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Si ritira (di nuovo) Magdalena Rybarikova, l’unica capace di giocare con un muro alle spalle
Sperava di chiudere con la maglia della Slovacchia, ma la cancellazione della Fed Cup ha chiuso definitivamente la sua carriera. Lascia con 4 titoli e la semifinale di Wimbledon del 2017

Magdalena Rybarikova ha (definitivamente) appeso la racchetta la chiodo. La tennista slovacca, che questo mese ha compiuto 32 anni, non giocava un match ufficiale da più di un anno – il primo turno delle quali dello US Open 2019, perso contro la coreana Na Lae Han – e aveva sostanzialmente già annunciato il ritiro otto mesi fa. Nei suoi piani c’era una chiusura della carriera con i colori della Slovacchia, alle finali di Fed Cup che si sarebbero dovute disputare questo aprile a Budapest, ma la pandemia ha rinviato tutto al 2021 e Magda ha deciso di ritirarsi senza passerella finale.
“Dopo aver valuto ogni scenario, ho deciso di mettere fine alla mia carriera. Sono grata per tutto quello che il tennis mi ha dato, dopo 15 anni di alti e bassi; oltre ad aver incontrato molte persone interessanti in tutto il mondo, ho potuto provare grandi emozioni – a partire dal primo torneo vinto da ragazzina fino alla semifinale di Wimbledon del 2017“, ha scritto Rybarikova in un post di congedo su Instagram. Per curiosa coincidenza, il suo ritiro arriva appena otto giorni dopo il medesimo annuncio fatto da Julia Goerges, sua coetanea, che ha raggiunto la semifinale a Wimbledon un anno dopo di lei (nel 2018).
“Voglio ringraziare la mia famiglia per il supporto, tutti i miei allenatori che hanno provato a tirare fuori il meglio da me sul campo e Kristian Cupak, che si è assicurato che fossi abbastanza in forma per farcela ed è stato nel mio team per tutta la carriera” prosegue Rybarikova. “Voglio ringraziare tutti i tifosi per essermi stati accanto nei momenti buoni e meno buoni, per avermi incoraggiato durante i match e sui social; mi hanno aiutato a fare quel passo in più quando pensavo di non farcela. Lascio con un grande sorriso e non vedo l’ora di vedere cosa mi riserverà il prossimo capitolo della mia vita“.
Il capitolo che si è appena concluso l’ha vista salire fino alla 17° posizione del ranking WTA a inizio 2018, nel mezzo del biennio in cui Magdalena Rybarikova ha espresso il suo tennis migliore raggiungendo anche i migliori risultati a livello Slam (oltre alla semi di Wimbledon, gli ottavi all’Australian Open 2018). Ha vinto i suoi quattro titoli tutti nella prima parte di carriera, tra 2009 e 2013, ma non è mai riuscita a dare continuità al suo tennis fatto di anticipi e movimenti leggeri cui abbinava un gioco di volo talvolta eccezionale. Dopo l’infortunio patito nella seconda metà del 2016 e le operazioni a polso e ginocchio, un tentativo di risolvere acciacchi con cui ha dovuto convivere per tutta la carriera, Rybarikova ha vissuto un secondo periodo d’oro culminato nella cavalcata sui prati di Church Road del 2017 – dove si è inchinata solo al cospetto dell’irresistibile Muguruza di quell’estate – e nell’ingresso in top 20, dopo il quale si è avviato un lento declino che ha condotto al ritiro.
Di Rybarikova mancherà soprattutto una qualità, probabilmente unica nel panorama tennistico mondiale. I suoi swing di dritto e rovescio, più simili a rapidi schiaffetti che a veri ceffoni a mano aperta con la racchetta, le avrebbero consentito di giocare a tennis anche con un muro alle spalle. Bye bye (di nuovo), Magda.
ATP
ATP Houston, il tabellone: Tiafoe e Paul guidano il monopolio americano
Sei teste di serie su otto sono per giocatori di casa, ma attenzione ai sudamericani Etcheverry e Garin, campione nel 2019

Dopo la parentesi sudamericana di febbraio, la terra è pronta a tornare la protagonista del circuito. Da lunedì e fino alla fine del Roland Garros, e quindi per più di due mesi, si giocherà solo sul rosso. In campo maschile si partirà con tre tornei 250 in tre continenti diversi: Estoril, Marrakech e Houston. Quest’ultimo sarà, come spesso capita, la casa dei giocatori americani, storicamente non troppo amanti della terra europea. Tre delle ultime quattro edizioni sono state vinte da rappresentanti del team USA e ci sono tutti i presupposti perché le tradizioni vengano rispettate anche quest’anno: al via ci saranno infatti almeno dieci giocatori di casa e sei di questi avranno lo status di testa di serie, lasciandone soltanto due alle altre nazioni. I favoriti per arrivare in finale sono Frances Tiafoe e Tommy Paul, ma entrambi non conservano ricordi particolarmente positivi delle loro esperienze a Houston.
In tre apparizioni Tommy ha vinto solo due partite e non è mai andato oltre gli ottavi, mentre Frances ha come miglior risultato i quarti della scorsa edizione quando si fermò al cospetto di Isner. Proprio Big John, che ha disputato tre finali in questo torneo vincendo quella del 2013, è uno degli altri due americani, insieme a Tiafoe e Paul, che approfitterà di un bye al primo turno. Il quarto e ultimo è Brandon Nakashima che, dopo il trionfo alle Next Gen di Milano, sta faticando a trovare continuità di risultati in questo avvio di stagione.
La seconda linea statunitense è poi composta da JJ Wolf, numero 5 del seeding e chiamato a un primo turno complicato contro Jordan Thompson, e da Marcos Giron (settima testa di serie). Nelle retrovie ci sono invece, oltre a Kudla e Kovacevic, le wild card Steve Johnson (vincitore qui nel 2017 e nel 2018) e Jack Sock (anche lui campione del torneo nel 2015). Un altro past champion che ha ricevuto un invito per il tabellone principale è Fernando Verdasco che contro l’australiano Kubler (testa di serie n. 8) andrà a caccia di una vittoria ATP che gli manca dallo scorso settembre.
Tra chi punta a spezzare il monopolio a stelle e strisce, però, ci sono soprattutto due sudamericani: il primo è Etcheverry, finalista a Santiago a febbraio, che al primo turno affronterà Juan Manuel Cerundolo (fratello di Francisco); il secondo è Garin, già capace di trionfare sulla terra di Houston nel 2019. Il cileno sfiderà all’esordio Dellien con vista su un possibile secondo turno con Nakashima.
Questo il tabellone completo del Fayez Sarofim & Co. U.S. Men’s Clay Court Championship 2023:

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Sinner-Alcaraz sul 4-2 del primo set, 25 prodezze, lo scambio più bello dell’anno [VIDEO]
Il punto del match, si prenota già ora come il punto del 2023. Sinner chiude il passante di rovescio dopo mille capovolgimenti

Nel video del direttore Scanagatta lanciato a caldo pochi minuti dopo la conclusione del fantastico duello vinto da Jannik Sinner sul n1del mondo Carlos Alcaraz si invitavano i lettori di Ubitennis a guardare lo scambio più bello, più impressionante del match giocato a Miami. È stato così spettacolare da poter suscitare la ammirazione sconfinata se non la gelosia di Federer, Djokovic, Nadal, e Murray per un’intensità e una velocità di palleggi perfino superiore a quella dei loro tempi. Questi tirano più forte!
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Quando un italiano vince sul numero 1: Sinner che batte Alcaraz vale il Panatta che battè Connors? [VIDEO]
Il direttore Scanagatta, a seguito della vittoria di Sonego su Djokovic, ripercorse tutti i 7 exploit italiani contro i n.1 del mondo. Da Barazzutti a Sonego, passando per Volandri e Fognini

Con la vittoria su Carlos Alcaraz, Jannik Sinner non ha solamente raggiunto la seconda finale in un Masters 1000 della carriera ma ha anche battuto il numero 1 del mondo per la prima volta (risultato che tra l’altro costa allo spagnolo la prima posizione del ranking a partire dalla prossima settimana a favore di Djokovic). Battere il primo del ranking ATP ha sempre un sapore più speciale e nella storia del tennis italiano solamente altri sei giocatori sono riusciti nell’impresa in Era Open, in ordine cronologico: Barazzutti, Panatta, Pozzi, Volandri, Fognini e Sonego, a cui si aggiunge ora anche Sinner
Tornando indietro agli anni ’60, va segnalato che Nicola Pietrangeli battè Rod Laver nella finale degli Internazionali d’Italia a Roma nel 1961 (non c’è ufficialità sulla classifica di quel periodo, anche se Laver l’anno dopo compì il Grande Slam), e sempre in quegli anni Giuseppe Merlo battè sei giocatori campioni Slam.
Il primo a farcela nell’Era Open (cioé dal 1972 in poi) è stato Corrado Barazzutti, nel 1974, ai quarti di Monaco di Baviera sulla terra rossa battendo il romeno Ilie Nastase, sconfitto 3-6 7-6 6-1 dal tennista di Udine. Successivamente fu Adriano Panatta addirittura due volte vincitore sul numero 1 del mondo. Prima nella finale di Stoccolma 1975, sul cemento con l’americano Jimmy Connors che soccombe 6-4 6-3, poi il bis del romano un paio d’anni più tardi, ancora contro Connors, battuto 6-1 7-5 al secondo turno del torneo di Houston (cemento) nel 1977.
Si cambia millennio per arrivare al 15 giugno del 2000, durante il terzo turno del Queen’s su erba, quando il barese Gianluca Pozzi ha sfruttato al massimo le condizioni fisiche non perfette dello statunitense Andre Agassi, il quale perso il primo set 6-4 si ritira sul vantaggio di 3-2 nel secondo set. Sette anni dopo tocca a Filippo Volandri, al terzo turno degli Internazionali di Roma: il 10 maggio del 2007 il livornese supera 6-2 6-4 Roger Federer con una partita a dir poco memorabile per la storia recente del tennis italiano.
Roma palcoscenico di un altra vittoria azzurra sul numero 1 mondiale, il 16 maggio del 2017, impresa messa a segno da Fabio Fognini che ha sconfitto al 2° turno per 6-2 6-4 lo scozzese Andy Murray. Infine torniamo alla storia recente: 30 ottobre 2020, ATP 500 di Vienna, semifinale. Un Lorenzo Sonego strepitoso batte il numero 1 del mondo Novak Djokovic lasciandogli appena tre giochi e infliggendogli la peggior sconfitta in carriera nei match giocati al meglio dei tre set a livello ATP. Un 6-2 6-1 incassato dal serbo dopo aver acquisito matematicamente la posizione in cima al ranking anche al termine di quella stagione.