ATP/WTA Madrid: (s)punti tecnici, finali

(S)punti Tecnici

ATP/WTA Madrid: (s)punti tecnici, finali

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TENNIS-Puntata dedicata ai successi di Nadal e Sharapova al torneo di Madrid. Due vittorie diverse che però dimostrano la delicatezza dei meccanismi di entrambi

La delicatezza dei meccanismi di Maria e Rafael

In modi e per motivi molto diversi, entrambi i vincitori delle gare di singolare maschile e femminile del masters 1000 di Madrid hanno davvero rischiato (più Nadal che Sharapova, in effetti) di essere sconfitti pur essendo nettamente favoriti dai pronostici della vigilia.

Per quanto riguarda la partita giocata da Maria Sharapova, opposta a Simona Halep, l’aspetto tecnico-tattico che è emerso con grande evidenza è una caratteristica peculiare della siberiana che è difficile inquadrare con certezza: a seconda dei punti di vista, e delle situazioni in campo, può essere un difetto così come una qualità.

Sto parlando di quella che potrebbe essere definita la “testardaggine vincente” (vincente perchè ieri sera le è andata bene) con cui Masha imposta e gioca il suo tennis, sempre e comunque, indifferente all’avversaria e perfino al punteggio. Il piano tattico della Sharapova è semplicissimo: tirare più forte che può, con la prima e la seconda di servizio, così come con il dritto e il rovescio. Spinta costante, al limite, cercando regolarmente gli ultimi centimetri di campo, sia con gli angoli diagonali sia con la profondità dei lungolinea.

Va da sé che un tennis tanto estremo richiede una precisione assoluta, e se dall’altra parte c’è una tipetta come Simona, capace di ribattere colpo su colpo, basta pochissimo perchè le percentuali scendano anche drammaticamente. Lo svolgimento del match è stato tatticamente di una linearità disarmante: Masha ha tirato tutto dall’inizio alla fine, nel primo set parecchie palle le sono uscite di millimetri, anche per merito della Halep che è riuscita a pressare a sufficienza per impedirle di spingere da comoda e in stabilità con i piedi, la rumena ha poi fatto il suo chiudendo quando doveva, e il 6-1 è servito.

Nel secondo (e poi nel terzo) set Sharapova non ha modificato il suo piano di gioco di una virgola, a parte il cominciare a stuzzicare qualche volta in contropiede la rapidissima avversaria: quello che ha fatto la differenza è stato che stavolta la maggior parte delle pallate al limite che ha tirato sulle righe le sono state dentro, Simona ha progressivamente perso campo, e in un attimo la partita è andata. 6-2, 6-3 per Masha nei successivi parziali, e titolo meritatamente conquistato dalla siberiana.

Veramente un tennis al limite, privo di margine, quasi monocorde nel suo essere comunque spettacolare per potenza, e giocato costantemente a tutto braccio, quello prodotto da Masha: brava, indiscutibilmente brava. Se solo avesse non dico un piano alternativo, ma almeno una minima propensione a variare qualcosa quando la “sparatoria” per qualsiasi motivo non va, a mio avviso sarebbe ancora più forte. Perchè se la Halep avesse tenuto duro qualche game in più, e se giusto qualche bordata della Sharapova non avesse pizzicato le righe anche all’inizio del secondo set, non so come sarebbe potuta finire.

Ottime entrambe.

La finale del singolare maschile vinta da Rafael Nadal su Kei Nishikori, per circostanze assai diverse, ha rischiato anch’essa di avere un vincitore inaspettato. E ha evidenziato come anche il tennis del maiorchino, pur apparentemente votato alla solidità, e alla spinta prodotta mantenendo una grande attenzione alle percentuali e alla consistenza, sia tanto estremo da potersi inceppare all’improvviso, senza ragioni tecniche particolarmente evidenti.

Fin dall’inizio, il giapponese ha fatto capire che sarebbe stata una serata difficile per il fuoriclasse spagnolo: un ottimo esempio è il punto giocato nel terzo game del primo set, 1-1, 30-40 servizio Nadal. Per tre volte nello stesso scambio, Kei ha dato spettacolo sfruttando una delle sue caratteristiche tecniche più notevoli, che avevamo già analizzato ieri, ovvero la sensibilità e la capacità di richiamo del polso sinistro nell’esecuzione del rovescio bimane.

Botta carica di Rafa nel suo angolo sinistro, Nishikori in allungo estremo aggancia miracolosamente, e riesce a contrastare il top-spin portando la testa della racchetta verticale in recupero, e difendendo lungolinea. Ripreso il centro del campo, e passato in fase offensiva, Kei, su una palla cortissima e bassa di Nadal, scende sempre con il rovescio, e con un “gancetto” bimane assurdo, tirato esterno da rasoterra, mette l’approccio lungolinea. Rafa alza, e il giapponese chiude ancora con il rovescio, stavolta alto e al volo, in “semi-veronica a due mani” diagonale, arrivando a flettere i polsi di 90°. Tecnicamente tre “numeri” pazzeschi, giocati da un destro bimane esattamente come fosse stato un mancino.

Nel frattempo, a partire dallo stesso terzo game, il miglior colpo di Nadal, cioè il suo proverbiale toppone di dritto, smette all’improvviso di funzionare. Ma può succedere, e ultimamente allo spagnolo è capitato diverse volte: si tende spesso a dimenticare che giocare un top-spin con il “reverse forehand” estremo di Rafa, a oltre 4000 r.p.m., è altrettanto complesso e richiede lo stesso perfetto timing, lo stesso perfetto ritmo di ingresso dell’anca, la stessa sensibilità di mano, lo stesso controllo dell’equilibrio, della spinta delle gambe, e della rotazione busto-spalle, di un anticipo semi-piatto tirato a chiudere lungolinea.

E come tutte le esecuzioni complesse, difficili e tecnicamente al limite (in una parola, colpi di classe, perchè gusti estetici personali a parte di classe Nadal ne ha da vendere), basta pochissimo (un minimo di ritardo con i piedi, magari per merito di un’avversario come Nishikori che anticipa anche i raccattapalle togliendoti il ritmo, oppure un leggerissimo irrigidimento della spalla, o una rotazione dell’avambraccio appena meno fluida) perchè un dritto del genere smetta di essere la solita bordata quasi indifendibile e diventi una palla corta e poco incisiva, quando non addirittura un errore diretto o una steccata.

Grande, grandissimo Kei, e Rafa di colpo sempre più incerto fino ad apparire impotente: dall’1-0 nel primo set, un clamoroso parziale di 9 game a 2, arrivando così al 6-2, 3-1 per il giapponese. In quel momento Nishikori ha iniziato ad accusare un forte riacutizzarsi del fastidio alla schiena che lo ha tormentato per l’intero torneo, unito probabilmente a un accenno di crampi, e si è bloccato quasi del tutto. Arrivati al 4-2, il match è finito: 6-4, e poi 3-0 Nadal nel terzo, quando un affranto Kei ha dovuto ritirarsi.

Chi vince ha sempre ragione, quindi bravo Rafa in ogni caso. Ma se uno come Nishikori riuscirà a trovare una accettabile continuità fisica, per me è uno da Slam, e anche presto. Sembra il miglior Murray, forse addirittura più rapido e preciso come footwork, però con il dritto decisamente più incisivo e soprattutto una posizione in campo più avanzata di metri. Non so chi sarà il prossimo coach di Andy, ma dovrebbe mostrare allo scozzese qualche partita di Kei, e dirgli: “ecco, se vuoi portarti a casa altri Slam devi fare così”.

Fenomeno, ed è un peccato enorme non poterlo vedere a Roma.

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