Djokovic e Pospisil sulla rinuncia al Player Council: "Che la norma sul conflitto d'interessi sia applicata per tutti"

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Djokovic e Pospisil sulla rinuncia al Player Council: “Che la norma sul conflitto d’interessi sia applicata per tutti”

I fondatori della PTPA non hanno potuto correre per la rielezione in virtù di una norma creata ad hoc. Hanno ragione?

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PTPA, la foto degli aderenti
 

Novak Djokovic e Vasek Pospisil, i due volti della Professional Tennis Players Association o PTPA, hanno deciso di parlare della loro esclusione dal Player Council dell’ATP da cui si erano dimessi ad agosto. Fondata la sera della finale del Western & Southern Open di Cincinnati (quest’anno svoltasi sul Grandstand di Flushing Meadows), la PTPA si propone di difendere gli interessi dei giocatori, una missione che però coincide (e soprattutto collide) con quella che l’ATP ha intrapreso dal 1973 ad oggi. Per questo motivo, quando i due sono stati nominati per rientrare nel consiglio è stata passata una norma che impedisce ai membri di altre associazioni giocatori di far parte del consiglio, impedendo di fatto a Djokovic e Pospisil, ma anche a Isner e Querrey, di rientrare – i loro posti obbligatoriamente abbandonati sono stati occupati da Murray, Auger-Aliassime, Chardy e Millman. Entrambi hanno sempre ribadito in diverse occasioni di non voler fare la guerra all’ATP, sostenendo di aver tenuto aperti i rapporti con Andrea Gaudenzi, ma evidentemente l’establishment del tennis maschile è di altro avviso.

Ora che è passato un po’ di tempo (l’elezione si è svolta durante le Finals), Djokovic ha deciso di scrivere un lungo post su Instagram: “Innanzitutto vorrei dire che come sempre sono grato del supporto e della fiducia mostratemi da coloro che mi hanno nominato per difendere gli interessi collettivi dei giocatori in seno al consiglio direttivo. La mia prima reazione è stata di accettare la nomination con l’intenzione, se eletto, di fare del mio meglio per proteggere gli interessi dei giocatori all’interno dell’ATP“.

“Tuttavia, qualche giorno dopo la mia nomination l’ATP ha fatto passare una nuova norma che mi ha messo in una posizione complicata, stabilendo che i membri della PTPA o di qualunque associazione vista come in ‘conflitto d’interessi’ con l’ATP non possono essere eletti nel Player Council. Come sapete, io faccio parte della PTPA, un’organizzazione creata recentemente senza la minima intenzione di entrare in conflitto con l’ATP. La PTPA deve ancora darsi una struttura e stabilire i propri piani a lungo termine, e, nonostante abbiamo detto chiaramente di non voler combattere l’ATP, non è chiaro come quest’ultima vedrà la nostra associazione in futuro“.

“Sfortunatamente, visti questi ultimi sviluppi, sento la necessità di ritirare il mio nome dalla rosa dei candidati. Non voglio creare conflitti o gettare ombre sull’elezione dei miei colleghi giocatori. Prendo questa decisione con riluttanza. Ho sempre avuto a cuore il mio ruolo di rappresentanza. Credo davvero che ci sia una via per migliorare la qualità della vita dei miei colleghi, soprattutto quelli con una classifica più bassa, e per avere un impatto significativamente positivo sul gioco del tennis nel suo complesso. Sono sicuro che la PTPA riuscirà ad ottenere questi risultati nel prossimo futuro”.

“Prima di concludere, voglio solo dire che penso sia importante non avere conflitti d’interessi nel mondo del tennis. Spero che da qui in avanti questo principio non venga applicato solo alla creazione di nuove associazioni giocatori ma anche ai più alti livelli della dirigenza ATP“.

La decisione dev’essere stata presa di concerto, perché a stretto giro sono arrivate anche le più lapidarie parole di Pospisil (che ripetono sostanzialmente le stesse cose), pubblicate via Twitter:

“Salve a tutti, poco tempo fa sono stato nuovamente indicato dai miei colleghi per essere eletto al Player Council. Ho preso seriamente la portata di questa nomination, perché ho molto a cuore l’idea di apportare cambiamenti positivi per un parco giocatori che fa parte di un sistema progettato per osteggiarli. Prima che potessi prendere una decisione in merito alla possibilità di correre di nuovo per un posto nel consiglio, l’ATP ha passato una norma pensata specificamente per impedire ai membri della PTPA di far parte del consiglio a prescindere dal grado di supporto ricevuto dagli altri giocatori. La spiegazione fornita per questa decisione è la volontà di evitare l’elezione di membri con potenziali conflitti d’interesse”.

“In virtù di questa nuova regola non mi restano considerazioni di merito da fare, e ho quindi rimosso il mio nome dalla lista dei candidati. Credo sia estremamente importante non avere conflitti d’interesse nel nostro sport; tuttavia, penso anche che lo stesso principio dovrebbe valere ad ogni livello della governance ATP, comprese la dirigenza e il gruppo direttivo, e non solo per le associazioni che rappresentano i giocatori. Continuerò a lavorare per far sì che ci sia trasparenza nel tour e che i giocatori vengano trattati come partner nel business del tennis”.

L’impressione è che nessuna delle due parti in causa stia giocando una buona partita: i membri della PTPA parlano di non conflittualità ma hanno deciso di fondare la loro associazione nel momento economicamente peggiore per il tennis mondiale, annunciando peraltro il coup nottetempo, una mossa che di sicuro non sarà stata apprezzata e dal management di Gaudenzi e dai giocatori tenuti all’oscuro. Inoltre, il nuovo sindacato ha più o meno manifestamente fatto trasparire (nelle parole di Djokovic) la mancanza di “una struttura o di piani a lungo termine”, mancanza che peraltro si è tradotta in una mossa di PR negativa, e.g. il mancato coinvolgimento di giocatrici WTA, cosa che secondo Pospisil è nei piani ma ritardata, appunto, dall’assenza di una strategia precisa.

La domanda che sorge spontanea quindi è: se la PTPA è lontana dall’essere un’organizzazione matura, perché fondarla adesso? E le risposte che sorgono spontanee sono: a) perché adesso è il momento in cui si sarebbe potuto arrecare più danno all’establishment; o b) perché le voci di una fusione fra ATP e WTA vanno contro agli interessi della nuova associazione.

Delle due la prima sembra più probabile, visto che in tempi non sospetti Pospisil aveva difeso l’idea della fusione dalle critiche di Nick Kyrgios, e perciò sembra sbagliato bollare la PTPA come misogina. Detto questo, però, se la prima risposta è quella corretta non si può fingere che non si sia cercato uno sgarbo diretto nei confronti dell’ATP, e non ci si può stupire nel momento di una reazione – il doppista brasiliano Bruno Soares parrebbe aver vissuto lo stesso percorso al contrario, d’altronde, venendo escluso dalla chat della nuova organizzazione in quanto membro dell’ATP Council.

D’altro canto, però, l’ATP ha le sue pecche, compresa la tempistica della norma anti-Djospisil: la PTPA ha l’innegabile supporto di molti giocatori, ed era quindi piuttosto prevedibile che questo venisse utilizzato pubblicamente, per esempio per far rieleggere i propri rappresentanti, ed è quindi piuttosto strano che si sia pensato di rendere illegale la loro nomina così a ridosso delle elezioni. Un’altra caduta di stile è stata sicuramente l’assenza dei dirigenti (Gaudenzi compreso) a Flushing Meadows, cosa che certamente non ha destato una grande impressione – siamo sicuri che la PTPA sarebbe stata fondata in quel momento se l’associazione giocatori avesse fatto sentire maggiormente la propria presenza a New York, dove nonostante la giurisdizione “aliena” del Billie Jean King National Tennis Center si stava giocando un Masters 1000, uno dei tornei di maggior prestigio del circuito nonché il primo dopo la sospensione?

E anche le critiche su un eventuale doppiopesismo e violazioni anti-trust non sono in fondo così campate per aria: la recentissima riapertura alle agenzie di scommesse ha il benestare dello stesso Gaudenzi, che ha lavorato con Bwin dal 2006 al 2011, e il Board of Directors comprende nomi come quello di Gavin Forbes (figlio del recentemente scomparso Gordon), che è vice-presidente IMG, una multinazionale che rappresenta sia dei tornei (come Miami) che dei giocatori (Djokovic stesso) – non deve quindi stupire che qualche giocatore possa sentirsi sotto-rappresentato.

L’ATP, con la sua suddivisione del potere ecumenica fra giocatori e tornei, ricalca quella delle leghe USA (come logico per la propria storia, visto che al tempo della sua fondazione il tennis era un gioco americano, vista la presenza della WCT e la sproporzionata produzione di giocatori di alto livello), dove la trattativa sindacale si articola sempre fra giocatori e owners. Il problema di questo sistema è che non è perfettamente sovrapponibile a quello di una NBA o di una NFL: il tennis si gioca in tutto il mondo (creando conflitti giuridici per una corretta suddivisione dei poteri) in una forma “aperta” (il numero dei tornei, la loro dimensione e i loro guadagni sono estremamente variabili), è estremamente frammentato in termini di diritti TV/streaming e media, e non ha un salary cap che garantisca ad ogni giocatore un conguaglio.

Il conflitto fra ATP/WTA e PTPA potrebbe quindi incanalarsi su questi binari in futuro: da un lato i due organi governativi cercheranno una maggiore unità per accrescere i profitti e redistribuirli incrementando il valore del brand del gioco (una strategia top-down), mentre l’associazione di Djokovic e Pospisil tenterà di far valere le ragioni dei giocatori singoli di torneo in torneo (cercando di costruire bottom-up). Magari non sarà una dicotomia dannosa per il gioco, anche se certo, forse sarebbe stato meglio per la PTPA decidere prima cosa fare da grande.

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WTA Miami: Kvitova, prima finale al Sunshine Double

Petra Kvitova vince in rimonta il primo set poi chiude di slancio il secondo sconfiggendo Sorana Cirstea. Per lei l’ostacolo Rybakina per tentare il ritorno in Top 10

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Petra Kvitova - Miami 2023 (foto Ubitennis)

(da Miami il nostro inviato)

[15] P. Kvitova b. S. Cirstea 7-5 6-4

Nella sua novantanovesima apparizione in un torneo WTA 1000 Petra Kvitova è riuscita a raggiungere la sua prima finale al Miami Open sconfiggendo in due set una delle giocatrici più calde di questo periodo di stagione, la rumena Sorana Cirstea.

 

Un irresistibile strappo tra la fine del primo set e l’inizio del secondo che le ha permesso di vincere sette giochi consecutivi ha deciso la partita in favore della ceca, che dopo aver iniziato il match sbagliando un po’ troppo alla ricerca di angoli molto accentuati, ha poi messo a fuoco il mirino ed è stata assolutamente irresistibile facendo letteralmente a brandelli la seconda dell’avversaria (2 punti su 13 per un 15% nel primo set, per poi chiudere con un globale 26% a fine match).

PRIMO SET – Inizio di partita molto equilibrato tra due giocatrici che si conoscono molto bene, essendosi incontrate già 10 volte in oltre un decennio a tutte le latitudini e su tutte le superfici. Kvitova provava a sfruttare le sue traiettorie mancine tagliando il campo con angoli molto acuti. La ceca arrivava per prima alla palla break, ma Cristea rispondeva alla situazione molto bene. Sul 3-2 era Cirstea che con tre splendide risposte vincenti (o quasi) si conquistava tre palle break, tutte però annullate da colpi lungolinea di Cirstea che mancavano il bersaglio. Sulla quarta però il suo rovescio incrociato finiva in corridoio concedendo il primo allungo alla rumena.

Kvitova continuava imperterrita a cercare gli angoli, ma la precisione le faceva difetto, e Cirstea, dopo che i suoi fan erano stati redarguiti dall’agente di Kvitova per aver fatto rumore tra la prima e la seconda di servizio, rimontava da 0-30 issandosi 5-2.

Nel game in quale Cirstea serviva per il set sul 5-3, Kvitova trovava tre splendidi colpi risalendo da 40-15 a palla break, ma mancava poi la risposta sul punto decisivo. Due punti più tardi le andava meglio, affondando il rovescio dell’avversaria con un lungolinea e recuperando il break di svantaggio per il 5-4.

Con un parziale di 13 punti a 1, Kvitova rivoltava il set come un calzino recuperando il break di svantaggio e mettendosi nella posizione di servire per il set sul 6-5. Anche per la ex campionessa di Wimbledon servire per il set non era una cosa banale: un doppio fallo e un gratuito da fondo la portavano 0-30, ma quattro punti consecutivi le consentivano di chiudere il parziale 7-5 dopo 58 minuti di gioco, 16 minuti più tardi rispetto ai set point avuti da Cirstea.

SECONDO SET – La furia di Kvitova non si arrestava anche nel secondo parziale: portava a sette i giochi consecutivi vinti sprintando subito sul 2-0. Petra sembrava incapace di sbagliare, tutti i suoi colpi finivano sulla riga, tanto da indispettire un po’ Cirstea che chiamava “il falco” per controllare il punto di rimbalzo della palla. Sullo 0-2 15-40, con due chance del secondo break, la rumena aveva un’impennata d’orgoglio e metteva a segno quattro vincenti per rimanere in scia dell’avversaria.

Da lì in poi però Kvitova diventava sempre meno trattabile sui suoi servizi, arrivava a servire per il match sul 5-4 quando sciupava il primo match point con un doppio fallo, ma sul secondo una micidiale curva mancina le consegnava la sua prima finale a Miami per tentare di conquistare il suo nono titolo WTA 1000.

Con questo risultato Kvitova è sicura di risalire almeno al n.11 del ranking WTA lunedì prossimo, e potrà rientrare nelle Top 10 in caso di vittoria del torneo. Nel match decisivo di sabato (ore 15 locali, le 21 in Italia), Kvitova affronterà Elena Rybakina, contro la quale ha disputato due incontri, peraltro piuttosto recentemente (a Ostrava a fine stagione nel 2022 e lo scorso gennaio ad Adelaide), portando a casa una vittoria nell’ultima occasione.  

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Inizia la “Wild Card Challenge”: in palio posti in tabellone al Roland Garros per i tennisti americani

Continua la collaborazione fra USTA e FFT: verranno scelti un tennista e una tennista statunitensi in base ai punti ottenuti nelle prossime cinque settimane

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Court Philippe-Chatrier - Roland Garros 2022 (foto Roberto Dell'Olivo)

Inizia lunedì 3 aprile la “Wild Card Challenge”: quattro settimane di tennis ATP e cinque di tennis WTA sulla terra battuta europea durante le quali sarà costituita una sorta di Race to Paris riservata ai soli tennisti americani, da cui sono esclusi coloro ammessi in tabellone direttamente o con il ranking protetto o sono in top 50 all’inizio della sfida. Colui e colei che avranno ottenuti più punti in classifica verranno premiati con una wild card per il secondo grande slam della stagione; In caso di arrivo a pari punti, otterrà la wild card il giocatore col miglior ranking la settimana immediatamente successiva alla scadenza delle quattro/cinque settimane. 

Continua così la stretta collaborazione fra la federazione americana, la USTA, e quella francese, la FFT, che si ripeterà a parti invertite in occasione dello US Open. Tempo fino al 24 aprile (o al primo maggio), dunque, per ottenere in un massimo di tre eventi ATP o WTA il maggior numero di punti possibili. L’iniziativa va avanti dal 2012, e ha visto guadagnare un pass per il torneo a nomi ben noti: Shelby Rogers (2013), Frances Tiafoe (2015), ma anche Tommy Paul (nel 2019). 

2022: Michael Mmoh (1R); Katie Volynets (2R) 

 

2019: Tommy Paul (1R); Lauren Davis (2R) 

2018: Noah Rubin (1R); Taylor Townsend (2R) 

2017: Tennys Sandgren (1R); Amanda Anisimova (1R) 

2016: Bjorn Fratangelo (2R); Taylor Townsend (2R) 

2015: Frances Tiafoe (1R); Louisa Chirico (1R) 

2014: Robby Ginepri (1R); Taylor Townsend (3R) 

2013: Alex Kuznetsov (1R); Shelby Rogers (2R) 

2012: Brian Baker (2R); Melanie Oudin (2R) 

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Gael Monfils: “Spero di poter scendere in campo a Montecarlo”

Il francese ha dato aggiornamenti sulle sue condizioni dopo l’infortunio al polso

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Gael Monfils - Indian Wells 2022 (foto Twitter @bnpparibasopen)

Gael Monfils sta lentamente facendo il suo ritorno sul circuito. A causa di un infortunio al piede, l’ormai trentaseienne francese era rimasto fermo per ben sette mesi, dagli ottavi di finale della Rogers Cup 2022 al recente Indian Wells. 

Il rientro non è stato dei migliori: nel torneo che un anno fa l’aveva visto battere l’appena proclamato numero uno del mondo Daniil Medvedev, il francese ha racimolato soltanto quattro giochi contro l’australiano Jordan Thompson, giocatore esperto ma certamente alla portata di un Monfils anche solo in forma discreta. Gael si è allora spostato a Phoenix, quel prestigioso Challenger che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Matteo Berrettini. Come il romano, anche il francese ha trovato sulla sua strada il finalista Alexander Shevchenko, che in una settimana si è tolto una doppia prestigiosa soddisfazione nel battere entrambi.  

 

Il momento più preoccupante del fallimentare sunshine double è stato tuttavia quello conclusivo: sceso in campo a Miami contro il connazionale Humbert (anche lui in una crisi, la sua quasi perenne) è stato costretto a ritirarsi dopo appena sei giochi, a causa di un nuovo infortunio, questa volta al polso. Molti allora, fra la stampa e gli addetti ai lavori, hanno cominciato ad interrogarsi sul prosieguo della carriera del francese.  

Ma a spazzar via l’aria di ritiro che aleggiava da giorni ci ha pensato lo stesso Gael, con un articolo pubblicato sul suo blog personale. “Sì, è deludente” ha esordito il francese, “ma non è nemmeno una catastrofe”, e qui il riferimento al mondo giornalistico è esplicito: “Puoi dire che ho giocato male, che ho perso al mio ritorno, non preoccuparti. Ma non definirmi demoralizzato, finito o pronto a rinunciare solo per ottenere più clic2. Una reazione piccata, dunque, quella di Monfils, che ci ha tenuto a far sapere che è invece “entusiasta di essere tornato”. 

 Il francese ha inoltre aggiornato sulla situazione del nuovo infortunio: “Non è una lesione grave: è un’infiammazione, legata a un problema neuro-muscolare. Infiltrazioni, ultrasuoni e terapia TECAR dovrebbero rimediare.” Infine, le prospettive sul rientro in campo: “Con un po’ di fortuna, sarò in campo tra due settimane, a Montecarlo”

Dunque Monfils non si sbilancia, ma risponde alle critiche e rilancia. Se la sua speranza di tornare sulla terra di Montecarlo si tramuterà in realtà tangibile lo scopriremo nelle prossime settimane. 

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