Fognini eliminato da Wawrinka. Era l’ultimo italiano al Roland Garros (Garofalo). Le occasioni di Fognini, un mistero del tennis (Clerici). Il vero Fognini resiste un’ora (Azzolini). Fognini e l’Italia già fuori. C’è poco azzurro negli Slam (Crivelli). Murray va, Delpo crolla dopo il primo set. Mamma Judy non c’è, ora gira in camper (Crivelli)

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Fognini eliminato da Wawrinka. Era l’ultimo italiano al Roland Garros (Garofalo). Le occasioni di Fognini, un mistero del tennis (Clerici). Il vero Fognini resiste un’ora (Azzolini). Fognini e l’Italia già fuori. C’è poco azzurro negli Slam (Crivelli). Murray va, Delpo crolla dopo il primo set. Mamma Judy non c’è, ora gira in camper (Crivelli)

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Fognini eliminato da Wawrinka. Era l’ultimo italiano al Roland Garros (Antonio Garofalo, La Nazione)

Come era purtroppo prevedibile, anche l’ultimo tennista italiano ha lasciato il Roland Garros. Fabio Fognini lo ha praticamente fatto già dopo il primo set del match perso (7-6, e 4 setpoint mancati sul servizio di Wawrinka). «E lì mi sono spento come una candelina» è stata la sintesi ‘postuma’ di Fognini. Dopo quel set perso al tiebreak (7 punti a 2) ha ceduto 8 games di fila rendendo impossibile la rimonta «Io servivo peggio (due doppi falli di fila sugli ultimi 2 punti gli sono costati il break d’inizio secondo set…), lui rispondeva meglio, io ho perso un metro di campo su tutti gli scambi. Con uno come Wawrinka non te lo puoi permettere. Tutto è andato in salita e la scalata è diventata doppia perché lui all’inizio era un po’ teso, ma ha poi fatto…il Wawrinka». Il primo setpoint Fabio l’ha avuto sul 5-4. Gli altri tre sul 6-5, un game di 18 punti. Ed è stato il primo di questi ultimi tre setpoint quello che Fabio rimpiangerà perché ha sbagliato un dritto in larghezza piuttosto comodo (per lui) da metà campo. «Se vinco quel set magari lui si innervosisce e chissà…». Anche Murray ha dovuto annullare 4 setpoint nel primo set a del Potro che ha più rimpianti di Fognini (7-6,7-5,6-0) perché due li ha avuti sul proprio servizio. E su uno, nel tiebreak, ha commesso doppio fallo. Murray attende il vincitore del derby tra i due ultimi superstiti francesi Gasquet e Monfils, il cui match è stato sospeso per la pioggia. Programma cancellato dalle 19,15.

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Le occasioni di Fognini, un mistero del tennis (Gianni Clerici, La Repubblica)

Stavo uscendo, deluso e ormai privo di speranze, dal campo intitolato alla mia amata Suzanne Lenglen, dopo un’ora di alterne reazioni alla partita che opponeva Fabio Fognini a Stan Wawrinàa, nella quale l’italiano aveva perduto il set dopo 4 set point in suo favore. Nel procedere col mio passo affaticato verso l’uscita, son stato superato da Angelo Tonelli che, a differenza di noi cronisti, è sempre costretto a vedere personalmente le partite, per poterle fotografare. «Vai via anche tu?» mi ha sorriso. E, dopo qualche metro: «Gli manca qualche cosa, a Fabio». «Che cosa?» ho ribattuto, vivamente interessato. «Josè Perlas, che ha avuto la pazienza di allenarlo per quattro anni, diceva che gli mancava il servizio». Mentre Angelo mi precedeva, ho provato a riflettere. Pensa e pensa, sono tornato in Sala Stampa, e ho chiesto a cinque dei miei vicini se la pensassero come il fotografo, due di loro erano d’accordo con il passato coach, uno mostrava, con un dito, una zona vicina all’ipotalamo, uno riteneva che Fabio fosse privo di uno schema adatto alle diverse circostanze, e l’ultimo, nella sua delusione, offriva opinioni irriferibili. Non sono ora in grado di adottare una delle cinque opinioni, anche perché, probabilmente, c’è in ognuna qualcosa di vero. Ma, mi chiedo, cosa sarebbe accaduto se il nostro eroe avesse avuto diversa fortuna nelle sue palle set, la prima sul 40-30 a 5-4, le tre sul 6 a 5. Sul mio taccuino trovo due diritti gratuiti, proprio il miglior colpo di Fabio. E mi viene in mente di aver visto, sul Centrale, Del Potro, incapace di concludere ben 5 set point, sempre nel primo set, contro un Murray al solito ferocissimo, bestemmiatore mai domo. Non ho osato chiedere ai miei colleghi argentini cosa pensassero di un simile sciupìo, da parte di un tennista capace di vincere lo US Open, e poi quasi costretto a lasciare il tennis, per un infortunio al polso sinistro che l’ha costretto, praticamente, ad adottare un colpo monomano. È certo un caso diverso da quello di Fabio Fognini, un caso che ha una ragione clinica ben definita. Sul caso di Fabio nutro gli stessi dubbi dei miei cinque colleghi, e temo che la sua vicenda sia dovuta a una più che occasionale sfortuna.

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Il vero Fognini resiste un’ora (Daniele Azzolini, Tuttosport)

La rappresentazione teatrale è sempre di grande effetto. Fognini sa rendere il tennis una recita, e per favore, non toglietegliela questa dote, non banalizzate gli eventi di un match così esposto al gioco delle parti da apparire denso di umori, ripieno di tutto ciò che in questo momento, nel bene e nel male, il nostro tennista rappresenta. Mai come in questo terzo turno con Stan Wawrinka, Fognini è stato prodigo nel parlare di sé, nel mostrarsi per quello che è, nell’esporre quanto sia cambiato e quanto ancora dovrebbe cambiare. Ha reso esplicite le sue doti, che sono fra le più alte, ma anche le sue debolezze, che sono altrettanto manifeste e trasparenti. purtroppo anche deflagranti. E l’ha fatto con sincerità. Una pièce da teatro-verità, ma in una storia ancora una volta senza il lieto fine. Stavolta Fognini è stato tradito Fognini da un dritto all’apparenza facile, finito a lato sul 6-5, sul più invitante dei quattro set point avuti nella prima frazione, condotta da cima a fondo, eppure dispersa nel tie break conclusivo. Un break sul 3-2, un tentativo di difesa sul 5-4 (con il primo set point), poi di nuovo avanti sul 6-5, uno 0-40 recuperato con il magone, e altri tre set point. Tutto inutile. Forse Fabio si è sentito tradito ancora una volta da se stesso, per non aver saputo reagire come avrebbe voluto (dovuto) all’ennesima irruzione nella sua vicenda sportiva di quella parte di sé che lo rende fragile, che lo espone alle rivendicazioni dei colleghi forti come e più di lui, e che finisce per mutilarlo delle emozioni. Ed è questa la privazione peggiore, perché Fabio è su quelle che gioca, da quelle attinge fantasia e coraggio, ma si blocca di rabbia quando non riesce a cacciare via la parte di sé che non gli piace. Forse, lo ha tradito anche un tantino di sfiga, «una pizzicata al ginocchio» dice Fabio, avvertita nel primo game della partita, che non lo ha disposto al meglio nelle rincorse sui lati. Tre volte il fisioterapista in campo, mentre Wawrinka prendeva in mano la partita «Non ho giocato male, lo so, anche se la parte centrale del match è stata dura da accettare. Sono finito nell’incubo dopo aver smarrito il primo set, e non sono riuscito a ritrovare la tranquillità che serviva. Stan ha un gioco duro, pesante, e quando può approfittarne diventa irresistibile, e io gliel’ho concessa questa possibilità. Ma so che stavo giocando nel modo giusto». Vinto il tie break, Wawrinka ha inanellato dieci game l’uno via l’altro, dal 6-5 per Fabio al 7-6 6-0 2-0 per lo svizzero. Nessuno può pensare di regalare una simile dote al numero tre del mondo, al vincitore di tre Slam e del Roland Garros 2015, giunto per la settima volta agli ottavi del Roland Garros. Lì è finita la partita, anche se Fabio ha ripreso un po’ di vigore nel set finale, mostrando di possedere tutta la dotazione tecnica per mandare di traverso il gioco dei più forti. Il pubblico ha parteggiato, si è divertito. Ed è questo il meglio di Fognini: le sue recite valgono il prezzo del biglietto. Vederlo dominare, poi perdersi, e riemergere, e ricominciare tutto da capo, inventando colpi che altri non posseggono, è parte essenziale del suo tennis. Manca la continuità nelle vittorie, e con quella Fabio (e Davin) deve fare i conti, se non altro per evitare di chiudere la carriera fra troppi rimpianti. Fabio è capitato nell’Era dei Giocatori Infiniti ma, nelle retrovie, o nelle immediate vicinanze della classifica, sono in pochi a potersi permettere di disquisire con loro alla pari. E da lì che Fabio deve ripartire, e coach Davin lo sa.

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Fognini e l’Italia già fuori. C’è poco azzurro negli Slam (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Chissà. Una parola semplice, da sempre la consolazione di chi alla fine deve abbassare la testa davanti al più forte. Chissà come sarebbe cambiato il momento psicologico della sfida tra Fognini e Wawrinka se Fabio avesse convertito uno dei 4 set point del 1° set. Forse avrebbe messo pressione al favorito, tratto nuova linfa per continuare a stare ben dentro il campo con le sue accelerazioni imprevedibili che il numero tre del mondo ha sofferto per 57 minuti. Quando Wawrinka, infatti, si prende alla fine il tie break iniziale, sulla partita e sull’italiano cala il sipario e i due set successivi dureranno complessivamente 4 minuti meno del primo. Perché, lucida analisi di Fognini, «da quel momento Wawrinka ha fatto il Wawrinka». Forse la considerazione alleggerisce il rimpianto, ma i tre set point sul 6-5 del primo parziale (il primo era arrivato sul 5-4) sono ancora in gola a Fabio quando si presenta a raccontare il triste pomeriggio: «Con i se non si va da nessuna parte, ma fino a quel momento avevo giocato meglio di lui e credo che avrei meritato di stare davanti. Perso il set, io mi sono sciolto e lui ha preso campo, mi sono ritrovato un metro indietro a ogni scambio e a uno come Stan non puoi concederlo. E’ salito di livello, si è tranquillizzato perché all’inizio era sicuramente teso, ha preso in mano la partita e non mi ha più dato chance». Per sdrammatizzare, meglio perciò affidarsi all’ironia: «Adesso spero vinca il torneo, così farei un bel tre su tre (a Madrid ha perso da Nadal e a Roma da Zverev, che poi sono arrivati fino in fondo, ndr), anche se per come sta Rafa non vedo chi possa batterlo». Quanto a lui, la fresca paternità cambierà un po’ i programmi dell’estate: «Sull’erba giocherò solo a Wimbledon, dedicando le prossime tre settimane al riposo e a un richiamo della preparazione atletica. Poi resterò in Europa e salterò il primo Masters 1000 americano a Montreal. Mi sembra giusto, la famiglia è prioritaria e in ogni caso mi sento in forma tecnicamente, quindi sono scelte ponderate». L’addio al torneo dell’ultimo italiano rimasto in tabellone, donne comprese, ingrigisce ancor di più la prima giornata parigina tormentata dalla pioggia. Come l’anno scorso, e come già accaduto nel 1999 e nel 2000, non avremo nostri giocatori alla seconda settimana del Roland Garros, un appuntamento di solito benevolo e sulla superficie più amata. Con la generazione d’oro femminile ormai al capolinea e i nostri unici uomini tra i primi 100 (Fognini, Lorenzi e Seppi) oltre i 30 anni, è una situazione che rischia di allungare pesanti ombre su tutti gli Slam e per molto tempo a venire. Anche nel torneo junior non c’è troppo da stare allegri, con due soli giocatori in tabellone: Francesco Forti, passato dalle qualificazioni, e Tatiana Pieri. E’ vero però che da Roma (Berrettini) e anche da Parigi (Napolitano) qualche lampo è arrivato dalla Next Gen maschile, mettendo a nudo quello che è il vero problema italiano: l’assenza della una generazione di mezzo dei nati nei primi anni ’90, che non è ancora riuscita ad emergere. Nonostante il momento Diego Nargiso, ex azzurro e oggi allenatore del napoletano Giustino (classe ‘91, appena portato al best ranking al n. 175), conserva ottimismo: «L’età anagrafica si è alzata, la media dei top 100 è tra i 27 e 28 anni, oggi si è considerati giovani fino ai 24-25 anni, e noi siamo in linea. Ciò non toglie che qualche giovane talento forse andava gestito meglio». Anche la Federazione ha attivato, al Centro di Tirrenia, il programma Over 18. Una bellissima idea secondo Eduardo Infantino, il coach che è stato responsabile tecnico della struttura federale fino allo scorso dicembre (oggi affidata invece a Palumbo): «Abbiamo seguito lo sviluppo del tennis di oggi. Sono ottimista, si parla tanto di Spagna e Argentina e dei loro tanti top 100, ma lì sono stati i privati a produrre i giocatori, non le federazioni, quindi la responsabilità non può essere solamente della Fit. Se alla struttura italiana aggiungiamo degli investimenti privati, vedo un buon futuro». La speranza è sempre l’ultima a morire.

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Murray va, Delpo crolla dopo il primo set. Mamma Judy non c’è, ora gira in camper (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Testa bassa, gomiti appoggiati sulla rete, in trance, quasi in lacrime. Perché Delpo sapeva che perdere quel primo set durato 87 minuti dopo aver avuto cinque occasioni per chiuderlo significava consegnarsi a Murray, il numero uno del mondo, che ancora non si è illuminato, ma ha gambe e fisico più buoni del Palito di oggi, arrivato a Parigi ammaccato. E infatti, malgrado un altro sussulto nel secondo set, Del Potro si consegnerà allo scozzese, nel terzo set senza neppure combattere: «Mi sono appoggiato al net per la frustrazione – ammetterà sconsolato – sapevo di aver perso una grande occasione, e che a quel punto sarebbe stato difficile risalire». Andy approda cosi agli ottavi scavallando un ostacolo alla vigilia considerato ostico, alla luce dei due favolosi precedenti dell’anno scorso e mostrando, almeno per due set, un gioco in progresso: «Credo sia stata la mia miglior partita su terra della stagione». Senza mamma in tribuna, perché ormai la signora Judy si è messa a fare altro: «Giro il paese a bordo di un camioncino andando ad allenare persone di tutte le età in scuole e palestre. Durante gli ultimi anni seguire i miei figli stava diventando troppo stressante e c’erano troppe aspettative. La mia più grande paura è che quando i miei ragazzi smetteranno di giocare, in un paio d’anni tutti si dimenticheranno del tennis. Al momento non c’è un ricambio, per questo mi sono mossa per tempo». Agli ottavi approda anche Marin Cilic, che prosegue il suo cammino sotto traccia ma intanto non ha ancora perso un set. Ieri ha battuto in tre set Feliciano Lopez, segnando la vittoria numero 100 in carriera sulla terra: «La vittoria di Istanbul mi ha dato fiducia, la mia condizione è buona e penso sia importante non aver sprecato troppe energie nei primi tre match, perché diventeranno preziose nella seconda settimana». Nel torneo femminile, saluta Parigi l’ombra della Radwanska, ormai attorcigliata in una crisi tecnica, fisica e di fiducia che nel match contro la Cornet la porta a perdere tutti i suoi turni di servizio, ben sette, con solo tre occasioni in tutta la partita per chiuderne uno in suo favore. C’era una volta la Maga.

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