Stessa spiaggia, stesso mare?

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Stessa spiaggia, stesso mare?

Thiem e Nadal si ritrovano di fronte, nella finale del Roland Garros, dopo dodici mesi. L’austriaco viene da un tour de force, ma questo sembra giovargli. Nadal? Il solito

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Rafael Nadal e Dominic Thiem - Roland Garros 2018 (foto Gianni Ciaccia, @Sportvision)
 

Idealmente tormentato dalla cattiva sorte, da una specie di karma avverso, con gli astri quasi beffardamente allineati allo scopo di fargli perdere la pazienza, Dominic Thiem se n’è decisamente infischiato e ha fatto la stessa cosa che aveva fatto lo scorso anno, ovvero qualificarsi per la finale del Roland Garros. Purtroppo per lui, ma erano in pochi a credere il contrario, di fronte si troverà ancora quel Mortirolo tennistico a nome Rafael Nadal.

La sua biografia minima dell’ultimo mese, dopo aver più o meno dominato il Godò di Barcellona (Nadal compreso), è stata piuttosto accidentata. Comprende il trattamento a suo dire indecoroso ricevuto a Roma in occasione del Manic Thursday, quando eruppe in conferenza stampa dopo essere stato eliminato da Verdasco, una vicenda parigina un po’ grottesca che l’ha visto costretto ad abbandonare la sala stampa per lasciare spazio a Serena e infine il gioco di sospensioni e riprese contro Djokovic, durato due giorni: vento, pioggia ‘che poi non lo era’, l’interruzione che sembrava studiata appositamente per vanificare il suo vantaggio mentale e di punteggio, la ripresa, i due gratuiti di rovescio con i quali si è fumato (lui, che di vizi sembra non averne!) altrettanti match point e poi comunque la vittoria.

Insomma, non si può dire che gli abbiano steso il tappeto rosso. Ma Dominic, ben abituato a faticare più del dovuto per conquistare i suoi traguardi, ha contenuto a tirare certe clavate che alla fine persino quel gran pezzo di stratega di Djokovic non è riuscito a ribaltare l’inerzia della partita. Personaggio di rara bonomia l’austriaco, ha persino detto in conferenza che non è un gran problema se deve giocare quattro giorni di fila, insomma più il cielo gliene combina più lui rimane composto e vince le partite. Non scalderà i cuori, non aizzerà le penne più estrose, ma è doveroso fargli un treno di complimenti per quello che sta ottenendo. E poi ha ragione Federer: il suo ‘austro-inglese’ è uno degli accenti più divertenti del circuito.

Ora il problema, ritrovando il filo, è quel satanasso di Rafa. Dom lo ha battuto quattro volte, sempre sulla terra, mai però qui a Parigi (tre incroci, altrettante batoste, l’ultima nella finale di dodici mesi fa). Certo ha dimostrato di poterlo portare davvero allo stremo delle forze. Un po’ meno di un anno fa, sull’Arthur Ashe, lo ha tenuto in campo quasi cinque ore e nonostante ne sia uscito sconfitto ha praticamente messo fine al torneo dello spagnolo, che in semifinale avrebbe poi deposto le armi contro del Potro senza neanche concludere l’incontro.

Quello però era cemento, superficie sulla quale Dominic sembrava fare una fatica dell’anima prima di sbocciare un po’ a sorpresa a Indian Wells. Qualcuno potrebbe pensare che, essendo Nadal un giocatore ‘da veloce’ molto più di quanto lo sia Thiem, dal fatto che a New York la partita sia stata così lottata se ne dovrebbe dedurre che ci sono tutti gli elementi perché possa esserlo anche sul Philippe Chatrier. Eppure non è così, il tennis va d’accordo solo a tratti con la logica, anzi, più che altro è il Roland Garros che risponde quasi esclusivamente alla logica di Nadal.

Se questo signore qui ha passato un terzo della sua vita a vincere il torneo dedicato all’aviatore di Saint-Denis (che la sublime Andrea Petkovic ha avuto l’ardire di definire ‘freaking pilot‘ in uno dei thread Twitter più divertenti che il sottoscritto abbia letto, almeno quanto alle faccende del tennis; se anche la WTA fosse da buttare, e non lo è affatto, meriterebbe se non altro di essere salvata per amore di Andrea), beh c’è qualcosa di incredibilmente speciale che gli scorre nelle vene, persino oltre il fatto che sia uno dei tre fenomeni del ventennio in corso.

Potrebbe qundi valere la pena di capire in cosa – e se, prima di tutto – è migliorato Thiem in questi dodici mesi, in modo da prefigurarsi l’eventuale possibilità che possa fare più dei nove game dello scorso anno. Qualche variazione l’ha implementata. Utilizza di più il back di rovescio e soprattutto questa palla corta con effetto esterno, dal numero vorticoso di giri, che tante vittime ha mietuto in settimana. Nonostante la sua posizione di partenza rimanga sempre molto arretrata, sembra anche leggermente più propenso ad aggredire il campo. Sostanzialmente la disamina tattica si esaurisce qui: il braccio per tirare vincenti dai teloni lui ce l’ha, è uno dei pochi che può farlo assieme a Rafa, ma (tanto più essendo al quarto impegno consecutivo) non potrà impostare tutta la partita così. Difficilmente potrà uscirne inventandosi giocatore verticale o creativo, perché Nadal è più bravo tanto a rete quanto in generale nel tocco.

Inutile girarci attorno, è difficile che Thiem possa vincere, ma è comunque un po’ meno difficile dello scorso anno. Questo potrebbe bastare per augurarsi, magari persino attendersi, una finale degna d’essere chiamata tale. E se quello lì farà dodici, ci toglieremo un altro cappello. Che altro dovremmo fare?

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