Djokovic per la storia. Maestro da record? (Crivelli). Il Masters è a Londra ma col cuore a Parigi (Valesio). Kvitova e Sharapova ok. Rep. Ceca e Russia è 1-1 (Crivelli)

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Djokovic per la storia. Maestro da record? (Crivelli). Il Masters è a Londra ma col cuore a Parigi (Valesio). Kvitova e Sharapova ok. Rep. Ceca e Russia è 1-1 (Crivelli)

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Djokovic per la storia. Maestro da record? (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Una cosa è certa. Appena finirà questa stagione tennistica Nole Djokovic regalerà cioccolatini a tutti, giornalisti e addetti ai lavori. Da tre anni, per lui, sono particolarmente dolci, perché il Masters dal 2012 è il suo regno (oltre al successo del 2008). Nessuno, dalla prima edizione datata 1970, ha mai vinto le Finals per quattro anni consecutivamente, nemmeno Lendl (che giocò nove finali di seguito) e neppure il Federer degli anni d’oro. Insomma, se ci fosse bisogno di uno stimolo in più in una stagione fin qui indescrivibile per rendimento e risultati, il numero uno del mondo potrebbe trovarlo nella storia e a quel punto gli aggettivi non basterebbero. Alla luce dei numeri, definire il serbo favorito dell’ultimo appuntamento stagionale è semplicemente riduttivo. Certo, basterebbero i tre Slam e i sei Masters 1000 vinti in stagione, le 78 partite vinte a fronte di sole 5 sconfitte, per certificare il serbo come unico e solo favorito del torneo. A impressionare è soprattutto il cammino di Nole dagli US Open in poi, cioè nei tornei indoor. Dalla sconfitta di Cincinnati contro Federer (e stiamo parlando del mese di agosto), Djokovic ha messo in fila 22 vittorie consecutive con un solo set perso, contro Wawrinka a Bercy; indoor non perde dal 2012. Numeri, questi, che fino a poco tempo fa caratterizzavano le stagioni di Roger Federer, l’unico quest’anno capace di battere due volte il n. 1 del mondo, e che ne fanno il più accreditato a battere il campione serbo. Ruolo, questo, che il Re accetta volentieri: «Quello che sta facendo Nole è eccezionale, ma io non voglio pensare che dopo tre partite finisca tutto: io sono qui per rimanere nel torneo il più a lungo possibile». Roger è l’ultimo over-30 ad aver conquistato le Finals (nel 2011) ed è anche il simbolo di un tennis che, dietro i dominatori dell’ultimo decennio, sembra ancora incapace di trovare un ricambio all’altezza. Per la prima volta, infatti, all’ultimo Slam stagionale, si sono qualificati ben quattro giocatori ultratrentenni (oltre allo svizzero, ci sono pure Ferrer, Berdych e Wawrinka), quando nelle precedenti edizioni non si era mai andati oltre i due. Chissà se la tendenza è figlia della bravura dei coach, visto che ben 5 di loro le Finals le hanno conosciute pure da giocatori (Becker, Edberg, Chang, Bjorkman e Norman), senza contare che pure la Mauresmo (assente per maternità ma comunque allenatrice di Murray) ne ha giocati 8 femminili. Insomma, l’epilogo della stagione tennistica maschile è solo per grandi nomi.

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Il Masters è a Londra ma col cuore a Parigi (Piero Valesio, Tuttosport)

Ieri sera intorno alle sette, Supertennis ha deciso di programmare, dopo i due match della finale di Fed Cup, la partita fra Francesca Schiavone e Sam Stosur, proprio QUELLA partita che consegnò alla Schiavone il titolo del Roland Garros. L’evento che ha cambiato la storia non solo del tennis italiano, ma dell’intero sport nazionale. Una bella idea, perché una tv che vive di tennis non avrebbe potuto inventarsi un gesto migliore per far sentire tutti quelli che amano questo sport vicini a Parigi, ai parigini, alla vita. Poche ore dopo la strage dell’altra sera, Francesca ha twittato, in italiano, un pensiero semplice: «Io amo Parigi» ha scritto. Cosa si può dire di più o di meglio? Per la prima volta un tempio dello Slam è stato sfiorato da eventi spaventosi. Sfiorato nel senso letterale del termine, con l’inseguimento di ieri mattina alla Porte d’Auteuil e con il trasferimento nell’area del Bois della nazionale tedesca il giorno prima, quando ancora tutto doveva succedere. Chi ama il tennis non può non amare Parigi. Per questo rivedere quel pomeriggio di immensa gioia almeno per noi italiani (ma anche per gli altri, Stosur a parte, perché lo spettacolo di stile ed efficacia che la Schiavo offrì quel giorno è stato unico) è stato il modo di omaggiare la città e i suoi abitanti. Cambiando sponda, anche il Masters che si inaugura oggi a Londra non potrà che essere un lungo omaggio alla città ferita. Il tennis altro non è che trasposizione della vita su un pezzo di terra: ha ragione da vendere chi dice che anche la peggiore delle volée giocata su un campo di periferia non è mai solo una volée ma un confronto con se stessi, un passeggiare continuo su quella linea sottile che separa vittoria e sconfitta, gioia e dolore. Davanti ad una notte folle (non la prima e probabilmente, purtroppo, neanche l’ultima) come quella dell’altro ieri il tennis non può non incarnare quel dolore. Il torneo dei Maestri che oggi inizia con Bolelli e Fognini in campo contro Jamie Murray e Peers dovrà essere e sarà una lunga elaborazione del lutto parigino e un lungo riaffermare la bellezza contro lo schifo. Solo il tennis può riuscire in una impresa del genere. E ci riuscirà.

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Kvitova e Sharapova ok. Rep. Ceca e Russia è 1-1 (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Decideranno le regine, come è giusto che sia. Alla 02 Arena di Praga, dove si assegna la Fed Cup 2015, si troveranno davanti le due n. 1 delle squadre finaliste: Sharapova contro Kvitova, numero 4 del mondo contro numero 6, due vincitrici di Wimbledon. Con la finale in parità, il successo dell’una o dell’altra nel primo singolare di giornata indirizzerà la sfida, quantomeno dal punto di vista psicologico. Eppure la finale non era cominciata bene per il pubblico praghese: per i primi 34 minuti sembrava di vivere un incubo (sportivo); la Kvitova, infatti, per il primo set è in competa balia della Pavlyuchenkova, una di quelle giornate in cui il maggior talento di Petra pare quello di tirare due metri fuori dal campo. Poi, d’improvviso, la scintilla: nel secondo game del secondo set, alla decima palla break complessiva, la padrona di casa strappa il servizio alla russa. E il vento cambia d’improvviso: «Quel game è stato fondamentale — riconosce la ceca — perché io mi sono tranquillizzata e lei ha cominciato a sbagliare di più. Io sono diventata più aggressiva e per fortuna il match si è messo in discesa». A garantire la parità, secondo pronostico, ci pensa Maria Sharapova, che per la prima volta in carriera gioca una finale di Fed Cup. Il capitano ceco Pala sceglie per contrastarla l’emergente Pliskova, forse per sfruttarne l’ottimo stato di forma, ma Karolina paga dazio all’emozione e alla forza della straordinaria avversaria, che non deve neppure fare troppi straordinari per imporsi in 89 minuti: 28 vincenti contro 11, che compensano i 25 gratuiti (contro i 13 della ceca). «Non era una partita facile — racconta Maria — perché ho sentito l’emozione di qualcosa di nuovo come una finale di Fed Cup. Per questo ho commesso troppi errori, ma alla fine l’importante era vincere. Adesso gioco l’ultima partita dell’anno contro un’avversaria fortissima come Petra e mi voglio lasciare alla spalle un finale di stagione difficile per gli infortuni. Mi preparerò bene, voglio batterla e mettere la mia firma sulla vittoria in Fed Cup». Sarebbe la ciliegina di una carriera fantastica, ma solo due settimane fa la Kvitova l’ha battuta a Singapore. Perché c’è posto per una sola regina.

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