quali, e poi ripescata nel tabellone principale come lucky loser, ha esordito in un Premier perdendo a testa alta da Vekic (6-1 7-5), 25 WTA. A giocare l’International di Istanbul vi era invece la sola Martina di Giuseppe, ma si è fermata al secondo turno del tabellone cadetto, sconfitta da Kudermetova.

25 le partite vinte nel 2019 da Daniil Medvedev. Nessun tennista ha vinto tante partite nei primi quattro mesi dell’anno: seguono, in questa particolare classifica, Auger-Aliassime con 20, Tsitsipas e Pella con 19, Federer con 18. Un dato piuttosto indicativo sull’ottimo periodo di forma del russo, a circa un mese abbondante dal giro di boa della stagione. E se è vero che nel tennis, così come non tutti i punti sono uguali alla stessa maniera, nemmeno le vittorie lo sono (e infatti nella Race Daniil è “solo” al quinto posto), il best career ranking raggiunto dal 23enne russo, 14 ATP, conferma come il finalista di Barcellona sia sempre da tenere d’occhio. Se infatti a inizio stagione potevano essere in qualche modo attesi i suoi risultati di ottimo livello sul cemento all’aperto (la finale a Brisbane e gli ottavi a Melbourne, dove è stato l’unico tennista a mettere in seria difficoltà Djokovic) o sul duro indoor (la vittoria a Sofia e la semi a Rotterdam), molto meno pronosticabili sono stati la semi a Montecarlo o la finale in Catalogna.

Medvedev, ormai da due anni e mezzo nella top 100, non aveva in precedenza infatti mai raggiunto i quarti sulla terra (o gli ottavi in un Masters 1000 sul rosso). Nelle scorse due settimane si è invece prodotto in ben tre vittorie contro top 10 (Tsitsipas, Djokovic e Nishikori), mostrando di avere acquisito sufficiente abitudine sul rosso per essere competitivo ai massimi livelli anche su tale superficie. A Barcellona, sconfitto nettamente in finale da Thiem, prima di eliminare in semifinale al termine di una lunga battaglia Nishikori (6-4 3-6 7-5), aveva perso solo un set contro tre tennisti non presenti nella top 50: nell’ordine, Ramos (6-3 3-6 6-1), McDonald (6-3 6-2) e Jarry (6-3 6-4).

59 le vittorie ottenute nei diciannove tornei giocati sulla terra battuta da Thiem da inizio 2017 in poi. L’attuale numero 5 al mondo è il primatista in tal senso di una classifica di vittorie sul rosso negli ultimi due anni e mezzo, ovviamente indicativa solo in maniera molto parziale dei valori assoluti (contano, in termini di coefficienti, molto il prestigio dei tornei dove le partite sono state vinte e la bravura degli avversari sconfitti). In ogni caso, l’austriaco conduce davanti ai 56 successi di Nadal (in appena dodici tornei!), ai 42 di Fognini (in diciannove competizioni), ai 39 di Zverev (in quindici), ai 35 di Pella (in ventidue tornei), ai 25 di Djokovic (in dieci) e ai 24 di Cecchinato (in venti).

A inizio 2017 l’austriaco era già arrivato nella top 10, aveva vinto sette tornei (tutti ATP 250, di cui cinque sulla terra), ma nei grandi appuntamenti non si era mai imposto all’attenzione generale (ad eccezione della semifinale del Roland Garros 2016 e ad appena tre quarti nei Masters 1000, di cui solo uno sulla terra). Il classe 93 è stato poi capace di trovare la definitiva maturazione e imporsi come secondo giocatore più forte al mondo sulla terra rossa, grazie a un’altra semi nel 2017 e alla finale dello scorso anno nello Slam parigino, a due finali a Madrid e a ben tre vittorie sul più grande di sempre sul rosso, Nadal. Nel 2019, che pure lo aveva consacrato giocatore completo con la vittoria di Indian Wells, non aveva ancora fatto bene sulla terra rossa, perdendo da Cecchinato (Buenos Aires), Djere (Rio) e Lajovic (Montecarlo).

A Barcellona si è ripreso l’eredità di favorito alla successione di Nadal, quando il maiorchino deciderà di non avere più le forze per dominare il Roland Garros. Sconfiggendolo in semifinale (con un duplice 6-4), l’austriaco, dopo i sette successi di Djokovic, è il tennista ad averlo in assoluto battuto più volte. In Catalogna il trionfo è stato totale: Thiem, pur avendo di fronte specialisti del rosso e/o tennisti dall’ottima classifica (nell’ordine, Schwartzman, Munar, Pella e, in finale, Medvedev), per ottenere il titolo, nelle altre quattro partite ha lasciato appena 23 giochi.

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