Tennis Training School: da Foligno a Melbourne con Vanni e Fabbiano

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Tennis Training School: da Foligno a Melbourne con Vanni e Fabbiano

Una giornata ospiti della Training Tennis School di Foligno. Dal Direttore della scuola – il maestro Fabrizio Alessi – e dai professionisti di casa – Thomas Fabbiano e Luca Vanni – ci siamo fatti raccontare come è nato questo ambizioso progetto e perché la federazione quest’anno ha scelto proprio loro come i migliori d’Italia

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“[…] i migliori in questo campo siamo noi”. Così cantava Edoardo Bennato in una delle sue composizioni più celebri ed è quello che, se solo non fossero baciati dall’umiltà di chi nella vita si è sudato ogni singolo traguardo, potrebbe dire di sé lo staff della Tennis Training School di Foligno, a cui la federazione ha attribuito proprio di recente l’ambito riconoscimento di miglior scuola tennis italiana per l’anno 2016. Lungo la strada del Sagrantino, in questo incantevole spicchio d’Umbria che dalla piana di Foligno – “lu centru de lu munnu” secondo la tradizione – si inerpica tra filari di viti, cantine e uliveti fino a Montefalco, più che nei collodiani gatto e la volpe ci si può dunque imbattere nel triumvirato, tutto sostanza, allegria e competenza, composto da Fabrizio Alessi, Fabio Gorietti e Federico Torresi. Maestri, nell’accezione più ampia del termine, che non più tardi di una decina di anni or sono hanno dato il là all’ambizioso progetto di portare il tennis già presente in Villa Candida su livelli di assoluta eccellenza. E non poteva esserci location più azzeccata per puntare così in alto se non, appunto, quella assicurata dal celebre edificio settecenteso griffato dal Piermarini – architetto, tra l’altro, anche del Teatro alla Scala di Milano e della Villa Reale a Monza – che lo sport, grazie alla passione della Tennis Training School, ha restituito al suo antico splendore. Che dire, missione compiuta e un valido motivo – per noi di Ubitennis – per celebrare questa bella realtà tutta italiana.

Se tutto intorno il verde ordinato dei prati strizza l’occhiolino al blu cobalto di un cielo per l’occasione eccezionalmente terso, varcata la soglia d’ingresso ci si spalanca un mondo nel quale, ben prima del tennis, è proprio l’uomo con tutte le sue esigenze ad essere il coccolato epicentro. Un mondo in cui l’organizzazione rigorosa dei tempi e degli spazi propria delle attività d’avanguardia come questa, anziché reprimerlo, riesce ad esaltare il concetto basilare di famiglia che qui, entro le mura di Villa Candida che trasudano storia, funge da indissolubile filo conduttore e riecheggia nei pensieri di tutti coloro che abbiamo avuto il piacere di incontrare. Professionalità sì, ma a misura d’uomo. La sensazione positiva che un avventore benché occasionale riesce a percepire rimbalzando tra playground e club house è quella di tornare nella propria città natia al termine di un lungo viaggio, per poi scoprire come tutto, in barba all’incedere inesorabile del tempo, sia rimasto proprio come lo si era lasciato il giorno dell’arrivederci. Quindi, persone indaffarate di tutte le età casualmente si incontrano, si abbracciano e si salutano con un sorriso spontaneo, ed è solo allora che, animate da questo spirito, scendono in campo. Per lavoro o per diletto, per una sessione di allenamento o per un’ora di svago, professionisti affermati o semplici aficionados della racchetta. Tutti, senza alcuna distinzione.

Il compito di far gli onori di casa è toccato a Fabrizio Alessi, Direttore della scuola, socio fondatore nonché tecnico nazionale di lunga data. Approfittando di una disponibilità non comune lo abbiamo intervistato a lungo e quella che segue è la sintesi del nostro incontro.

 

Direttore buongiorno, innanzitutto grazie per l’ospitalità. Ci vuoi raccontare un po’ di questa Tennis Training School?
La Tennis Training School è innanzitutto una scuola tennis che poi è anche circolo. Rispetto a come in genere sono strutturati gli altri club, la nostra può essere definita essenzialmente una scuola – di tennis ma non solo – con una appendice sociale, i soci che giocano. La predominanza è, appunto, la scuola e la nostra missione è insegnare e allenare e ogni nostra risorsa a disposizione è quindi finalizzata a quello. La nostra location è quella di Villa Candida che è stata inaugurata nel 1982 e ha sempre avuto un percorso proprio caratterizzato da una scuola tennis classica; noi come Tennis Training School, invece, abbiamo preso il via da zero, o quasi, solo nel 2007. Io, Fabio Gorietti e Alessio Torresi abbiamo ereditato la situazione precedente con soli otto bambini e da lì ci siamo chiesti se fosse possibile fare qualcosa di innovativo qui in Umbria. La storia di Villa Candida è quella di una ventina di appassionati di tennis che all’epoca rilevarono una villa abbandonata con del terreno intorno e vi crearono un club. Con un lavoro porta a porta hanno cercato i soci che poi sono diventati anche azionisti. Per 10-15 anni il club è quindi andato avanti col volontariato degli stessi azionisti poi la proprietà ne ha dato in gestione le strutture a delle associazioni. Ora c’è la Tennis Training School che, ripeto, sostanzialmente svolge una funzione di insegnamento.

Prima scuola d’Italia 2016 nella classifica stilata dalla federazione. Cosa significa?
Un grande orgoglio. Siamo stati giudicati migliori d’Italia perché ci sono, tra i criteri di assegnazione, dei parametri oggettivi legati sia all’attività individuale dei ragazzi che delle squadre. Ogni ragazzo che si allena qui da noi porta un certo punteggio, poi c’è l’attività dei professionisti a portare anch’essa un punteggio. E così via. Comunque non è stata una sorpresa. L’anno scorso siamo già arrivati secondi dietro al Parioli e per una scuola giovane come la nostra – a Foligno, in Umbria che è una regione di soli ottocentomila abitanti come un solo quartiere di Roma – era già un risultato eccezionale. Essere primi, però, ha significato trovare il nostro nome sulle locandine dei giornali in edicola e finalmente anche la città Foligno si è accorta di noi, di cosa facciamo, della nostra portata. Sembra paradossale ma, se gli addetti ai lavori di tutta Italia già da tempo ci conoscevano e riconoscevano la bontà del nostro operato, era proprio nella nostra città che difettavamo di popolarità ma ora con questo riconoscimento abbiamo colmato questa lacuna. Il Comune, proprio di recente, nella persona del Sindaco ed alla presenza del presidente regionale del CONI e di tutti i nostri ragazzi, ci ha premiato consegnandoci il gonfalone con riprodotto il simbolo di Foligno. Hanno speso parole molto belle che ci hanno fatto enormemente piacere.

Sempre a proposito di visibilità, una mia curiosità. Perché la scelta di rinunciare a priori alla possibilità di creare qui a Foligno una squadra per disputare i campionati nazionali? Non sarebbe un traino prezioso per la vostra immagine?
L’obiettivo dichiarato, come ti dicevo, è quello di allenare perché noi siamo una scuola. La strada è quella dell’alleniamo ma non tesseriamo. Certamente una squadra che disputi la seria A, o la serie B, sarebbe per noi un plus di visibilità ma il mio pensiero a riguardo è che per un socio, un ragazzo che gioca qui da noi o un bambino che inizia un percorso, sia più formativo vedere un Luca Vanni, per esempio, che si alleni qui tutti i giorni. Ammirarne il comportamento, la serietà e la professionalità giorno dopo giorno piuttosto che vederlo scendere in campo sporadicamente giusto qualche week-end all’anno e solo in occasione dei campionati. Siamo come una struttura  matrioska: i ragazzi più grandi osservano e carpiscono i segreti dai professionisti e a loro volta sono presi ad esempio da i più piccoli che si affacciano al tennis. Così si forma un effetto traino benefico per la scuola.

Com’è il vostro rapporto con la Federazione?
Da tre anni siamo anche centro federale (precisamente un Centro Tecnico Permanente, ndr) perché la federazione per l’allenamento dei migliori Under 17, nell’ottica di decentrare l’attività di Tirrenia allargando la base del movimento, ha scelto quattro posti in Italia che sono Bari, Palazzolo sull’Oglio, Vicenza e, appunto, Foligno. Nel nostro caso lo ha fatto probabilmente per la centralità geografica e, soprattutto, perché alle spalle c’è un movimento consolidato di tecnici e giocatori, anche professionisti. Il nostro centro pertanto vive di continue sinergie con il nucleo della federazione. I rapporti sono quindi sempre ottimi intanto perché come ti dicevo poc’anzi ci hanno scelto come sede e di questo non possiamo che essere orgogliosi. Ti faccio un altro esempio. Alessio Torresi, un nostro socio fondatore, da quest’anno è stato assunto proprio dalla federazione e qui ha la sede del Centro Periferico di Allenamento che segue l’attività regionale dei ragazzi di età compresa tra 11 e 15 anni. Torresi, quindi, durante i week end organizza i raduni qui da noi per conto della federazione e così tiene sotto controllo la crescita una cerchia di ragazzini di massimo interesse.

Mi rendo conto sia difficile pensare a come migliorarsi quando si sono raggiunti i vostri livelli di eccellenza. Tuttavia se dovessi fissare un obiettivo per il 2017 cosa sceglieresti?
Il nostro obiettivo è intanto quello di mantenerci su questi livelli e poi di ampliare, in accordo con la proprietà, ulteriormente la struttura. C’è già un progetto in atto e che stiamo ultimando con un amico architetto che prevede la formazione di altri quattro campi in cemento e di creare una foresteria interna alla struttura. Ci auguriamo con ciò di far lavorare meglio sia i ragazzi che i maestri e, perché no, di dare qualche spazio in più ai nostri soci che attualmente non hanno a disposizione tantissime ore di gioco. Mi parli di sponsor? Quali sponsor? Anzi se ne hai ne tu qualcuno da suggerirmi lo annoto volentieri (ride). Sono periodi tutt’altro che floridi anche se limitatamente al tennis non è un brutto momento in quanto a popolarità. Rispetto alla mole di lavoro che svolgiamo abbiamo pochissimi aiuti, qualcosa solo grazie alla generosità di qualche amico. Come scuola abbiamo in atto piccole collaborazioni ma ci auguriamo che per il futuro qualche azienda possa farsi avanti.

Ho avuto il piacere di conoscerli di persona e di vederli allenare. Cosa mi dici dei tuoi professionisti, fiore all’occhiello della Tennis Training School?
Stupendi, con tutti. Nemmeno sembra che siano stati e siano giocatori tra i primi e più bravi al mondo. Sono persone squisite e di grande disponibilità con i ragazzi più giovani. Guarda, ho dietro di te che scorre in televisione l’immagine del calcio, penso che un giocatore di Serie B, tra virgolette, se la tiri molto di più di un tennista che può essere il numero cento al mondo (ride). Gli addetti ai lavori lo sanno bene ma forse il tifoso non conosce appieno la differenza tra i sacrifici che compie un tennista rispetto a quelli, per esempio, di un calciatore ed è forse questa fatica quotidiana che li rende così disponibili, così umili. Non vivo ogni giorno la realtà del calciatore ma mi è capitato in più circostanze di poterlo constatare di persona. Tornando alla scuola, la nostra è una grande famiglia della quale fanno parte dai figli maggiori – i nostri Pro – fino ad arrivare ai nipotini che si approcciano con il tennis. Sono tutti preziosi allo stesso modo e non bisogna mai trascurare nessuno. La storia di Luca (Vanni, ndr) lo dimostra, a 16 anni era solo un quarta categoria eppure col tempo ha ottenuto i risultati che sappiamo.

A proposito di ragazzini, quanto è difficile per le famiglie sostenere le spese connesse all’attività del figlio? E più in generale, c’è nel mondo del tennis un problema irrisolto legato a costi e ricavi?
Il tennis, non è una novità, è uno sport costoso. Non è solo l’allenamento a pesare sul bilancio, ci sono i tornei, le trasferte. Anche i più piccoli adesso sono in giro per l’Europa. L’attività è impegnativa, in base a quanto la famiglia può investire si può creare un percorso ad hoc per il ragazzo. Ultimamente c’è da dire  che la federazione – che non può ovviamente aiutare tutti – i ragazzini di un certo livello prova a supportarli nelle spese. Ma i costi sono alti. Più che a livello nazionale, a livello internazionale si dovrebbe anche trovare un sistema di premiare di più, e meglio, i giocatori che gravitano fuori dai primi 200-300 al mondo. E qui veniamo alla questione montepremi che lontano dai grandi palcoscenici andrebbe a mio parere risolta. Io sono per la meritocrazia, ci mancherebbe, ma sarebbe forse opportuno mettere un limite ai guadagni dei più forti, la questione morale è proprio questa. Uno guadagna uno, due, dieci milioni di euro e poi basta, dai, quanto vuoi guadagnare? Se si mettesse questo tetto, contemporaneamente si potrebbe destinare di più per la seconda fascia di tennisti. Non è possibile che un atleta che vinca un Challenger, che è comunque torneo di alto livello, si porti a casa seimila euro lordi. Non va bene. Secondo me questi giocatori che non sono tra i primissimi dovrebbero essere maggiormente incentivati a continuare nella loro attività e con ciò ne beneficerebbe tutto il movimento. Anche se non so se realmente ci sia questo interesse ad ampliare la base perché, come nel calcio gli ascolti li fa la Champions League e non la Lega Pro, l’interesse ruota tutto intorno alle principali competizioni.

Capitolo finale: ringraziamenti di rito. Carta bianca…
Per cominciare ringrazio tutti i maestri, a partire da Fabio (Gorietti, ndr) in giù. Il lavoro del maestro è prezioso, una passione senza la quale non potrebbe essere svolto 365 giorni all’anno, feste incluse come hai potuto constatare in questi giorni. Poi ringrazio i professionisti che danno l’esempio e che spiegano con i fatti cosa significhi essere un giocatore e, ovviamente, ringrazio la proprietà che ci supporta e ci ha promesso ulteriori aiuti. Ecco, mi viene in mente una cosa che non si fa quasi mai. Spesso non si ringraziano a sufficienza i genitori che sono fondamentali. Mi spiego. In uno sport individuale come il tennis se non ci fossero i genitori sarebbe dura perché, per esempio, ogni ragazzino gioca circa 60 partite l’anno e non sempre può essere seguito direttamente dai maestri e quindi subentrano mamma e papà. Un grazie sentito va dunque ai genitori, disposti a modificare il proprio stile di vita pur di assecondare la grande passione del figlio.

Dopo aver assistito alla sessione mattutina di allenamento, abbiamo più o meno casualmente intercettato – sempre a proposito di disponibilità – Thomas Fabbiano e Luca Vanni.

Thomas, ti rubo solo un minuto. Dimmi quel che ti va sulla Tennis Training School…
Sono arrivato qui ormai quattro anni fa e dal primo momento ho subito trovato l’ambiente giusto, il migliore d’Italia in questo momento, per potermi allenare. La parola più adatta per la nostra scuola è a mio avviso qualità. Il giusto numero di campi e di maestri, tutti preparati e che vanno nella stessa direzione. A Foligno si vive bene. Mi manca la Puglia soprattutto per il clima perché il freddo non è tra le cose che preferisco, ma qui posso sopperire alle mancanze che ci sono dalle mie parti. Il punto forte della nostra scuola è la capacità di migliorarsi di continuo grazie ai piccoli investimenti che ogni anno si fanno. Mi chiedi se chiudo qui la carriera? Può succedere (ride). Per ora ci sono le condizioni migliori per continuare a lavorare.

Chiudiamo con te, Lucone. Stessa cosa, una battuta sulla scuola la vuoi fare?
Non voglio dire la solita ovvietà preconfezionata ad uso giornalistico ma davvero la prima cosa che mi viene da dirti pensando alla nostra scuola e quel che rappresenta è il concetto di famiglia. Qui siamo tutti dei seri professionisti – penso (ride) – chi più bravo e chi meno bravo, ma quello che conta è che ci consideriamo e siamo considerati tutti allo stesso modo, dal primo all’ultimo. É la verità, la cosa che mi viene dal cuore se parlo della mia esperienza nella Training Tennis School è proprio questa.

Per finire, un doveroso ringraziamento va a Roberto Fabbiano che si è adoperato nell’organizzazione della giornata.

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Roland Garros: Miyu Kato, squalificata nel doppio femminile, gioca e vince nel misto. Ma piange in conferenza stampa. E Sorribes Tormo…

La giapponese abbandona in lacrime la conferenza stampa. Sorribes Tormo: “io e Bouzkova non abbiamo fatto nulla di male”

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Quanto occorso domenica 4 giugno alla coppia Kato-Sutjiadi, che è stata come è noto squalificata dal torneo di doppio femminile del Roland Garros a causa di una pallina che, colpita dalla giapponese, ha accidentalmente centrato una raccattapalle alla testa, tiene banco anche nelle ultime ore attraverso le dichiarazioni (o i silenzi) di alcune delle protagoniste.

Il caso è stato senza dubbio controverso soprattutto perché è parso subito chiaro che nell’atteggiamento dell’atleta asiatica non sussistessero violenza o nervosismo, né il punteggio ne suggeriva i presupposti. Si è trattato in sostanza di un momento sfortunato, così come a volte per fortuna da un gesto dettato da nervosismo non succede nulla di grave (ricordiamo anche la pallata di Tsitsipas, esasperato dai trick di Kyrgios durante lo scorso Wimbledon).

Accade così che alla mortificata Miyu Kato venga concesso lunedì di giocare nel doppio misto, torneo dove è in corsa in coppia con il tedesco Tim Puetz. I due, opposti nei quarti di finale al duo brasiliano Stefani-Matos, hanno per la cronaca guadagnato l’accesso alle semifinali con un successo in due set per 7-6 6-2.

 

Durante la conferenza stampa di prassi, mentre il tedesco stava parlando del match vinto, Kato, sicuramente non abituata a tante attenzioni e su un caso così negativo per lei, ha cominciato a piangere e ha abbandonato la sala senza profferire verbo.

Passando alla coppia femminile che ha beneficiato del default, Sara Sorribes Tormo è stata sollecitata sull’argomento dopo il suo match di singolare perso con Haddad Maia e ha risposto laconicamente: “è sicuramente stata una situazione spiacevole. Anche per me e per Marie Bouzkova e stata dura sentire tutto quello che è stato detto. L’unica cosa che noi abbiamo fatto è stato andare dal giudice arbitro e spiegargli cosa era successo.

Poi abbiamo detto che la ragazza stava piangendo e che noi eravamo spaventate. La ragazza non aveva visto la pallina arrivare. Per il resto ha deciso tutto il supervisor, noi non abbiamo fatto nulla di male, è l’unica cosa che posso dire su quanto accaduto”. Sorribes Tormo e Bouzkova avevano avuto l’atteggiamento di chi sollecitava arbitro e supervisor a prendere la decisione di assegnare loro il match a tavolino e questo ha fatto sì che sui social abbiano ricevuto offese e attacchi di ogni tipo.

In ogni caso, la presenza di Kato nel torneo di doppio misto ci fa pensare a una soluzione intermedia che riconosce delle attenuanti alla tennista giapponese e forse implicitamente individua qualche responsabilità in carico al giudice di sedia, che non si è accorto dell’accaduto e non si è sincerato delle condizioni del raccattapalle.

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Editoriali del Direttore

Roland Garros – Il dubbio è: Djokovic è sempre lui o no? Se lo è la probabile semifinale Djokovic-Alcaraz sembrerà una finale anticipata

Djokovic ha perso una sola volta con Khachanov, Alcaraz mai con Tsitsipas. Ancora rimpianti per la sconfitta di Sonego. E Rune si conferma un gran maleducato

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Un brutto e triste risveglio, come ho detto anche nel video, ritrovarsi al Roland Garros senza un tennista italiano da seguire nei tabelloni principali.

Ci siamo fermati agli ottavi, e a domenica, con i due Lorenzo, Musetti e Sonego. E i rimpianti soprattutto per la partita di Sonego ci sono e tanti. Poteva vincere sia secondo sia terzo set, con un pizzico di fortuna in più e oggi sarei qui a presentare il match Sonego-Djokovic invece che ad aspettare di constatare se Djokovic è ancora lui.

Se Nole fosse ancora il vero Nole probabilmente anche il miglioratissimo Khachanov, non avrebbe via di uscita. Il russo  è stato battuto dal serbo 8 volte su 9 è l’unica volta che vinse fu a Bercy, il torneo dove non sai mai se chi lo gioca va lì perché ci deve andare, ma se è ormai qualificato per le finali ATP che cominciano di lì a pochi giorni si impegna il giusto.

 

Se Nole non fosse il vero Nole beh, allora anche Sonego avrebbe potuto giocare le sue carte.

Ma dei se e dei ma sono piene le fosse e ci tocca soltanto sperare che le cose vadano meglio sull’erba di quanto sono andate sulla terra battuta, una volta nostro terreno di maggior raccolta.

Da qualche anno a questa parte però, Berrettini bi-campione al Queen’s e finalista a Wimbledon, Sinner nei quarti in Church Road, forse otteniamo migliori risultati oltre Manica.

Intanto contro lo scorrettissimo Rune Francisco Cerundolo ha dimostrato che Sinner non aveva perso a Roma da un pisquano qualsiasi.

Magra consolazione, direte, ma pur sempre consolazione. Mi è sembrato davvero poco competitivo, anche se è stato un break avanti nel secondo set, Grigor Dimitrov con Zverev. Il bulgaro che aveva lasciato soltanto 8 game a Altmaier, sarebbe stato più competitivo e determinato contro Sinner? Non lo sapremo mai.

Piuttosto quanti avevano dato per molto probabile l’approdo di Jannik ai quarti di finale, non avevano fatto i conti con il recupero di Sasha Zverev, il quale ora non giocherà più da n.3 del mondo, ma nemmeno da n.27 come è adesso.

Insomma questo Zverev sarebbe stato un osso duro anche per un buon Sinner. Era la zona ancora più bassa, quella dove si è infilato Etcheverry,quella che avrebbe potuto essere un buon terreno da conquistare, grazie anche al k.o. di primo turno di Daniil Medvedev.

Ma Sinner era piazzato più, fra Dimitrov e Zverev, quindi è inutile piangere sul latte versato altrove. L’argentino ha dominato Nishioka quindi non sarà un avversario comodissimo neppure per il risorto Zverev.

Ma non c’è dubbio che il quarto più interessante della metà bassa lo giocheranno nella giornata di mercoledì Ruud e Rune, con il danesino che vorrebbe ripetere il risultato della semifinale di Roma, dopo che dal norvegese aveva perso 4 volte su 4. Intanto non si è fatto né in qua né in là quando si è trattato di “rubare” un punto importante ai danni di Cerundolo. Aveva fatto rimbalzare la palla due volte e lo sapeva benissimo. Si è preso il punto con la complicità dell’arbitro dalla voce baritonale ma distratto.

Io penso però che il vincitore del torneo uscirà dalla metà alta del tabellone. Oggi si affrontano Djokovic e Khachanov e in serale Alcaraz e Tsitsipas, con i primi che hanno dominato i confronti diretti: 8-1 come già detto il serbo sul russo, 4-0 lo spagnolo sul greco,.

Se Djokovic batte Khachanov vuol dire che sta bene e che allora la probabile semifinale  Alcaraz-Djokovic potrebbe essere presentata con un po’ di spregiudicatezza come una finale anticipata. A Roma Djokovic perse da Rune, ma non era il vero Djokovic.

Per quanto riguarda il torneo femminile dall’alto in basso abbiamo questi accoppiamenti nei quarti: Swiatek-Gauff (che fu la finale lo scorso anno), Haddad Maia-Jabeur – e qui c’è almeno un po’ di fantasia geopolitica, una polacca contro un’americana, una brasiliana contro una tunisina –mentre nella metà bassa e in campo oggi ci sono tutte tenniste dell’Europa dell’Est, Muchova e Pavlyuchenkova – con la prima che ha fatto stragi di azzurre (Trevisan e Giorgi) e la seconda che 2 anni fa fece finale qua ma oggi è n.333 WTA perché è stata a lungo infortunata – Svitolina e Sabalenka per un altro duello che si concluderà senza una stretta di mano.

La Svitolina, un po’ perché sposata con Gael Monfils e mamma di un erede nato ad ottobre, un po’ perché ucraina, è stata adottata dal pubblico francese come se fosse nata e cresciuta sugli Champs Elysées. Se dovesse vincere la porterebbero sotto l’Arco di Trionfo. Intanto ieri ha riservato alla Kasatkina lo stesso trattamento rivolto alla Blinkova. Nessuna stretta di mano. La Kasatkina non si faceva illusioni ma c’è rimasta male, sia per il comportamento orribile del pubblico francese, sia per il mancato gesto della Svitolina perché lei in fondo è stata una delle poche russe che ha provato a esporsi un po’. Cosa che non ha fatto, ad esempio, la bielorussa Aryna Sabalenka che anzi –sulla scia di Naomi Osaka – è riuscita convincere i deboli organizzatori a riunire un gruppo qualificato di giornalisti scelti dalla stessa organizzazione. Non avrebbe dovuto essere tollerato. Ma i giornalisti oramai sono tutti talmente appiattiti che nessuno osa più opporsi a niente. Del resto basta leggere le domande le trascrizioni delle domande fatte ai tennisti per rendersi conto di quanto l’autonomia, la indipendenza dei giornalisti, la loro personalità sia scaduta.

E’ responsabilità dei vari organismi che gestiscono il tennis questa assenza di un minimo di verve nelle conferenze stampa. I giocatori vengono istruiti per non dire nulla di interessante e ci riescono benissimo. Negli altri sport non è così. Poi ci si lamenta se nel tennis, in parallelo con il progressivo e inevitabile prepensionamento dei FabFour,  mancano le personalità. Quelle che ci sarebbero vengono soffocate. E va a finire che le sole interviste che vengono lette ovunque sono quelle “inarrestabili” di Kyrgios che gioca pochi mesi l’anno, cioè quando gli va.. 

E’ un errore, anche culturale, di chi si occupa della comunicazione del nostro amato sport. Si sentono dire solo le cose più scontate, ammantate di dichiarazioni politically correct. Sandra Mondaini, pace all’anima sua, direbbe al suo Raimondo Vianello: “Che noia che barba, uffa che noia che barba!”.

Vabbè, oggi ero di cattivo umore e vi ho spiegato perché. Agli azzurri impegnati nelle fasi finali dei grandi tornei, ormai mi ci ero abituato. Non vorrei tornare a …digiunare come mi è toccato fare per 40 anni. 

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Roland Garros, Coco Gauff ai quarti con grande personalità

Si interrompe il percorso di Schmiedlova. Avanza Gauff ma le si prospetta un quarto di finale da brivido con Iga Swiatek

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Cori Gauff - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
Cori Gauff - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Il percorso di Coco Gauff verso l’obiettivo della seconda finale consecutiva al Roland Garros continua. La giovane americana vince l’ottavo di finale con la ritrovata Anna Karolina Schmiedlova con il punteggio di 7-5, 6-2 in un’ora e 31′. Americana che spreca tanto nel primo set: sale 5-2 e arriva al set point sul suo servizio prima di un incredibile parziale di 10-3 che rimette tutto in discussione sul 5-5. La slovacca è imprecisa nel game che avrebbe potuto garantirle il tiebreak e quando Cori va per la terza volta a servire per il set lascia a “0” l’avversaria e chiude il parziale. Nel secondo ha vita facile grazie all’abitudine a giocare determinate gare e a una brillantezza atletica differente. Compito più agevole nel secondo set: dopo un break e un controbreak, l’americana infila una striscia vincente di cinque giochi a zero che spiazza la slovacca. Incidono i 14 errori di Schmiedlova, più del doppio di quelli commessi nel primo set. Gauff chiude con 22 vincenti e 22 errori non forzati, mentre Anna paga dazio con i 26 gratuiti a fronte di 17 vincenti. Gauff più aggressiva in risposta con la quale ha cambiato l’inerzia del match, ma deve interrogarsi su un black out che poteva costarle caro. Adesso per lei la sfida con la vincente tra Swiatek e Tsurenko per quel che potrebbe essere un revival della finale dello scorso anno contro Iga.

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