Niki Pilic e il boicottaggio di Wimbledon 1973: "Non era una questione personale, ma tra ATP e ITF" [ESCLUSIVA]

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Niki Pilic e il boicottaggio di Wimbledon 1973: “Non era una questione personale, ma tra ATP e ITF” [ESCLUSIVA]

Parla l’uomo del boicottaggio di Wimbledon 1973: “Non so se Wimbledon ce l’ha con me. So solo che facemmo quello che dovevamo”

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Niki Pilic e Fabio Fognini a Belgrado 2022 (foto Ubitennis)
 

In occasione dell’ATP Belgrade Open 2022, il direttore Ubaldo Scanagatta ebbe occasione di intervistare Niki Pilic l’uomo del boicottaggio di Wimbledon 1973, nonché ex numero 6 del mondo e vincitore di 9 titoli in carriera. Riascoltiamo le sue parole, seguite dall’intervista che lo stesso Pilic ha concesso ieri a Stefano Semeraro per La Stampa.

Intervista di Stefano Semeraro, La Stampa, 02/07/2023

Sono passati 50 anni dal boicottaggio che cambiò la storia di Wimbledon e del tennis. A innescarlo in apparenza fu la querelle fra il croato Niki Pilic e la federazione jugoslava, in realtà fu il culmine della guerra fra ATP e la Federazione internazionale, e ben 81 tennisti si rifiutarono di giocare. Allora il torneo lo vinse Kodes in finale sul georgiano Metreveli. Oggi, a 83 anni, Pilic è più agguerrito che mai.

Pilic, fu tutta colpa sua? Si rifiutò di giocare in Davis contro la Nuova Zelanda, la Yugoslavia perse in casa e la federazione capeggiata da suo zio la squalifico impedendole di giocare a Wimbledon, scatenando così la reazione dell’ATP.
«No: avevo avvertito da cinque mesi la federazione che non avrei potuto essere a Zagabria: in contemporanea si giocava il Masters di doppio a Montreal. Avevo preso un impegno e non potevo non onorarlo. E nessuno dice che per la Yugoslavia in Davis ho giocato per vent’anni».

Quel boicottaggio fu una rivoluzione.
«La più importante degli ultimi 50 anni. Allora a Wimbledon giocavi per 50 sterline, non bastavano neppure a mangiare, se pioveva negli spogliatoi non ci stavano neanche in piedi. Ci battemmo per una causagiusta».

Il braccio di ferro durò un mese, e voi teneste duro.
«Il Club credeva che avremmo ceduto: si ritrovarono al terzo turno gente ripescata dalle qualificazioni che non poteva giocare a tennis. Una mentalità vecchia di trent’anni. Dopo ottenemmo quello che chiedevamo: campi per allenarci, un trattamento adeguato. Fu un successo».

Chi erano i più agguerriti del difendere i diritti dei tennisti?
«Io, Newcombe, Drysdale e McManus. Poi arrivarono Ashe ed El Shafei. Al boicottaggio aderirono Stan Smith, che era il campione uscente, Ken Rosewall che sapeva di non avere più tante occasioni. Anche Adriano Panatta e Paolo Bertolucci la pensavano come noi».

L’anno scorso si era parlato di un nuovo boicottaggio per il bando di russi e bielorussi a Wimbledon.
«Impossibile! I russi sono stati esclusi e l’Atp che ha fatto per i suoi iscritti? Ha tolto i punti a chi ha giocato: non una buona idea. Basta incolpare Boris Johnson. Rublevvoleva giocare a tennis, non importa quello che fa Putin».

Indifferenza o troppo benessere?
«Troppi soldi in ballo, troppi interessi. Djokovic ha provato a fare qualcosa per i giocatori più deboli: nessuno lo ha appoggiato. Eppure se oggi il tennis è così ricco lo deve alle nostre battaglie».

A proposito: Novak le riconosce grande merito per la sua crescita.
«È un grande campione e un grande uomo. Si batte per gli altri, ha donato 8 o 9 milioni agli asili in Serbia. Quando a 13 anni venne da me a Monaco capii che sarebbe diventato fortissimo. Mi chiedeva cose che gli altri non mi chiedevano, ogni sei mesi saliva di livello. Giocavo contro di lui, perché fino a 60 anni me la cavavo bene, in campo ho capito che ha una intelligenza tennistica fuori dal comune. Gli altri ragazzi mi dicevano di voler diventare n.1 per scherzo: lui ci credevadawero».

Vincerà l’ottavo titolo a Wimbledon?
«È il favorito, poi c’è Alcaraz. Però uno Slam dura 14 giorni, come dite voi in Italia devi sperare che non arrivi il giorno nero. L’anno scorso era sotto due set contro Sinner, ma di testa è fortissimo e ha rimontato. Quando è in sesta, non lo batti. Ma non so in che marcia è adesso».

Può chiudere il Grande Slam che gli è sfuggito nel 2021 in finale a NewYork?
«Quel giorno era in quinta, e Medvedev giocò la sua miglior partita. Nel 2022 lo hanno bandito dagli Us Open, ma se al suo posto ci fosse stato Federer l’avrebbero fatto giocare. È lui il favorito a Londra e a New York, nello sport però non si sa mai. Dieci anni fa chi avrebbe detto che il Napoli avrebbe vinto lo scudetto?».

Gli italiani le piacciono?
«Berrettini, Sinner, Musetti, Sonego sono forti, poco al di sotto di Pietrangeli e Panatta. Però negli ultimi due anni mi aspettavo qualcosa di più da Sinner. Deve essere più aggressivo, venire più spesso a rete. Perché al quinto set c’è chi ha più benzina di lui».

Il tennis è in salute?
«Alcaraz, Zverev, Rune, Ruud sono ottimi giocatori. Ma prima di vedere gente come Djokovic, Federer, Nadal e Murray passerà molto tempo».

Lei è croato ma è stato capitano della Serbia: lo sport unisce?
«La politica è una cosa, lo sport un’altra. Djokovic venne alla mia accademia nonostante la guerra».

A Wimbledon sono ancora arrabbiati con lei?
«Non lo so, non credo. Ma non mi interessa. So solo che facemmo quello che dovevamo, per il bene del tennis».

Intervista di Stefano Semeraro, La Stampa, 02/07/2023

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