I grandi articoli del passato: il saluto di Marco, il Pirata in fuga. Ci ha scritto una lettera da lassù

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I grandi articoli del passato: il saluto di Marco, il Pirata in fuga. Ci ha scritto una lettera da lassù

Per festeggiare l’anno che finisce abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori vecchi e nuovi una strenna natalizia: l’articolo a cui sono più affezionati. Oggi è la volta di Antonio Garofalo, che ci ripropone il suo ricordo di Marco Pantani, scritto nel 2014 a dieci anni dalla morte del Pirata

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Qui l’articolo originale

Ciao ragazzi,
mi han detto che sono dieci anni che sono qui… ma cosa sono gli anni? Ho passato una vita a correre dietro al tempo, ai minuti, ai secondi, cosa volete che me ne importi ora?
Che poi se ci penso…quelle maledette cronometro! Ma chi è quel patacca che le ha inventate? Non ho mai visto un tifoso esultare per una crono!

Invece impazzivate per me quando staccavo tutti in salita, era così esaltante saltarli ad uno ad uno e vederli scivolarmi affianco impotenti! Perché si, ora ve lo posso dire: era troppo divertente sfilarmi in coda al gruppo all’inizio della salita e poi recuperarli uno in fila all’altro, come quella volta lì a Oropa quando mi saltò la catena ad otto chilometri dall’arrivo e dovetti superarne quarantanove! Che goduria!

E poi quelli lì si mettevano il casco a punta, sdraiati sul manubrio con le ruote lenticolari che sembravano dei robot e nelle prove in solitaria mi davano tre minuti. Anche quello sbruffone, il Cowboy… Ho visto che fine ha fatto! Per carità qualche stupidata l’ho fatta anche io, ma lui resta insuperabile! Faceva pure il fenomeno con me! Oh, quella volta sul Mont Ventoux mica mi ha fatto vincere lui! Non ce l’ha fatta a battermi in volata… sono sempre Pantadattilo, sono aerodinamico!

Non vi siete mai chiesti perché ero così forte in discesa oltre che in salita? Non avevo paura di niente. Che Pirata sarei se no? È quello che mi ha fregato!
Perché ora non me ne frega più nulla del tempo… ma me le ricordo tutte le gare, le salite, gli sguardi, le gocce di sudore. La gente con bandana e orecchino che urlava il mio nome!

Mi ricordo delle ferite, delle risalite, della pioggia e del freddo che faceva sul Galibier ma non sentivo nulla… dovevo correre, correre verso la maglia gialla. Pantanì! Pantanì gridavano sugli Champs-Elysèès! Mi ricordo tutti i ventuno tornanti dell’Alpe d’Huez e gli infiniti chilometri verticali del Mortirolo, mi ricordo tutti gli scatti che ho dovuto fare per staccare quel maledetto russo a Montecampione quando buttai via pure il brillantino che avevo al naso per alleggerirmi e per poter conquistare la maglia rosa.

Mi ricordo di quella maledetta auto che mi fracassò tutto nella Milano-Torino e anche del gatto sul Valico di Chiunzi (povera bestia per carità ma io ci ho perso un Giro!).
E si, mi ricordo anche di Madonna di Campiglio, ero pronto a festeggiare il mio trionfo e invece mi hanno buttato giù. È finita lì, lo dissi subito: mi sono rialzato tante volte, ma stavolta no.

E mi ricordo anche di come ho dovuto lottare per far capire a tutti che quello che ero, quello che avevo vissuto, quello che avevo sudato, vinto, pianto e gridato lo avevo fatto davvero e non per un bluff, un imbroglio o un’alchimia. Ma quella battaglia l’ho persa, lì mi sono arreso. O meglio, non è stata una resa, è stata una scelta. Come dissi una volta ad uno di voi, andavo forte in salita per abbreviare l’agonia. La vita per me dopo quel giorno è diventata così, e allora…

Ma state tranquilli ragazzi, non mi manca niente. Si, Tonina e Ferdinando (detto Paolo, eh! Non lo fate incazzare il mio babbo!) ma ho ritrovato nonno Sotero, non sapete quante risate ci facciamo insieme!

Be’ però… si, una cosa si, mi manca: lei, la bici. Mi mancano le nostre chiacchierate (Oh, non mi contraddiceva mai!), mi manca addormentarmi accanto a lei dopo averla lucidata. Però mi han detto che per questa specie di compleanno me ne regalano una!
Così posso provare a prendere quei due tipi che si inseguono da una vita: stan lì a litigare su chi ha passato all’altro la borraccia da cent’anni e intanto si scattano in faccia a vicenda! Dai che vado a riprenderli! Poi getto via la bandana e voglio vederli…

Vi abbraccio
Marco

Alcune frasi “storiche” del Pirata (Marco Gatti)

Marco Pantani: Cesena 13 gennaio 1970 – Rimini 14 febbraio 2004. Siamo soliti parlare di altri fatti di sport, ma non riusciamo a scordare il nostro Marco Pantani, il nostro ”Pirata”, quel campione che ha esaltato tutti gli italiani che amano lo sport. Quel ragazzo che ha sicuramente pagato, unico oltremisura, nel ciclismo che così tanto ha amato, tutte le carenze di un sistema che non andava bene e che dopo 10 anni dalla sua morte continua a dare segnali di malessere e conferme di non aver risolto i suoi problemi. Quel ragazzo che ogni volta che scattava sembrava volare verso il cielo e alla fine è volato nel suo cielo in circostanze maledette ed ancora misteriose. Ricordiamo l’uomo, l’atleta, lo sportivo, il dolore di una vita spezzata che lo ha portato ad una morte tragica e disperata!

Ecco alcuni momenti della sua carriera:

1994: La tappa di Merano, lo scatto sul terribile Mortirolo in faccia a Berzin e Indurain, la tappa a Val Thorens….

1995: Lo scatto e la vittoria in solitaria sulla mitica Alpe d’Huez, la straordinaria fuga di 42 chilomentri con l’arrivo a Guzet Neig.

1997: L’arrivo alla Mercatone Uno, la nascita del soprannome “Il Pirata”, la straordinaria ascesa all’Alpe d’Huez con il tempo storico di 37 minuti e 35 secondi, record tutt’ora imbattuto!

1998: La prima maglia Rosa in carriera all’arrivo in Val Gardena, l’arrivo a Plan di Montecampione con l’indimenticabile scatto finale su Tonkov, lo scatto più noto sul celebre Galibier a più di 50 chilometri dall’arrivo e i conseguenti 9 minuti di distacco su Jan Ullrich. Vittoria del Giro d’Italia e del Tour De France.

1999: La sua tappa più famosa al Giro, quella di Oropa: salta la catena a 8 chilometri dall’arrivo, recupera, supera e stacca l’intero gruppo, con una rabbia e una potenza indescrivibili.
Poi Madonna di Campiglio…

Diceva di sè:

“La fatica in montagna per me è poesia.”

“Marco, perché vai così forte in salita?”, “Per abbreviare la mia agonia.”

“Quando scatto cerco di distruggere psicologicamente i miei avversari che non sanno mai fin dove posso arrivare.”

“Quando uno stacca tutti da ruota è uno spettacolo, è questo l’aspetto più bello del ciclismo.”

“Chi è Pantani? Uno che ha sofferto tanto. E che in bici si è divertito e, soprattutto, ha divertito.”

“Il ciclismo mi mancherà certo, ma anche io, ne sono convinto, mancherò al ciclismo”

“Tutti saltano sul mio carro? No problem, chi c’era resta, chi non c’era sta giù.”

“Mi spiace ma non tornerò mai più quello di prima. Ridiventerò competitivo, ma non sarò più quello di prima, perché ho subito una grandissima ingiustizia.”

“Per vincere Pantani non ha bisogno del doping ma ha bisogno delle salite.”

“Se puoi vincere, devi farlo!”

“Le emozioni più forti le ho provate lungo le strade, quando sentivo la gente che gridava così tanto Pantani che mi veniva il mal di testa”

“La gente aspetta sempre l’attaccante che scatta e se ne va? Allora aspetta proprio me, è quello che sono, è quello che so fare.”

“A 2 Km dalla vetta mi sono detto vai Marco o salti tu o salta lui…E’ saltato lui.”

“Quando stacchi tutti e arrivi da solo, la vittoria ha il sapore del trionfo.”

“Quando c’è la salita sono il più forte e tutti lo sanno.”

Dissero di lui:

“Io sto vincendo questo tour, ma se ci fosse Pantani lo vincerebbe lui.” (Lance Amstrong)

“Non c’è niente da fare… quando la strada si rizza sotto i pedali Pantani è il più forte.” (Adriano De Zan)

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Dal libro di Ubaldo per i 50 anni del Credito Sportivo “Mezzo Secolo di Campioni”, leggi qui un profilo di Marco Pantani

MARCO PANTANI Il Pirata

CESENA, 13 gennaio 1970 – RIMINI, 14 febbraio 2004

Marco si è perso e non ha saputo tornare. Nella sua vita da”Pirata”, come direbbe Bennato, è andato all’arrembaggio con destrezza e ha naufragato in mezzo ai guai. Se n’è andato il giorno degli innamorati del 2004, e di innamorati ne ha lasciati tanti. I milioni che si fermavano davanti alla tv, le migliaia che lo aspettavano per ore solo per vederlo sbucare, solo al comando, dall’ultimo tornante sulle Alpi o sui Pirenei.

Cos’è che ancora ci fa vivere le favole

Pantani nasce vicino al mare, a Cesena, ma sogna la montagna. È timido, ma nasconde uno sconfinato desiderio di affermazione. Da ragazzo gioca a calcio e vive la solitudine dell’ala destra. Con le spalle strette e la maglia numero 7, Marco non ce la fa a librarsi in volo a colpi d’ala su un campo di pallone. Non ha il talento di Bruno Conti o di Gigi Meroni, non gli piace stare in panchina e sceglie un altro tipo di solitudine, la vita in bicicletta. È solo anche il giorno della sua prima vittoria, il 22 aprile 1984. Ha staccato tutti prima dell’arrivo a Case Missiroli, vicino Cesena.

“A quindici anni” scrivono Pier Bergonzi, Davide Cassani e Ivan Zazzaroni nel libro “Pantani. Un eroe tragico”, “Marco ha ancora tutti i capelli, ma ha già lo sguardo laser e l’inquietudine dietro gli occhi. E ha momenti blues profondi come il mare”.

Il suo sogno è il Giro d’Italia. Tra i dilettanti ottiene il terzo posto nel 1990, dietro Wladimir Belli e Ivan Gotti, l’anno successivo è secondo alle spalle di Francesco Casagrande. Nel 1992 la progressione è completata. Fa il vuoto sulle Alpi, vince e passa professionista con la Carrera, la squadra di Claudio Chiappucci, fortemente voluto dal talent scout Beppe Martinelli. Nel ‘93 deve ritirarsi a quattro tappe dalla fine: la sua storia di amore e odio con la Corsa Rosa è appena cominciato.

La prima svolta della carriera arriva l’anno successivo, sempre al Giro. “Se non vado come dico io” dice a Davide Cassani, attuale commentatore Rai che ha ricordato questo episodio nella puntata di Sfide dedicata a Pantani, “me ne torno a vendere piadine con mia madre”. Non sarà necessario.

Nella Lienz-Merano (14a tappa) attacca in salita, rimonta Pascal Richard in una discesa forsennata con quella sua strana posizione tutta spostata all’indietro, vince per distacco e dà 40” a Bugno e ai migliori del mondo. È il 4 giugno 1994, il suo primo successo da professionista. Il giorno dopo c’è la massacrante Moreno-Aprica, la tappa più dura della corsa. Pantani divora il Mortirolo in 43’53” staccando la maglia rosa, Berzin, e Indurain. Viene ripreso in discesa, ma sulle rampe del Santa Cristina, nessuno gli resta a ruota. Al traguardo dell’Aprica è di nuovo solo al comando. Chiuderà secondo in classifica generale e sarà terzo al Tour de France.

Nel 1995, mentre si sta allenando per il Giro di Romandia, ha un’incidente con una Fiat Punto ferma a un incrocio a Santarcangelo di Romagna; addio Giro d’Italia. Si ripresenta convinto al Tour e vince la tappa più bella, con l’arrivo in cima all’Alpe d’Huez, dopo una fuga con Ivan Gotti e un brivido nel finale. Non gli segnalano per tempo la svolta a sinistra verso il rettilineo d’arrivo e per poco non finisce nel parcheggio. Il giorno dopo la corsa è funestata dalla morte di Fabio Casartelli.

Il destino torna a giocare contro il “Pirata”. Durante la Milano-Torino del 1995, un altro incidente, stavolta con una jeep: frattura di tibia e perone e addio alla stagione 1996. Nel 1997 cambia squadra, passa alla Mercatone Uno di Luciano Pezzi, un’istituzione del ciclismo italiano, già gregario di Coppi e direttore sportivo di Gimondi. Ma al Giro, la sfortuna colpisce di nuovo. Un gatto attraversa la strada durante la Mondragone-Cava dei Tirreni. Pantani cade e deve ritirarsi. Al Tour la rabbia è tanta, e la sfoga tutta sull’Alpe d’Huez. Arriva di nuovo solo al comando, e nel gesto di esultanza c’è un messaggio forte e chiaro: “sono tornato!”.

“Vado forte in salita solo per abbreviare la mia agonia”

L’Anno del “Pirata”

Pantani è già diventato il “Pirata”, per quel suo look così caratteristico, per quella bandana che si toglie quando parte in salita come fosse un guanto di sfida. Arriva all’ultima settimana del Giro con 3’49” da recuperare sulla maglia rosa, lo svizzero Alex Zülle. La prima, vera tappa di montagna è la diciassettesima, Asiago-Selva di Val Gardena. Pantani attacca sulla Marmolada, che non aveva mai affrontato prima in carriera, e manda in crisi Zülle. Stavolta non è solo al comando. Con lui è partito Guerini, cui lascia la vittoria di tappa. Il “Pirata” è in maglia rosa per la prima volta in carriera. Il giorno dopo Tonkov lo batte in volata a Pampeago. Il Giro si deciderà alla 19a tappa, con l’arrivo a Pian di Montecampione. Pantani è capace di mantenere la stessa frequenza, negli scatti in salita, sia quando sale sui pedali sia quando si siede. Per gli avversari è un incubo. Ma Tonkov riesce a stargli dietro anche sull’ultima salita. Pantani moltiplica gli scatti, non si volta indietro per non dare l’impressione al russo di essere stanco, ma controlla l’ombra sull’asfalto. E l’ombra di Tonkov è sempre lì. Finché, sul finire della salita, l’ombra sparisce. Tonkov è in crisi. Pantani ha vinto tappa e Giro.

Prima del Tour muore Luciano Pezzi, che era come un padre per Pantani. Per quel sogno chiamato maglia gialla, Marco convince tutti i compagni di squadra a presentarsi con i capelli rasati a zero. Ma è quintultimo dopo il prologo di Dublino. Accumula altri 4’21” di ritardo da Ullrich, il grande favorito, dopo la settima tappa a cronometro. Sembra fuori dai giochi. Ma nell’ultima settimane arrivano le montagne, le grandi salite. E come scrive Gianni Mura di Repubblica, “il bello di Pantani è che lo aspetti e lui arriva. Come un treno, come un vento, come una ruspa, come una musica”. Vince a Plateau de Beille con 1’40” di vantaggio su Ullrich. “Perché vai così forte in salita?” gli chiede Mura al traguardo. “Solo per abbreviare la mia agonia”.

Pantani ha ancora 3 minuti da recuperare ma il 15 luglio c’è la tappa più dura, con arrivo a Les Deux Alpes. Il primo ad attaccare è Leblanc. È una giornata infernale e invernale, un 27 luglio di vento, di freddo, di pioggia. Sul Galibier, la vetta più alta del Tour, Pantani attacca e stacca il gruppo di Ullrich. Poi un brivido: appena scollinati i 2645 metri, il “Pirata” si ferma ai bordi della strada. Ma i timori svaniscono presto. Ha accostato perché non riusciva ad indossare la mantellina che il direttore Orlando Maini gli aveva passato per proteggersi dal freddo durante la discesa. Mancano 50 chilometri al traguardo. Su quella discesa Ullrich va in crisi di fame. Pantani va come un treno, recupera tutti i fuggitivi della prima ora, vince per distacco e dà quasi 9 minuti a Ullrich. Conquista la maglia gialla e la conserva fino ai Campi Elisi. A premiarlo c’è Felice Gimondi, l’ultimo italiano ad aver vinto il Tour, nel 1965. È lui che gli solleva il braccio in segno di vittoria. Un fotogramma simbolo, un passaggio di consegne. Pantani è il primo italiano capace di completare l’accoppiata con il Giro dopo Fausto Coppi (1952). In Francia si innamorano tutti di Pantani, che viene paragonato a Charly Gaul, “l’angelo della montagna”.

Il fotografo della rivista francese Vélo vuole ritrarlo in giacca e cravatta per la copertina del numero che celebra la sua impresa. Pantani non ci sta, e compare in camicia di velluto, pizzetto e orecchino. Marco, scrivono Bergonzi, Cassani e Zazzaroni, “respira l’aria nobile della storia. Sente di aver compiuto il suo viaggio”.

L’Ultima Tappa

“Marco Pantani” ha scritto Gianni Mura, “ha cominciato a morire quella mattina del ’99, a Madonna di Campiglio”. È il 5 giugno. In quell’edizione del Giro ha vinto su tutte le salite, ha firmato una rimonta epica dopo una caduta a Oropa, ma viene fermato dalla commissione dell’UCI. Ematocrito alto, dicono le analisi (52%, 2 punti più del consentito). Il sospetto è che Pantani abbia fatto ricorso all’EPO. Viene perciò espulso dal Giro. “Lui, il re delle salite, si è specializzato nelle discese. Agli inferi, ai paradisi artificiali, a tutto quello che lo nascondeva all’opinione pubblica, ai giornalisti, ai giudici.” prosegue Mura. Sono gli anni delle notti bianche, della cocaina, di un ultimo giro di giostra, un ultimo acuto sullo Zoncolan al Giro del 2003. Poi ci sono solo il ricovero nella clinica di Teolo, i viaggi a Cuba e il triste finale in un anonimo residence di Rimini. Un’agonia nient’affatto abbreviata e ancora poco chiara. Il campione che voleva vincere da solo è stato lasciato ancora più solo nell’ora dell’addio.

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