I più lunghi digiuni dei campioni: da Borg a Murray

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I più lunghi digiuni dei campioni: da Borg a Murray

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TENNIS FOCUS-Partendo dal successo di Murray a Shenzen, dopo 15 mesi dall’ultima vittoria in un torneo, analizziamo i più grandi periodi di “astinenza da titolo” per i pluricampioni Slam, partendo dal duopolio Borg-McEnroe, fino ad arrivare a Federer, Nadal e Djokovic.

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5 match point annullati e più delle proverbiali 7 camicie sudate, per avere ragione del solito ostico Tommy Robredo e per tornare al successo. La vittoria a Shenzen, per Andy Murray, vale più dei 250 punti o del montepremi in denaro; forse sigla il momento di definitiva uscita da un periodo certamente non facile per lo scozzese, con l’operazione alla schiena, la stagione non certo esaltante e l’uscita dalla top 10. Ben 15 mesi di digiuno dallo storico successo a Wimbledon nel 2013.

Partiamo anzitutto dal presupposto che il pezzo andrà ad esaminare i più grandi periodi di magra dei Campioni con “C” maiuscola dagli anni 70 in poi, ovvero quei giocatori che hanno almeno conquistato 6 titoli dello Slam, e lo farà partendo però, già dal momento in cui i giocatori avevano ottenuto le prime vittorie nei tornei dello Slam. Il fatto che Murray sia inserito in questa speciale categoria è, più che altro, un pretesto per rendere l’argomento più che mai attuale.

Partiamo dal tennis contemporaneo, ovvero dai tre mostri sacri del nuovo millennio: Nadal, Federer e Djokovic. Tra i tre quello che ha dovuto affrontare i più lunghi periodi di digiuno è stato senz’altro lo spagnolo a cui diverse volte è capitato di dover chiudere le vittorie in stagione con la conquista del Roland Garros (2006-2011-2012). Ricordiamo ad esempio, il 2009/10 con Rafa che dopo il successo al Foro Italico, dovette attendere 11 mesi prima di ritornare al successo a Montecarlo dell’anno successivo; o ancora gli altri 11 mesi trascorsi dal Roland Garros 2011 a Montecarlo 2012 (il periodo delle sfortunate finali con Djokovic).

Anche il 17 campione Slam, Roger Federer, ha dovuto far fronte a periodi poco redditizi in termini di titoli. Si parla di 9 mesi, tra Doha 2011 e Basilea dello stesso anno e ancora 9, tra Cincinnati del 2012 e Halle del 2013. Un pò meno per Novak Djokovic che, dalla prima vittoria agli Australian Open, nel 2008 ha, si, affrontato momenti di crisi, conditi sempre però, da qualche successo qua e là (vedi 2009-2010) Da segnalare i 7 mesi di insuccessi da Dubai 2010 al China Open della medesima stagione (dove il serbo risulta, tra l’altro, essere ancora imbattuto).

Passiamo adesso ai giocatori non in attività, portando man mano indietro le lancette dell’orologio. Anni ’90 per il tennis sono sinonimo di una delle rivalità più belle della storia: Sampras contro Agassi. Se il primo è stato dagli inizi un tennista più costante e attento al successo, calando inevitabilmente ai tramonti della sua carriera e all’alba dei trenta, tutti sanno quanto invece fu travagliato il percorso sportivo e umano del kid di Las Vegas. Sampras conta un vero lungo periodo di stop, da Wimbledon 2000 agli Us Open del 2002, suo torneo conclusivo; Agassi invece, tra i tennisti citati nell’articolo, è certamente quello con più alti e bassi: si ricordi il 1997 senza successo alcuno (più precisamente da Cincinnati 1996 e San Jose 1998), l’anno trascorso tra i successo in Australia nel 2000 e nel 2001 e il periodo tra Houston 2003 e Cincinnati 2004.

Andiamo ancora indietro di un decennio e passiamo ai 4 che hanno illuminato gli anni ’80: Lendl, Becker, Edberg e Wilander, ognuno, per caratteristiche di gioco e carattere, diverso dagli altri. Partiamo forse dal più costante, Ivan Lendl: 94 titoli distribuiti nella sua gloriosa carriera, il che rende difficile individuare momenti di magra  dalla vittoria del primo Slam, se non sul finire della carriera: da evidenziare i 13 mesi da Long Island nel 1991 a Tokyo Indoor (n.b. i tornei a Tokyo erano due: uno indoor e uno outdoor il quale si svolgeva ad Aprile) dell’anno successivo (uno dei suoi ultimi titoli in singolare).
Mats Wilander e Boris Becker, tra i giocatori citati, restano due dei pochi che prima del ritiro non hanno avuto la capacità di far terminare il lungo tempo lontani dalla vittoria. Lo svedese dal 90, anno del suo ultimo titolo a Itaparica, non ha più conquistato un titolo fino al 1996, stagione del suo ritiro. In realtà, già sul finire del suo anno d’oro, il 1988, dopo la vittoria a Palermo, Mats dovette attendere proprio Itaparica per riconquistare un torneo. Il tedesco invece non solo, dal 96 al 99, l’anno del ritiro dalle competizioni, restò a secco, ma a questi 3 anni è possibile aggiungere numerosi fasi di stallo della sua carriera: i mesi trascorsi da Marsiglia 95 alla Masters Cup di fine anno, l’anno tra i successi di Milano nel 93 e nel 94, gli 8 mesi tra il successo al Queen’s del 1988 e quello a Indian Wells del 1989. Lo stesso Stefan Edberg, additato da molti come uno che avrebbe potuto vincere più di quello che ha ottenuto, ha dovuto affrontare non poche crisi di risultati nel corso della sua carriera come la pausa dagli Us Open 92 a Madrid 93 (in Aprile), ancora da Madrid ’93 a Doha ’94 e infine da Washington ’94 a Doha ’95, per elencare i momenti più rappresentativi.

Anni ’70: gli anni di Connors, Borg e del giovane rampante McEnroe (la cui carriera, per la verità, ha avuto il massimo splendore nei primi anni ’80). Anche John, come Becker o Agassi, è stato uno di quelli con diversi alti e bassi in carriera, finendo inevitabilmente per incappare in periodi sportivi tutt’altro che felici, anche nel pieno della carriera: come da Stoccolma ’85 a Los Angeles ’86, da Scottsdale ’86 a Tokyo outdoor nell’88 (18 mesi di stop). Per non parlare degli ultimi anni di carriera dove McEnroe non ne imbrocco più una.

Per l’orso svedese e per l’americano è davvero ardua l’impresa di trovare dei momenti di digiuno, per motivi differenti. Borg ha concentrato i suoi successi nell’arco 7-8 anni, uscendo dalle competizioni subito dopo essersi accorto di non poter sempre competere per la vittoria (senza considerare i successivi inutili ritorni). Per Connors il discorso è diverso e alquanto singolare: i 110 titoli parlano da loro e l’ultimo titolo, a Tel Aviv, nel 1989 è stato ottenuto dall’americano a 37 anni suonati. Al di fuori del quadriennio ’84-’88, dal quale ne uscì con la vittoria a Washington, giudicare negativo l’anno trascorso tra il successo a Tolosa proprio nel 1988 e quello dell’anno dopo, sempre nello stesso torneo, tra le 36 e le 37 candeline, sarebbe davvero folle e irrispettoso. Jimbo (anche se puntando, sul finire della carriera, su tornei non di prima fascia) non conobbe digiuni!

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