Una Fed Cup con le solite note. Sharapova nel fortino delle ceche (Crivelli). Sharapova, per i Giochi la Diva torna tra le mortali (Semeraro). Djokovic, Mister Perfezione macina primati (Semeraro). Bole&Fabio, godetevi i giorni della celebrità (Valesio)

Rassegna stampa

Una Fed Cup con le solite note. Sharapova nel fortino delle ceche (Crivelli). Sharapova, per i Giochi la Diva torna tra le mortali (Semeraro). Djokovic, Mister Perfezione macina primati (Semeraro). Bole&Fabio, godetevi i giorni della celebrità (Valesio)

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Una Fed Cup con le solite note. Sharapova nel fortino delle ceche (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Repubblica Ceca e Russia. Ancora loro. Le solite note, che nelle ultime 11 edizioni di Fed Cup si sono equamente divise il trofeo (4 volte ciascuna) quando non è stato vinto dall’italia (3 volte). Questa volta, però, le russe guidate da Anastasya Myskina giocano il jolly, per provare a far crollare la fortezza ceca: le padrone di casa non perdono a domicilio dal 2009 e sono campionesse in carica. RIECCO MASHA E quindi, per esorcizzare Praga e il suo velocissimo tappeto indoor, segreto neppure troppo nascosto dei tanti trionfi del team di capitan Pala, ecco il talismano Sharapova, tornata in nazionale a febbraio dopo tre anni e alla prima finale di Fed Cup in carriera. E’ vero, il richiamo della foresta è scattato perché la presenza è necessaria per disputare l’Olimpiade, ma l’ultimo atto di stagione, con la presenza di Masha, guadagna in sale e competitività. SORPRESA L’incrocio più atteso, la rivincita della recentissima semifinale (persa) al Masters contro la Kvitova, sarà in programma domani a mezzogiorno, ma intanto la Sharapova è carica: «Un’esperienza tutta nuova, molto eccitante. Non vedo l’ora di giocare, sono impaziente anche se si tratta di una sfida difficile». A sorpresa, la prima avversaria non sarà la Safarova, bensì la Pliskova, finalista al Masters B e preferita a Lucie, che ha accusato qualche problema fisico: «Maria è una grande rivale, ma non ho paura», filosofeggia fiduciosa la giovane Karolina. Superficie, fattore campo e qualità delle seconde linee indirizzano il pronostico sulla Repubblica Ceca, ma una Sharapova in palla può far saltare il banco. E segnare la storia di questa Fed Cup.

 

Sharapova, per i Giochi la Diva torna tra le mortali (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Ferocia russa più individualismo americano uguale Maria Sharapova. Pensare alla volpe di ghiaccio nata in Siberia, cresciuta in Florida e diventata manager a Los Angeles, come al tassello di una squadra, diciamocelo, è un po’ come immaginare Mike Tyson ballerino di fila o Tiger Woods capo seminarista. Ma la Fed Cup, si sa, può fare miracoli. Specie quando è la chiave per ottenere il pass alle Olimpiadi. Da oggi la Russia sfida la Repubblica Ceca a Praga e a Masha toccherà non fare… l’orsa, se vuole portarsi a casa uno dei pochi trofei che non ha ancora conquistato. «E’ un’esperienza nuova – ha ammesso alla vigilia, accendendo uno dei suoi sorrisi da public relation woman -I ho fatto parte della squadra in varie occasioni, ma non ho mai giocato una finale. Le ragazze sono state fantastiche in semifinale, quando hanno battuto la Germania a Sochi, considerando che io non c’ero (sic). Anche a Praga saremo sfavorite, ci sarà un grande tifo contro e pochi russi a sostenerci, ma noi dovremo essere brave a badare solo a noi stesse e non a quello che ci succede attorno». Cosa che a Maria peraltro riesce benissimo. In tutta la sua carriera in Fed Cup ha giocato in realtà appena sei match, sempre in occasione dei quarti di finale e puntualmente in epoca pre-olimpica, vincendo cinque volte e cedendo solo alla francese Razzano nel 2011. Non è mai stata una di quelle che fanno spogliatoio; anzi, chi li frequenta giura che molte, connazionali comprese, la metterebbero volentieri sotto una doccia gelata. Anche se ha vinto cinque Slam, è stata numero 1 del mondo (oggi è n.4) ed è ancora la donna atleta più ricca del pianeta (29 milioni di dollari all’anno secondo Forbes), la chiamata in nazionale l’ha declinata spesso e molto volentieri; a volte, va detto per onestà, per colpa dei tanti infortuni che hanno tormentato la sua carriera e da cui si è sempre ripresa sfoderando gli artigli. Come nel 2015: dopo Wimbledon è tornata in campo solo a fine settembre saltando anche gli Us Open, ma già al Masters di Singapore ha ricominciato a graffiare. Stavolta ha deciso di recitare la parte della leader della compagnona che su Twitter posta con entusiasmo le foto della cena di gruppo («ragazzeee!»), anche se poi persino il “body language” conviviale – sempre composta, avvolta nel sorriso glaciale da diva – la smentisce. In una sfida dominata dalle mancine – le due ceche Kvitova e Safarova, più la russa Makarova – oggi Masha debutta nel secondo match contro la 25enne Pliskova (n.11 Wta), domani la attende il match sulla carta decisivo contro la Kvitova. Per alzare la coppa però dovrà sperare anche nell’aiuto delle altre: la singolarista Pavlyuchenkova e in caso di spareggio le due doppiste Makarova e Vesnina. Non una situazione che ama, ma per la Fed Cup – si capisce – per carità, questo e altro.

 

Djokovic, Mister Perfezione macina primati (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Che il 2015 si avvii a diventare la migliore stagione di Novak Djokovic – migliore persino del suo clamoroso 2011 – ci sono pochi dubbi. La questione piuttosto è se possa essere considerata la migliore annata in assoluto di un tennista nell’era moderna. Migliore del 1974 di Jimmy Connors (tre titoli dello Slam, 15 in totale, 95,8% di vittorie) o del 1984 di John McEnroe (due Slam, 13 tornei, 96,5% di vittorie con appena tre sconfitte). Del 2006 di Roger Federer (tre Slam, più una finale, 12 titoli complessivi, 94,8% di successi) o del 2010 di Rafael Nadal (tre Slam, più un quarto di finale, 7 titoli e l’87,6% di vittorie). “Tutte occasioni nelle quali, al di là delle gerarchie stabilite da numeri e percentuali, quei giganti hanno dato l’impressione di essere imbattibili o quasi, vulnerabili solo in giornate di luna storta o di infausta opposizione dei pianeti, comunque di gran lunga superiori agli avversari. Già nel 2011 il Joker era sembrato praticamente insensibile alla concorrenza, vincendo tre tornei dello Slam, un totale di dieci e frenando solo un po’ a fine stagione per colpa di un infortunio alla schiena che, fra l’altro, gli costò una figuraccia al Masters: guarda caso il torneo che inizia domani a Londra e che lo vede strafavorito. «Non credo di aver mai visto nessuno giocare così bene per una intera stagione» si lasciò sfuggire allora Pete Sampras, ma il Djokovic “2015 edition” se possibile, è ancora più impressionante. Negli Slam ha perso una sola partita, la “maledetta” finale del Roland Garros contro Wawrinka. Ha disputato 15 tornei, arrivando 14 volte in finale e conquistando 10 titoli dei quali sei Masters 1000: un record per quella categoria di tornei. Il suo bilancio totale è di 78 vittorie e 5 sconfitte, con una percentuale di successi del 93,9%. Come se non bastasse è il n. 1 del mondo che ha accumulato più punti nell’era del computer: 16.785 dopo la vittoria a Shanghai, in quel momento quasi il doppio del secondo, Andy Murray. Non fosse inciampato su un Wawrinka in stato di grazia a Parigi, sarebbe diventato il terzo uomo della storia a chiudere il Grande Slam dopo Budge e Laver. Persino Federer e Nadal, magari a denti stretti, avrebbero dovuto ammettere che se l’era meritato. Perché nessuno gioca a tennis meglio di Roger Federer ma nessuno, oggi, è più forte di Novak Djokovic. Il campione “senza glutine” che, secondo il suo fisioterapista Miljan Amanovic, «ormai non può più migliorare fisicamente, semplicemente perché non è possibile» ma che punta alla perfezione assoluta – e questa volte sono parole di Nole stesso – «perché la perfezione non esiste, ma solo inseguendola puoi diventare il migliore di tutti». Dovesse vincere il suo quarto Master di fila, come tutti si aspettano, provate voi a dargli torto.

 

Bole&Fabio, godetevi i giorni della celebrità (Piero Valesio, Tuttosport)

«La ciliegina» ebbe a dire anni fa un antico dirigente della Fiorentina quando in viola approdò tal Kanchelskis, gloria della United che poi in Italia, più che altro spese il suo tempo ad apprezzare Giotto e Brunelleschi. C’è da augurarci che Simone e Fabio interpretino in tutt’altro modo il ruolo che la stagione ha consegnato loro: quello di chi, al Masters, può chiudere con un ultimo fuoco d’artificio un anno che difficilmente gli appassionati italici di tennis potranno dimenticare. Esordiranno domani, i nostri, nell’Arena londinese che per fortuna nostra ospiterà il torneo fino al 2018: una fortuna perché la possibile alternativa sarebbe stato un trasloco in quiche ricco luogo asiatico dove il fuso orario allontana appassionati, fa diminuire i contatti televisivi e soprattutto deprime visto che si gioca in arene vuote con arie spesso irrespirabili e dove le regie televisive sono costrette a oscurare gli spalti per evitare che il senso di depressione derivante dai posti vuoti aumenti. ARIA FRESCA Bolelli e Fognini respireranno da oggi l’aria del Masters per la prima volta in carriera e su di loro peserà, per l’appunto, il ruolo della ciliegina. Vincitori di un titolo Slam in Australia e comunque protagonisti di una stagione ad altissimi livelli con una semifinale al Roland Garros, tre finali 1000 e una vittoria preziosissima in Davis contro la Russia: una partita che ha spalancato all’Italia le porte del gruppo mondiale ed evitando una retrocessione che (oltre ad essere ovviamente un danno per l’intero movimento tennistico nazionale) avrebbe scatenato polemiche a non finire. La loro presenza a Londra va salutata con grande orgoglio non solo perché un buon percorso da parte loro potrebbe davvero diventare la ciliegina di cui sopra: ma anche perché al di là di quanto si pensa e di quanto si guadagna (più di 400.000 sterline in caso di vittorie senza sconfitte) non è facile per degli atleti conciliare l’attività di singolare con quella di doppio. Non è facile perché i ritmi della stagione sono infernali, ci si ¡scrive al doppio spesso per cercare gloria in casa di singolari non esaltanti ma quando poi i risultati arrivano allora bisogna mantenere quel livello e allora il gioco si fa duro. E faticoso. PERSONAGGI Fateci caso: Nel novero delle coppie che prendono parte alle Finals (che sarebbe il Masters rivisitato dagli specialisti dei marchi) domina una genia di tennisti molto particolare: non conta più l’età, l’eventuale pancetta o la classifica: tutto sommato ci sono più personaggi veri nel cartellone del doppio che non del singolare. Dalla divinità Bopanna che con Qureshi non si è lasciato benissimo ma il loro giocare insieme per anni (lui indiano l’altro pakistano) è fatto che ha valicato (per fortuna) i confini del campo dal tennis. C’è Jamie Murray (che con Peers sarà il primo ad affrontare gli azzurri domani alle 13 ora italiana) che lotta da una vita per non farsi schiacciare dalla personalità e dai successi del fratello nonché dal peso della loro mummy. Ci sono i Bryan che hanno costruito o sulle loro dinamiche si sangue un gioco spettacolare e francamente unico; c’è Mahut che col doppio cerca di allontanare per sempre il ricordo della partita (da lui persa) più lunga della storia. Fabio e Simone hanno l’opportunità di assurgere pure loro ad un ruolo di primissimo piano in questa rappresentazione. Di confermare di essere primattori. Basta che siano loro stessi e che provino a divertirsi.

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