L’ora di super Wawrinka. Negli Slam sa solo vincere (Lopes Pegna). Non c’è sorpresa nella sconfitta del re Djokovic (Clerici). E Nole diventa filosofo: “Adesso cerco risposte” (Lopes Pegna). L’infallibile Wawrinka. Dal trattore di papà a grande del tennis (Semeraro). Freddezza e talento. Un animale da big match (Bertolucci). Lorenzi, n. 1 fai da te: “Il tennis è sopravvivenza” (Rossi)

Rassegna stampa

L’ora di super Wawrinka. Negli Slam sa solo vincere (Lopes Pegna). Non c’è sorpresa nella sconfitta del re Djokovic (Clerici). E Nole diventa filosofo: “Adesso cerco risposte” (Lopes Pegna). L’infallibile Wawrinka. Dal trattore di papà a grande del tennis (Semeraro). Freddezza e talento. Un animale da big match (Bertolucci). Lorenzi, n. 1 fai da te: “Il tennis è sopravvivenza” (Rossi)

Pubblicato

il

 

L’ora di super Wawrinka. Negli Slam sa solo vincere (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Il campione apre con una battuta: «No, nessuna domanda a Roger (Federer, ndr) su come battere Djokovic in finale. Beh, l’anno scorso ci aveva perso: non credo avesse dei buoni consigli da darmi». Ride di gusto, Stan Wawrinka. L’umore è a mille, le gambe sono a pezzi. «Sono vuoto, ho dato tutto in queste due settimane», confessa lo svizzero che nel terzo turno contro Evans ha annullato un match point. Ma ora è finita, il serbo si è arreso: non ne aveva più neppure lui. Lo ha schiantato, anche fisicamente, per la seconda volta in una finale di Slam. Con Nole, sono delle rarità. Mentre lui ha infilato l’ll° successo di fila in altrettante finali: sono numeri che fanno riflettere. Ma adesso conta solo quella coppa che gli sta accanto e a cui lancia un’occhiata compiaciuta. E allora rivela piccoli segreti che non t’aspetti da uno che chiamano, tra l’altro, Stanimal, per la tenacia e resistenza fisica: «Questo torneo è stato il più doloroso che abbia mai affrontato: fisicamente e mentalmente. Devi saper soffrire e io ero stanco già al principio del primo set. Avevo crampi e dolori, ma non volevo far capire che stavo male». Poi, Stan l’animale getta definitivamente la maschera del supereroe: «Poco prima di andare in campo ho iniziato a tremare e sono scoppiato a piangere. Mi ci sono voluti un paio di minuti per ricompormi e calmarmi. Colpa della pressione che mi metto addosso. Perché adesso non mi accontento più solo di arrivare in finale in uno Slam. Io voglio vincere». Fino alla soglia dei 29 anni era arrivato al massimo a una semifinale di uno dei grandi tornei. Poi agli Australian Open del 2014 fece fuori Djokovic nei quarti e Nadal in finale e li capì per la prima volta che poteva giocarsela alla pari anche con i Fab 4: «Fino a Melbourne non avevo neppure mai osato sognare una vittoria tanto importante, la vedevo come una possibilità remota per le mie capacità. Oggi so che quando scendo in campo posso battere chiunque». In meno di tre anni ha acciuffato Andy Murray a quota tre Slam (su tre finali: percentuale da paura). E domenica, a 31 anni e 5 mesi, è diventato il più anziano vincitore di uno Us Open dai tempi di Ken Rosewall. E ora non vuole fermarsi: «Forse perché ho sempre pensato un passo alla volta. E allora ci vuole tempo. Il primo obiettivo era diventare professionista, poi entrare nei top 50 e così via. Una cosa è fondamentale per darmi tranquillità: devo sapere di aver dato il massimo. Perché quando smetterò non voglio rimpianti, non voglio dovermi rimproverare di non essermi allenato abbastanza». Stan, pensi di meritarti un posto nel club dei Fab 4? Occhiata perplessa: «Ma no, sono troppo distante da quel gruppo. Nadal, Federer, Murray e Djokovic non soltanto vincono gli Slam e i Master 1000, ma quando non vincono arrivano in finale o in semifinale. E lo fanno da molti anni». Gli chiedono di Wimbledon, dove è arrivato al massimo nei quarti, il torneo che gli manca per completare il Grande Slam personale. Ride: «Mancano circa dieci mesi: è ancora molto lontano. Ma l’erba mi piace e so di poterci giocare il mio miglior tennis». I Fab 4 sono avvisati.

—————————————————–

Non c’è sorpresa nella sconfitta del re Djokovic (Gianni Clerici, La Repubblica)

La vittoria di Stan Wawrinka nella finale dello Us Open contro Djokovic è stata la sorpresa meno sorprendente che si potesse immaginare. So che è professionale dar conto di quanto avviene il giorno seguente, ma invito a rileggere la mia viva sorpresa per la quota di 4,20 assegnata al possibile successo dello svizzero. Il sindacato dei giornalisti mi proibisce le scommesse, ma in caso contrario non avrei perso un minuto per mettere i miei euro su Wawrinka, e non su Djokovic, che era dato in pratica alla pari. In favore dello svizzero giocava non solo l’ottima prestazione della semi contro Nishikori ma il match point annullato al terzo turno contro il britannico Evans, uno scambio in cui Stan era stato assistito dal suo Angelo Custode, o forse dal destino. I precedenti del torneo di Djoko erano piuttosto negativi per la sconfitta olimpica contro il rinato Del Potro, la forzata assenza a Cincinnati, i tre ritiri dei suoi avversari a New York, le complessive 9 ore di gioco in due settimane. Infine dall’affermazione di non sentirsi in buona salute, suffragata dalla ribadita presenza nei suoi match di fisioterapisti chiamati ad occuparsi delle sue scricchiolanti articolazioni. Il match ha seguito le condizioni atletiche dei due, ed è stato in crescendo per Wawrinka, mentre Nole via via si spegneva. Sinché è stato al suo meglio attuale, Djoko è riuscito a strappare il primo tie-break, valendosi anche del ricordo degli 8 su 9 vinti contro lo stesso avversario. Ma, dopo la prima ora di gioco, mentre il tennis dello svizzero non faceva che rassodarsi, e i suoi rimbalzi monomani si accrescevano in forza e profondità, la vicenda si faceva più complessa per Nole. Era costretto a trasformarsi, lui che per solito detta gli schemi, in contrattaccante, e solo quando Stan gliene lasciava la possibilità. Un vantaggio di 4 a 1, seguito da un momentaneo 4 pari, si risolveva con 8 punti a 2 per Stan, che da quel momento avrebbe continuato ad attaccare più che a subire. Saliva sia nel terzo che nel quarto 3 games a zero, e i recuperi di Nole si dimostravano incompleti in entrambe le occasioni. A conferma del suo dubbio stato di salute Djokovic chiedeva per due volte, nell’ultimo set, l’intervento del fisio, che altro non poteva offrirgli se non una bendatura su un alluce sbucciato. Ma quei ritardi non turbavano la concentrazione di Stan, che si sarebbe imposto negli ultimi 2 games per 9 punti a 4, con un rovescio finale vincente, un colpo che non si usa più ai nostri giorni. Niente di inatteso quindi, in un match giudicato dai più, per un equivoco, sorprendente.

—————————————————–

E Nole diventa filosofo: “Adesso cerco risposte” (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

La cosa più strana per chi lo conosce è vedere Novak Djokovic quasi distaccato dopo aver mancato l’occasione di conquistare il 13° Slam e avvicinarsi ulteriormente a Nadal, Sampras (14) e Federer (17). E’ appena capitolato al secondo match point e sintetizza in una frase il motivo della sua sconfitta: «Stan è stato il giocatore più coraggioso nei punti importanti». Gli brucia leggere sul foglio di carta quella statistica inesorabile: 3 palle break sfruttate su 17. Spiega: «Non sono riuscito a capitalizzare tutte quelle occasioni. Una percentuale orribile, sicuramente la peggiore nelle finali che ho disputato». Rifiuta di tirare fuori la storia del dito del piede, il motivo per cui nel 4 set (3-1 per il rivale) ha chiesto l’intervento del fisioterapista: «Non ne voglio parlare, non sarebbe giusto nei confronti di Stan che ha meritato di vincere. Confermo, però, che alla vigilia avevo una serie di problemi e ho deciso di partecipare agli Us Open soltanto una decina di giorni prima dell’inizio». Ammette che il servizio è stato il colpo che forse lo ha tradito di più: «Per i problemi fisici ho modificato leggermente la tecnica della battuta. In match così importanti il servizio è fondamentale e se non ce l’hai, vincere diventa dura. Ma questa rimane comunque una grande stagione. Due Slam e una finale, il mio primo Roland Garros, il Grande Slam personale». Chiude con una importante riflessione: «Fino a quando vinci pensi sempre che sei perfetto e tendi a coprire certi problemi. Per questo penso che anche le sconfitte possano essere utili. E’ quando devi chiederti se hai davvero fatto tutto l’indispensabile. Ecco, da domani e per il resto dell’anno cercherò di darmi delle risposte».

—————————————————–

L’infallibile Wawrinka. Dal trattore di papà a grande del tennis (Stefano Semeraro, La Stampa)

Cinque minuti prima di entrare in campo per la sua terza finale Slam, la prima agli Us Open, Stan Wawrinka è scoppiato a piangere. «Negli spogliatoi tremavo, all’improvviso mi sono ritrovato in lacrime». Motivo? «Fino a 3 anni fa quando incontravo uno dei più forti in un match così ero già contento di partecipare. Adesso voglio vincere». A piangere, in realtà, dovrebbero essere i rivali, visto che dal 2014 a oggi lo svizzero ha giocato 11 finali e le ha vinte tutte, comprese 3 finali Slam, vinte battendo quello che, in quel momento, era il n. 1 del mondo: Nadal in Australia 2014, Djokovic a Parigi 2015 e adesso a New York: 6-7 6-4 7-5 6-3 dopo 4 ore di battaglia. Secondo Djokovic, «Stan va considerato un membro aggiunto dei Fab Four». Forse sarebbe meglio dire il Terzo dei Big 3, considerato che è quello il suo posto in classifica alle spalle di Djokovic stesso e di Murray, mentre Federer e Nadal sembrano avviati al tramonto. La sua è la parabola di uomo tranquillo, «l’altro» svizzero cresciuto all’ombra di Federer che da giovane non riusciva a trovare un posto al sole. Gran tennis, grandissimo rovescio, ma nervi fragili che si scioglievano regolarmente sotto i riflettori. Nel 2013 la svolta: due quinti set persi in Australia e a New York, proprio contro Djokovic, gli hanno fatto capire che si, aveva i colpi per stare all’altezza dei più forti. Ma non ancora la forma fisica e la tenuta mentale. Quelle se le è scolpite addosso lavorando «giorno per giorno, tutti i giorni» con Magnus Norman e ricordandosi di quello che aveva imparato da ragazzino nel paesino di St. Barthélemy, 800 abitanti nei pressi di Losanna, lì dove è nato e dove suo papà Wolfram per 35 anni ha diretto il «Centre Social et Curatif» per ospiti con disabilità mentali in un castello del IX secolo immerso nella campagna. La mattina si alzava alle 5 per lavorare sul trattore con il padre. «Ma è vivendo vicino a persone con problemi particolari che ho imparato a lottare fino in fondo per conquistare quello che voglio». Papà Wolfram applicava il principio di Rudolf Steiner, l’antroposofia, una liberazione dell’io che anche Stan, a botte di rovescio, ha finito per ottenere. Senza fretta, a 30 anni suonati, e puntandosi sempre l’indice alla testa per ricordarsi che si decide tutto quando il gioco si fa duro. «Non sono uno che quando guarda il tabellone dice: vincerò il torneo. Vado in progressione, non solo nel tennis. Anche qui ho iniziato male, contro Evans ho rischiato di perdere perché volevo vincere, ero nervoso. Ho dovuto farmi forza, salvare un match point. Negli Slam man mano che vinco partite ritrovo il mio tennis. Contro Djokovic sapevo che sarebbe stata dura, nel terzo set ho iniziato ad avere i crampi, ma con Magnus avevo deciso che non avrei detto niente, che sarei stato duro con me». Da Terzo Uomo non ambisce a scalare la classifica. «Non punto al n.1 e anche se ora ho 3 Slam come Murray lui è lì da 10 anni e ha vinto molto più di me. Mi accontento di non avere rimpianti». E comunque di vincere in finale.

—————————————————–

Freddezza e talento. Un animale da big match (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

I Fab 4 hanno dovuto aggiungere un posto a tavola e accogliere Stan Wawrinka. Tanto di cappello allo svizzero che ancora una volta si è dimostrato un autentico killer quando raggiunge le finali. Fino a poco tempo fa era stato accompagnato da un velo di scetticismo e molti lo avevano inserito nella lista dei giocatori belli ma non vincenti. Ma non si ha un record di 11-0 nelle ultime 11 finali se non si posseggono doti fuori dal comune e non si vincono tre finali Slam su superfici diverse contro il numero 1 del momento se non si è dotati di un tennis completo e efficace. Certo, il ragazzo è strano, freddo e concreto in versione on, abulico e insofferente in quella off, un problema non da poco che il bravo coach Norman è riuscito a limare con un lavoro certosino. I progressi tecnici sono evidenti a cominciare dalla gestione dei rimbalzi, per proseguire con le modifiche all’impugnatura e al punto d’impatto del dritto per finire con le meravigliose pagine di poesia scritte con il rovescio. Pochi possono vantare, all’interno del circuito, lo stesso arsenale tecnico e la stessa facilità di gioco, ma quello che lo rende diverso dagli altri è il sangue freddo e la convinzione che riesce a mettere sul campo nelle sfide decisive. E’ esploso tardi ma, con il fisico da torello che si ritrova, può salire ancora più in alto specialmente se riuscirà a trovare la giusta continuità nel corso di tutta la stagione agonistica e capire che i tornei si giocano con la massima attenzione turno dopo turno.

—————————————————–

Lorenzi, n. 1 fai da te: “Il tennis è sopravvivenza” (Paolo Rossi, La Repubblica)

Il nuovo n. 1 del tennis italiano è un arzillo 33enne dalla lunga gavetta, uno che ha dovuto pagarsi tutto, che per anni ha viaggiato da solo. Una specie di sopravvissuto: Paolo Lorenzi da ieri è n. 35 della classifica (Fognini ora è scivolato al n. 43). Una bella soddisfazione, ora può ritirarsi in pace… «Ma non ne vedo il bisogno. Ho ancora voglia».

Sa che le sue parole ricordano quelle di Totti?

Ecco, vorrei smettere con Roma 2024.

Quella è un’ altra storia. Però sa cosa diranno? Che il tennis italiano è messo male, se il n. 1 ha la sua età…

E io rispondo che se guardassimo di più il ranking, e meno l’età anagrafica, sarebbe molto meglio.

Oddio, non è che le classifiche siano entusiasmanti.

Aspettiamo i prossimi mesi, qualcosa si sta muovendo. Ne sono sicuro. Nel giro di qualche anno i Giannessi, i Napolitano si faranno valere.

Un po’ come è capitato a lei. Se lo ricorda un certo Gianluca Pozzi?

Naturalmente. Un esempio di persona. Lui faceva tutto da solo: viaggiava senza coach, si allenava da solo. Io per fortuna il coach ce l’ho, Galoppini. Ed è stato decisivo.

Però ha dovuto sorbirsi una bella gavetta.

Sono tredici anni che sono in giro, la prima volta all’estero fu a 16 anni, un satellite in Egitto. E non mi fecero nemmeno giocare.

Come si spiega l’esplosione tardiva?

Boh, il mio tennis richiedeva applicazione e attesa. Ma non mi è mai venuto in mente di mollare. Ho cercato di rubare dagli altri: li vedo giocare e cerco di carpire colpi e movimenti.

Ma com’è l’altro tennis, quello lontano dalle luci della ribalta?

È il tennis che mentre ti alleni devi fare i conti con i soci del circolo che vogliono il tuo campo, il tennis di tornei organizzati male, il tennis in cui cerchi di far quadrare i conti. Quando sei 200 del mondo non guadagni, ma se ti sai gestire riesci a sopravvivere.

Cosa le ha tolto il tennis?

Le vacanze, le gite con gli amici. Onestamente quello mi è mancato. Ma mi ha dato l’indipendenza. Il parlare le lingue. La capacità di sapersi adattare.

Ne avrà di episodi da raccontare.

Uno che ricordo come fosse ieri: ero a New York, il bus non passa e io rischio di non giocare. Passa la Jankovic con la macchina, le chiedo un passaggio e lei dice no. Che tristezza.

Sa che McEnroe l’ha accusata di aver voluto perdere con Murray agli US Open perchè secondo lui preferiva giocare un challenger?

Eh, Mac deve fare show…

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement