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28/10/2011 15:40 CEST - NON SOLO TENNIS

Eroi in barca in mezzo all'oceano

NON SOLO TENNIS – C'è una gara che è la risposta “umana” a uno sport sempre più tecnologico. La Transat 6.50 è una regata oceanica, in solitario, dalla Francia al Brasile con un solo scalo a Madeira. Per partecipare bisogna superare una durissima fase di qualificazione, come ha fatto la nostra Susanne Beyer. Dopo la prima tappa, era la prima donna in assoluto e la migliore barca italiana. Riccardo Bisti

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Wikipedia non è assimilabile alla Bibbia, ma è pur sempre un ottimo strumento di conoscenza. Se date un’occhiata alla pagina dedicata alla Transat 6.50, leggerete che fino all’arrivo in Brasile arrivano poche notizieanche perché “i media ignorano l’evento”. Ok, riavvolgiamo il nastro. Parliamo di vela, ma il mondo patinato dell’America’s Cup è lontano anni luce. Qui si parla della storia di una ragazza con una grande passione. Una ragazza normalissima, laureata in Scienze Politiche, dotata di una spiccata intelligenza. Ma con un sogno nel cuore: le barche Mini 6.50, le più piccole abilitate a navigare nell’oceano. Barche la cui sublimazione è la Transat 6.50, regata transoceanica nata nel 1977, su idea del navigatore britannico Bob Salmon, e che si svolge con cadenza biennale. Si parte dal porto di La Rochelle, in Francia, e si arriva a Salvador de Bahia, in Brasile, con un solo scalo a Madeira. Totale: 4.200 miglia di mare, in solitario, in mezzo all’Oceano Atlantico. Una competizione dal sapore epico, in cui si naviga per la gloria. Ad aspettarti non trovi il prize money, e nemmeno un contratto milionario. Eppure è il sogno di tutti i “ministi”, anche perché spesso è il trampolino di lancio per chi vuole fare della vela una professione a tutti gli effetti.

Un sogno nato dal nulla
La ragazza in questione si chiama Susanne Beyer, ed è italianissima a dispetto del cognome (papà Thomas era tedesco). Nata a Zoagli, in provincia di Genova, ha trascorso ore a fantasticare leggendo riviste di vela. Avere una barca mini era il suo sogno. Nel 2006, partendo completamente da zero, senza il minimo supporto, ha deciso di provarci. Ci sono voluti 3 anni di rinunce, sacrifici e delusioni, ma la prima parte del sogno si è materializzata con le sembianze di Penelope, la barca che Susanne porta in giro per il mondo dal 2009. Una barca viola, lunga appunto 6 metri e mezzo e larga 3, diventata un fedele compagno di viaggio, una confidente, un’amica. Insieme a Penelope ha solcato i mari del Mediterraneo e ultimato la durissima fase di qualificazione per il sogno Transat. La regata transoceanica, infatti, è a “numero chiuso”: vi possono partecipare un massimo di 84 skipper con le loro imbarcazioni, e comunque bisogna accumulare almeno 1.100 miglia di navigazione nel circuito “mini” (nell’Atlantico e nel Mediterraneo) più altre 1.000 miglia in solitario e senza alcun scalo. Ciò che colpisce, di questa avventura, è la grande passione messa in campo (anzi, in mare), dai vari skipper. I soldi non sono l’unico fine, anzi. Tra mille difficoltà si cercano gli sponsor che sostengano le ingenti spese, ma poi il futuro qual è? Arrivi a Salvador de Bahia e l’unica certezza che hai è la grande soddisfazione di avercela fatta. Il tutto dopo aver corso rischi mica da ridere in mezzo all’oceano. La storia della Transat, purtroppo, parla anche di atleti scomparsi. L'ultimo nell'edizione del 2009, con uno skipper morto per annegamento. Nel 2001 morì anche l'italiano Roberto Varinelli.

La dura preparazione
Prima ancora che una gara, la Transat 6.50 è un’avventura. Nata nel 1977 con il nome di Mini Transat, nel corso delle edizioni ha avuto qualche modifica ma ha mantenuto intatto lo spirito: la lotta dell’uomo contro la natura, sfidata a bordo di una barca di appena sei metri e cinquanta centimetri. Gli skipper, oltre alle doti tecniche, devono essere preparati tanto fisicamente quanto psicologicamente. Nei mesi precedenti, infatti, i vari concorrenti si devono sottoporre a una dura preparazione. Per la Transat 2011, Susanne e gli altri “ministi” si sono radunati presso la Grande Motte, vicino a Montpellier, dove presso il centro specializzato “CEM” (Centre Entreinement Mediterranee) si è tenuto un corso della durata di sei mesi (da ottobre 2010 ad aprile 2011) in cui gli atleti hanno effettuato una preparazione meteo, medica, psicologica e di gestione del sonno. “Qualcuno dice che sono pazza – ha raccontato la Beyer - ma credo di essere semplicemente una ragazza normale che vuole completare un progetto eccezionale. Non sarà facile ma sono consapevole delle mie qualità”. Di certo deve ringraziare gli sponsor, a partire da Linea Messina, che ha creduto nel progetto sin dal primo momento e il cui nome troneggia sulla barca. Senza dimenticare altri partner importanti come Helly Hansen (abbigliamento), FIAT e Gottifredi e Maffioli (fornitura di cime). Sponsor coraggiosi, perché è facile accostare il proprio nome a un personaggio di grande popolarità, mentre non è così scontato sostenere chi insegue un sogno partendo da zero.

Delfini, tonni e navi
Sponsor che hanno ragione di essere contenti, poiché Susanne ha disputato una splendida prima parte della Transat. Partita il 25 settembre alle 17.17, è approdata a Funchal, nell’isola di Madeira in 19esima posizione, prima donna in assoluto e prima tra gli italiani nelle barche di serie. Un risultato eccezionale, che “Susi” sta cercando di confermare nella seconda tappa, la più lunga e difficile. Nonostante un grave problema tecnico (la rottura del timone automatico, segnalata da una barca di supporto), attualmente tiene duro in 25esima posizione. Nel momento in cui scriviamo, l’ultimo rilevamento la colloca a circa 1.150 miglia dal traguardo, a 200 di distanza dal leader provvisorio Benoit Marietta. Penelope sta andando forte, tanto da aver recuperato 2 posizioni nelle ultime 24 ore e ridotto di una trentina di miglia il distacco dalla leadership. Di sicuro avrà molte cose da scrivere nel suo diario di bordo. Lo potremo leggere solo all’arrivo, poiché durante la Transat è vietato persino l’utilizzo dei GPS cartografici. Il diario di bordo della prima tappa, pubblicato sul suo sito internet, ci permette di entrare nel cuore della Transat e racconta le emozioni di chi vive un sogno…ma non ha tempo per sognare. Così apprendiamo dei momenti di crisi, come quando a un certo punto ha avuto la sensazione di perdita dell’orientamento, con la barca che sembrava andare in tondo. Oppure aneddoti divertenti come gli incroci con pescherecci e navi, tra chiacchierate via radio e rischio di speronamenti. Anche gli intrecci con la natura sono affascinanti per chi non conosce questo mondo. Una notte, i delfini sfrecciavano sotto la barca e lasciavano “incredibili scie fosforescenti”. A un certo punto, poi, la navigazione è stata disturbata da un vero e proprio “muro” di…tonni, “Erano un’infinità e saltavano fuori tutti insieme formando un muro lungo e spesso”. Niente di grave, ma lo spavento c’è stato. Una storia bella e affascinante. Talvolta il tennis fatica a uscire dalla nicchia della stampa specializzata. Spesso ce ne lamentiamo. Ma per la vela, o meglio quella vela lontana dei riflettori dell’America’s Cup, beh, è ancora più difficile. E non è giusto, perché abbiamo toccato con mano l’eroismo di tanti navigatori. E se di una cosa non se ne parla, purtroppo, sembra che non esista. I piccoli eroi della Transat, invece, hanno tutto il diritto di esserci. E che si parli anche di loro.

Susanne Beyer immortalata durante la Transat. Mostra fiera il suo motto "Cuori Alti"

 

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