Federer e Tilden: così lontani, così vicini (Scanzi)

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Federer e Tilden: così lontani, così vicini (Scanzi)

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Federer e Tilden: così lontani, così vicini

Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano del 3.3.2014

Ora che la longevità di Roger Federer è nuovamente dimostrata, giunge – quasi a contrappunto del suo ennesimo titolo, stavolta a Dubai, due set a zero contro Djokovic – un libro che non parla di lui. Eppure parla anche di lui. Si intitola il codice del tennis (Guerini Next, pp. 238, euro 20, prefazione di Gianni Clerici) ed è la storia, a troppi sconosciuta, dell’americano William Tatem Tilden. Per tutti Bill Tilden, meglio ancora “Big Bill”. Uno dei tennisti più grandi di tutti i tempi. Gli autori, Luca Bottazzi e Carlo Rossi, ne raccontano storia e filosofia. (…) Sin dalla copertina, che riproduce il dritto (simile) di Tilden e Federer, si gioca con il parallelismo tra i due. Il paragone regge per l’eleganza in campo, per la pulizia di gesti e movimenti. Prodigioso anche il palmares di entrambi: quello dello svizzero è noto, quello di Tilden no. Dominatore in Davis, quando la Davis aveva ben altro peso, ha vinto 10 titoli Slam: tre Wimbledon e 7 Us Open. C’è invece una differenza profonda per ciò che attiene carisma ed eccentricità. Non tanto in campo, per entrambi luogo sacro, quanto fuori. Se l’uomo Federer è impalpabile e dunque prossimo alla definizione che Michele Serra coniò per Michael Schumacher (“un impiegato di talento”), Tilden ha saputo essere interamente personaggio. Forse anche troppo. Viveur, attratto dal lusso, omosessuale dichiarato e per questo osteggiato. La sua decisione, nel 1937, di allenare la squadra tedesca – in pieno nazismo – contro gli Stati Uniti, in finale di Davis, non ne agevolò poi i consensi. (…) Fu arrestato più volte, per esempio nel ’46, quando fu sorpreso a “mettere le mani nei pantaloni di un adolescente”. E poi tre anni dopo, per avance a un autostoppista sedicenne.
Sbruffone come pochi, ai processi neanche si difendeva, reputandosi troppo famoso per dover rispettare la legge. Morì in povertà a 60 anni. Un infarto, figlio forse anche di una condotta di vita disinvolta: fumava come un dannato e mangiava tre volte al giorno, quasi sempre bistecca e patatine fritte. Anche qui c’è un’evidente lontananza con il precisino, e talora algido, Federer. Il libro di Rossi e Bottazzi, che in Rete hanno anche lanciato una sacrosanta petizione per dedicare un campo degli US Open a Tilden, convince tanto nella esposizione dei fatti biografici quanto nel suo voler insistere sulla “filosofia” di Tilden. Vengono presi, e tradotti, tre testi di Tilden: The Art Of Lawn Tennis, Match Spin And The Play Of The Ball, How To Play Better Tennis. Gli appassionati di tennis conoscono Bottazzi per le sue telecronache talora vagamente lisergiche e iper-scientifiche. Per Bottazzi l’accoppiata genio-sregolatezza è il male assoluto. Come pure la “bracciologia”, ovvero il colpo fine a se stesso. Sono battaglie lungi dall’essere condivise: se tutti i tennisti fossero come Ferrer e non come Fognini (che Bottazzi non stima, ed è un eufemismo), l’appassionato si addormenterebbe dopo cinque minuti. Questo bel libro, intriso di metodo e rigore, è una sorta di Elogio del Minimalismo Tennistico, che all’atletismo e alla spettacolarizzazione antepone una classicità rigorosa e quasi monacale: quella di Tilden, quella di Federer.

 

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