Dall'inferno dell'infortunio al paradiso di Rio, il ritorno di del Potro

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Dall’inferno dell’infortunio al paradiso di Rio, il ritorno di del Potro

La risalita del campione argentino in attesa della finale di Coppa Davis. Le sue montagne russe sembrano finite

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Fabio Fognini: “Top Ten? Ho avuto paura ma sono il n.1 dei pazzi” (Crivelli, Gazzetta)

Anno 2016. Murray e Djokovic saranno ricordati per la lotta alla prima posizione mondiale, Nadal e Federer come spettatori del tempo che passa, Wawrinka come l’uomo delle finali. Il personaggio dell’anno, però, non ce ne voglia Andy, spetta a del Potro.

Al tennis maschile uno come lui mancava, tanto. Lui è diverso dagli altri perché gioca in un modo diverso. Il suo dritto è una “mattonella”, una “sentenza”; il suo rovescio si è trasformato da bimane in back con fatica e lavoro per necessità; la prima palla di servizio tanto precisa quanto pesante; il tocco a rete stranamente delicato per un uomo di 198 centimetri. Lui è un personaggio. Perché? Come prima cosa è argentino, ovvero il popolo del calcio: in Argentina lo sport è il calcio, per certi versi ancora di più del Brasile, in Argentina lo sport è sinonimo di Messi e Maradona (scusate, Maradona e Messi). Delpo in questo è il degno erede di Vilas e Nalbandian come capacità di portare il pubblico al tennis (ricordate l’accoglienza regalatagli dai tifosi del Boca Juniors allo stadio di Buenos Aires in settembre?). Poi la sua storia, le sue montagne russe. Nel 2009 vince il suo primo e unico slam a New York battendo in semifinale Nadal e in finale Federer giocando un tennis tutta potenza e coraggio. Sembrava l’inizio di un sogno ma in realtà è stata la fine di una carriera. La prima. Nel 2010 operazione al polso destro, 8 mesi fermo, lenta risalita fino all’estate del 2012 quando vince la medaglia di bronzo alle Olimpiadi a Londra sconfiggendo Novak Djokovic nella “finalina”. Nel 2013 di lui si ricorda la semifinale a Wimblendon (persa da Djokovic) e la quinta posizione nel ranking a fine anno. Nel 2014 si ferma per il polso sinistro, operato, torna nel 2015. Poi si opera di nuovo. Fine della seconda carriera. 2016, ritorna il Delpo. A gennaio è numero 1045 del ranking. Vittoria dopo vittoria, turno dopo turno si arriva a Rio, le Olimpiadi. Primo turno del Potro-Djokovic. Qui si accende la terza carriera. Delpo vince, poi vince ancora, arriva in semifinale e batte anche Nadal. Finale contro Murray. Perde in quattro set ma è come se vincesse. E la rivincita arriva nella semifinale di Coppa Davis, a Glasgow, vince del Potro 6-4 al quinto set dopo 5 ore di partita eroica. L’Argentina vola in finale dove sfiderà la Croazia di Cilic. Del Potro a novembre rientra nei primi 50 al mondo e l’ATP lo premia come Comeback Player of The Year.

Del Potro è amato perché lascia trasparire le sue emozioni, piange, molto, senza vergogna. Da uomo. Non soffre i fab four, prova che spesso li batte, quasi sempre nelle occasioni importanti. Il suo gioco piace perché coraggioso, mai banale, sempre alla ricerca del punto. E come tutti i campioni sfortunati piace proprio perché sfortunato, perché cade, si infortuna, soffre ma torna, risale e si riferma, torna. La sua carriera poteva essere diversa, sicuramente. Nel 2009 dopo gli US Open si parlava di lui come potenziale numero uno al mondo. Il prossimo anno, a settembre, compirà 29 anni, l’età giusta per diventare numero uno al mondo (vero Murray?). Forse il meglio dalla sua carriera in termine di gioco è passato, aspettiamo a vedere se è cosi anche per i risultati. Domani prenderà il via la finale di Davis a Zagabria. Del Potro sarà la stella dell’Argentina, lui partito 1045 del mondo 11 mesi fa. Le sue montagne russe sembrano finite e il sogno di vedere una sfida decisiva tra del Potro e Cilic è nella testa di molti amanti del tennis. Vinca il migliore, lasciando da parte i sentimenti.

Marco Belli

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