La vendetta calda di Stan (Giua). Kerber, anno meraviglia sotto il segno della Graf (Lopes Pegna). Trionfo Kerber, ma Karolina non ha capito (Clerici). Nel nome di Steffi (Zanni)

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La vendetta calda di Stan (Giua). Kerber, anno meraviglia sotto il segno della Graf (Lopes Pegna). Trionfo Kerber, ma Karolina non ha capito (Clerici). Nel nome di Steffi (Zanni)

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La vendetta calda di Stan (Claudio Giua, La Repubblica)

Il giorno di Ognissanti del 2004 Novak Djokovic tenta a 17 anni e mezzo l’avventura del Challenger indoor di Aachen, antica città della Renania-Vestfalia che noi italiani chiamiamo Aquisgrana e i francesi Aix-la-Chapelle. Poco più che esordiente, “Nole” deve azzeccare il terno al lotto delle qualificazioni se vuole far strada nel torneo. Viene messo in campo per il primo incontro della giornata contro il tedesco Lars Uebel, 24 anni, al quale rifila un netto 6-3 6-2. Poche ore dopo, nuovo match contro un altro tedesco, Alexander Flock, 21 anni, e un’altra severa lezione: 6-0 6-3. L’avversario successivo è Markus Hantschk, ovviamente tedesco, 27 anni, eliminato in due rapidi set, 6-3 6-2. Missione compiuta, tabellone principale raggiunto. Al primo turno del main draw Djokovjc non è fortunato, sembra: il sorteggio l’accoppia a uno svizzero di cui dicono tutti un gran bene, Stanislas Wawrinka, poco meno di vent’anni, servizio che sfonda e un rovescio a una mano da manuale. Fisico possente e stile aggressivo. Perfino Stan, però, si deve arrendere alla legge di questo ragazzino serbo: 6-2 6-3, del quale forse Nole non conserva memoria. Wawrinka scommetto di sì. Per la cronaca, “The Joker” – soprannome ancora da inventare – passerà i turni successivi e in finale troverà Lars Burgsmuller, classe 1975, giocatore molto più esperto, che riuscirà solo a strappargli il secondo set prima di arrendersi per 6-4 3-6 6-4. In quegli anni il clan Djokovic chiede soldi ai coach per “l’onore e l’opportunità di allenare il piccolo fenomeno”. Tra Aquisgrana 2004 a Flushing Meadows 2016 ci sono altre venticinque sfide tra Nole e Stan. Dal 2006 al 2014 della cocente sconfitta in semifinale agli Australian Open, il serbo lascia raramente qualche set allo svizzero. Quindici mesi fa arriva tuttavia proprio a spese di Nole la seconda clamorosa vittoria di Stan in uno Slam, al Roland Garros (la prima se l’era guadagnata battendo Rafael Nadal a Melbourne nel 2014). C’è una foto che immortala, quel giorno, il serbo chino a meditare su come si possa consegnare per 4-6 6-4 6-3 6-4 una finale a uno dei giocatori che meglio conosce. Nel bilancio dei confronti, fino a ieri sera, erano 22 i successi di Djokovic contro i 4 di Wawrinka. Alle 16.20 di una domenica che ricorda il quindicesimo anniversario degli attentati alle torri gemelle, The Joker e The Man si scaldano per la prima finale comune sul veloce degli UsOpen. Per il numero 1 al mondo è la settima finale qui a Flushing Meadows, per il numero 3 è un esordio assoluto. Il primo set è nel segno del lungo inseguimento da parte di Wawrinka, brekkato in apertura, che si concretizza all’ultima chance. Si va al tie break, durante il quale entrambi sfoggiano pezzi di virtuosismo tennistico. Stan è però molto più falloso, così Nole prevale nettamente. A tratti è una bella finale. Eppure gli errori risultano talvolta troppi per due campioni. In particolare, lo standard di qualità del gioco di Novak resta al di sotto del suo solito. Il secondo set è equilibrato e perfino soporifero finché Stan non accelera e si porta sul 3-1 approfittando del calo di rendimento di Nole al servizio. Parti ribaltate, ora è il serbo a inseguire e a riacciuffare l’avversario sul 4 pari. Poi The Man riprende il largo e chiude sul 6-4. Il tema del match resta la sfida di bordate con i piedi piazzati oltre la linea di fondo. Rare le discese a rete. Nel terzo set Stan riprova con successo ad andarsene in fuga, grazie alla felicità dei suoi passanti, che fanno inferocire Nole, fogniniamente impegnato a scambiare incomprensibili battute con il suo angolo. Il copione del secondo set si ripete, con soltanto un giro di servizi in più: il serbo recupera, lo svizzero sfrutta gli errori dell’avversario e coglie l’ultimo break possibile prima del tie break: 7-5. Il pubblico capisce che Djokovic è in difficoltà e lo incoraggia. Si muove pesantemente, non riesce a caricare il servizio. Nel quarto set va sotto per 3-0 e rischia il 4-0, che evita. Chiede l’intervento del fisioterapista anche se, sul 3-1, non è previsto il cambio di campo: “Sono le nuove regole”, spiega il giudice arbitro. Lunga medicazione degli alluci destro e sinistro, mentre Wawrinka frigge nell’attesa. Alla ripresa, Nole ha tre palle break, che spreca. Piazzato a ridosso della linea di fondo, The Man conduce le danze. Al cambio sul 5-2, il piede destro di Djokovic, sanguinante, ridiventa il protagonista della diretta globale. Il dolore fa audience. È l’epilogo: con gli ultimi vincenti (saranno 46 contro 30 nel conteggio di fine gara) Wawrinka si prende il set per 6-3 e incassa i tre milioni e mezzo di dollari che vanno al titolare degli UsOpen 2016. Dopo dodici anni, Stan vendica la sconfitta subita per mano di un ragazzetto strafottente ad Aquisgrana. Con gli interessi: due Slam persi in finale in altrettanti anni (Parigi 2015 e New York adesso) fanno più male di un Challenger ceduto al primo turno qualche era tennistica fa, no?

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Kerber, anno meraviglia sotto il segno della Graf (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Da bambina seguiva tutti i suoi match. «Erano sempre molto brevi, però», sorride Angelique Kerber, da oggi ufficialmente nuova n. 1 del tennis femmiile. Come per tante altre ragazzine tedesche cresciute negli Anni ‘90, Steffi Graf era il suo idolo. «E’ da allora che ho in testa l’idea di vincere i tornei dello Slam e diventare la numero uno», dice come se ancora non avesse realizzato ciò che è riuscita a fare. Sogni realizzati nell’arco di nove mesi. Australian Open a gennaio (successo in finale su Serena), finale a Wimbledon (persa sempre con la Williams), argento olimpico a Rio (battuta dalla portoricana Puig) e ora l’ultimo trofeo, quello della conferma: gli Us Open. Steffi le ha mandato un messaggino di auguri e poi quello di congratulazioni dopo la vittoria contro Karolina Pliskova, la 24enne ceca che aveva eliminato in semifinale proprio Serena. La scorsa estate era andata a Las Vegas a casa della più grande tennista tedesca per un paio di giorni, come fosse una sorta di stage. «Ho sempre saputo di avere dentro di me il talento per vincere i tornei più importanti: mi mancava l’ultimo passaggio». La Graf le disse di credere ciecamente nei suoi mezzi, che era una questione solo di sicurezze. Lei è andata oltre: «Ho riunito il mio staff e abbiamo cercato di capire in che cosa potevo migliorare. Dovevo allenarmi di più, sapere che potevo andare al terzo set senza flessioni fisiche. E poi essere più aggressiva, attaccare i punti non attendere gli errori delle avversarie». Il risultato di questo lavoro ha dato i suoi frutti in questo 2016. A Melbourne si salvò da un match point al primo turno contro la giapponese Doi, sabato sera in finale dopo aver conquistato il primo set e perso il secondo, si era cacciata in guai seri in quello decisivo lasciando il servizio nel terzo game: «Forse la Angie di qualche tempo fa avrebbe mollato. Invece mi sono detta: “Credici, abbi fiducia nei tuoi colpi”. Ho ripensato alle cose belle dell’Australia e ho cominciato a spingere le palle. La più bella sensazione è proprio questa: vedere che il lavoro paga». Lo conferma l’allenatore, Torben Beltz, che Angie con un balzo acrobatico è andata ad abbracciare in tribuna: «Lo avete visto tutti, non si arrende mai. E’ una combattente che rifiuta di perdere». Le domandano quali siano state le cose più complicate di questi giorni. «L’enorme pressione: per due settimane mi è stato chiesto del possibile sorpasso su Serena in cima alla classifica. E poi trovarmi in finale la Pliskova, che neppure un mese fa mi aveva battuto in due set a Cincinnati. Karolina è una ragazza formidabile e dopo i successi su Venus e Serena aveva acquisito una fiducia pazzesca». Pliskova è stata la vera novità ai piani alti di questi Us Open. Si era presentata qui senza essersi mai spinta oltre un terzo turno in un Major e ora se ne va con un bottino considerevole: una finale, lo scalpo di Serena e l’ingresso fra le top 10 (6). «Mi porto via da qui soltanto sensazioni positive, perché ho perso dalla numero uno del mondo costringendola a soffrire fino alle ultime palle», dice la ceca, comunque soddisfatta. E’ la sofferenza su cui si sofferma volentieri Angie. Forse perché se l’è messa definitivamente alle spalle. Anche in questo trionfale 2016 («L’anno più bello della mia vita»), c’è stato un momento in cui è stata in difficoltà. Dopo l’Australia, a parte le semifinali di Miami e Charleston, ha subito quattro eliminazioni al primo turno, incluso Parigi. Sospira, ricordando quei mesi in cui si era un po’ smarrita: «Sono arrivata al Roland Garros con addosso una tensione enorme: non ce l’ho fatta a gestirla. Ma poi sono andata a casa e ho potuto riflettere con tranquillità. Mi sono detta: “Ok, ora torna ad allenarti con identica intensità. Ce l’hai fatta in Australia e hai di fronte altri due Slam”». Lo racconta con la maturità dei suoi 28 anni. Secondo le statistiche, Angie è la giocatrice più anziana a diventare numero uno per la prima volta. «Esatto, non ho più 18 anni, i sogni dovevo iniziare a realizzarli adesso», ribatte. Già, i sogni. L’argomento che ricorre con più frequenza nei suoi discorsi. «Che cosa dirò ai miei figli? Proprio questo. Credete in voi stessi e non abbiate paura di sognare. E quando saranno più grandi, mostrerò loro i video delle mie vittorie, la prova inconfutabile che la loro mamma un giorno di molti anni prima quei sogni li aveva realizzati».

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Trionfo Kerber, ma Karolina non ha capito (Gianni Clerici, La Repubblica)

Non sono abbastanza vecchio per aver visto giocare la vincitrice dello US Open del 1887 Ellen Hansell, ma dal ’45 le ho viste tutte, e più di una volta ci ho giocato, come per esempio con Maureen Connolly, la più grande. Vorrei ora testimoniare che, tra quelle che ho visto, la meno talentuosa è proprio l’attuale, Angelique Kerber, che è riuscita a battere per un equivoco tattico una giovane donna che campionessa diventerà, se trova un coach negli annunci pubblicitari. Karolina Pliskova ha perduto non solo per inesperienza di finali Slam, ma per non aver mai fatto, nell’intera partita, un solo drop a un’avversaria che i suoi profondi rimbalzi spingevano spesso a sfiorare i tabelloni pubblicitari. Non sono in grado di smentire del tutto chi giura che Karolina non si sia accorta che l’avversaria era mancina, insistendo sul suo diritto, il colpo più solido. Ho, ripeto, assistito alla più modesta finale dei Campionati d’America in un’annata che si potrebbe paragonare a quelle delle vendemmie rovinate dal maltempo. II livello di gioco femminile, con questa Kerber n. 1 e vincitrice di ben due Slam è ormai sceso al minimo che io ricordi. Atleticità, rovescio bimane genuflesso, grantoli (grugniti più rantoli) e nessuna creatività. Speriamo ci sia già, all’asilo, una bambina ispirata, com’erano state la Graf o la Henin.

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Nel nome di Steffi (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Anche Angelique ha un angelo, e il suo intervento speciale è stato costretto a farlo otto mesi fa, al primo turno degli Australian Open 2016, quando la giapponese Misaki Doi ha avuto il matchpoint sulla racchetta… «E io avevo un piede sull’aereo per la Germania», ha confessato Angelique Kerber. Invece quello Slam è diventato il primo nella carriera della tedesca di Brema che un giorno, da piccola, si trasferì a Puszczykowo, in Polonia, perché la nonna materna aveva aperto un’accademia tennistica, “Angie”, proprio per la nipotina. E ancora oggi Angie risiede in quella cittadina di 10.000 abitanti e l’accademia, diventata “Angelique Kerber Tennis Academy” continua ad insegnare a bambini e bambine nel nome della nuova campionessa. Ma nonostante questo legame fortissimo con la Polonia, Angelique si sente completamente tedesca. E otto mesi fa in Australia, perdendo quell’aereo per tornare subito a casa, ha cominciato una cavalcata incredibile che l’ha portata a tre finali di Slam, due vinte, l’argento olimpico e al numero 1 della classifica mondiale. E’ il suo momento, arrivato un po’ in ritardo rispetto a quello a cui il tennis femminile ci aveva abituati. Angie, 28 anni, è la più anziana ad essere salita per la prima volta sul gradino più alto del ranking WTA e solo la cinese Li Na in precedenza era riuscita a vincere i primi due Slam dopo aver compiuto quell’età. Ma il tennis cambia e i vincitori anche: in fondo, lo scorso anno, Flavia Pennetta aveva iscritto il suo nome nell’albo d’oro di questo torneo a 33 anni. «È l’anno più bello della mia carriera – ha detto Angie dopo aver battuto la ceca Karolina Pliskova – quest’anno si sono realizzati tutti i sogni». Il tennis femminile è in un momento di transizione: Serena sta per compiere 35 anni, Maria Sharapova ha altro a cui pensare, Victoria Azarenka è incinta e il plotone delle giovani va a intermittenza, Garbine Muguruza vince e poi sparisce e con lei Simona Halep, Agnieszka Radwanska, Madison Keys e Eugenie Bouchard che, quando va bene, riescono ad arrivare ai quarti di finale. Così ecco il ‘Kerber’s time’; ma per arrivarci il percorso è stato lungo, e soprattutto tortuoso. La Kerber è diventata pro nel 2003, a 15 anni, ma fino al 2011, semifinalista proprio agli US Open, in pochi si erano accorti della sua presenza. Poi, il momento della svolta, l’inizio disastroso dei 2015, dagli Australian Open a Miami: cambio del coach, ritorno al passato con Torben Beltz e, prima di Indian Wells, i pochi giorni passati con Steffi Graf (che poi sabato, prima della finale, le ha mandato un sms di buona fortuna), che l’hanno cambiata. «Mi ha tolto i dubbi»: così Angie ha descritto (senza entrare nei particolari) quell’incontro e quelle ore passate a palleggiare sul campo con la connazionale e una delle più grandi tenniste di tutti i tempi. E da quel momento Angie ha cominciato davvero a percorrere la strada per diventare la numero 1 e dopo il successo in Australia è tornata a Las Vegas dalla Graf. «L’ho sentita anche ieri, o due giorni fa. È sempre stata un mio idolo, non so quante volte gliel’ho detto».

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