Tornei scomparsi: Bruxelles, molto più di una racchetta

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Tornei scomparsi: Bruxelles, molto più di una racchetta

La fine del torneo di Bruxelles è nota. Ripercorriamo l’inizio e i fasti di un torneo che ha visto sui suoi campi e vanta nel suo albo d’oro alcuni dei migliori tennisti della storia

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La fine è nota, come suggerisce l’insolito thriller del misterioso Geoffrey Holiday Hall. Ma, giocando con le parole, si potrebbe anche dire che la fine è la nota sublime di un concerto lungo oltre un decennio e che ha offerto sprazzi di grande tennis.

La fine la conoscono bene i tifosi di Boris Becker e, forse ancor di più, quelli di Jim Courier. Sì perché, quel 16 febbraio del 1992, il tedesco e l’americano furono i protagonisti dell’atto conclusivo più lungo (in termini di giochi) nella storia del circuito ATP da quando è stato introdotto il tie-break per tutti i set. Una finale memorabile, che lo statunitense affrontò da numero 1 del mondo, posizione appena conquistata a spese di Edberg e grazie alla vittoria agli Australian Open e alla finale persa a San Francisco contro il connazionale Chang.

Red Jim era dunque il nuovo padrone delle ferriere, colui che aveva avvicinato il tennis al baseball con quella Wilson mulinata nel rovescio bimane come un battitore con la mazza. Boris Becker invece stava rifiatando, dopo aver chiuso il ’91 al terzo posto. Si era fatto sorprendere, il ragazzone di Leimen, al terzo turno di Melbourne dal redivivo John McEnroe, al penultimo acuto di una carriera maestosa. L’ultimo sarebbe arrivato di lì a qualche mese, inevitabilmente sui prati di Wimbledon. Poi Boris aveva provato ad aiutare la causa tedesca nell’insidiosa trasferta brasiliana di Davis ed era venuto a capo di Luiz Mattar solo al quinto set, prima che i padroni di casa si prendessero i tre match successivi e con quelli pure il passaggio del turno. Insomma, non proprio un momento straordinario per l’ex Wunderkind.

Ma si sa, a Becker non è mai venuto meno lo spirito guerriero e quando, sempre quel famoso 16 febbraio, si trovò sotto di due set e per tre volte fronteggiò una palla che avrebbe consegnato il trofeo nelle mani di Courier, il coraggio di osare e andarsi a prendere il punto gli fu di nuovo amico fedele e da lì iniziò la laboriosa risalita verso la vittoria. Il tie-break del terzo set finì dodici a dieci per Boris, in quello seguente Becker partì con l’handicap (0-3) ma non esitò a tuffarsi per cogliere il punto forse più delicato dell’intera giornata, quello che lo condusse per mano sul 6-5 e tolse all’americano l’opportunità del quarto match-point. Così, dopo quattro ore di delizioso sfinimento, i due si giocarono tutto al quinto set e il copione non cambiò: Courier avanti, Becker a inseguire. Sotto 4-2, Becker infilò tre giochi consecutivi e nel decimo ebbe due opportunità per chiudere ma niente, stavolta fu Jim a salvare e posticipare la resa. Che arrivò qualche minuto dopo, con un doppio fallo. Il doppio fallo che scrisse la parola fine alla vicenda dell’Indoor Tennis Championships di Bruxelles.

Dunque, la fine è questa. Ma, l’inizio?

Per quello bisogna mettere le lancette indietro di ben undici anni.

Quasi un anno prima, in quello stesso posto, Jimmy Page aveva stentato a trovare nella sua Gibson a doppio manico le prime note di Stairway to Heaven, come se l’atmosfera del Forest National lo mettesse a disagio. Ma era stato solo un attimo, poi lo strumento aveva iniziato a lacrimare e sopra di lui la voce straziante di Robert Plant. Era giugno e il dirigibile dei Led Zeppelin aveva fatto tappa nei pressi dell’Atomium, scaldando i cuori del pubblico di Bruxelles. Il 9 marzo 1981, invece, nell’impianto polifunzionale costruito nel comune di Forest, il suono è quello delle palline da tennis.

Negli anni Ottanta, in Belgio, dici tennis ma intendi Donnay.

La fabbrica di racchette che fa base a Couvin, in Vallonia, sta vivendo il suo momento di maggior fulgore e non può certo prevedere la tempesta che sta montando dietro i boschi. Quei boschi di frassino, il cui legno così prezioso indusse un’associazione di arcieri di Pâturages a rivolgersi a Emile Donnay per la creazione dei loro strumenti. Siamo nel 1933, Emile ha 48 anni e sta ancora elaborando il lutto per la prematura scomparsa della sorella Germaine, con cui condivideva la gestione della fabbrica, quando decide di ampliare la gamma di prodotti in legno all’interno delle Officine di Lienaux. Nasce così il reparto articoli sportivi. Archi, inizialmente, poi racchette. Il primo testimonial di rilievo è Yvon Petra, nell’immediato dopoguerra; poi arriveranno Margaret Court, Rod Laver e altri. Nomi importanti, certo, ma niente a che vedere, in termini di esposizione mediatica, con il vero colpo grosso della casa di Couvain: Bjorn Borg.

Per convincere lo svedese, che fa impazzire le ragazzine a Wimbledon, ad abbandonare la Slazenger, Donnay punta sulla Diamant ma sarà Francois Garet a cambiare il destino disegnando per Borg la Allwood. Un mito. È quella racchetta nera e arancione dall’impugnatura infinita che Bjorn lascerà cadere dalle mani per inginocchiarsi sull’erba dell’All England Lawn Tennis Club e nel marzo del 1981, quando appunto al Forest va in scena il primo Donnay Indoor Tennis Championships, lo scandinavo è l’indiscusso numero 1 della classifica mondiale.

Il campione di ghiaccio non mette i piedi in un campo per disputare un match ufficiale da quasi due mesi ma in gennaio ha rivinto il Masters a New York e lo sponsor conta su di lui per questa edizione inaugurale del torneo. In alternativa c’è Jimmy Connors, che non ha ancora trent’anni ma sembra già appartenere al passato. Il mancino dell’Illinois è stato spinto fuori dalla cabina di comando proprio da Borg, dal quale ha perso le ultime otto sfide, e Bruxelles vive nell’attesa della finale tra i due colossi. Invece Bjorn è il lontano parente di se stesso e al tedesco Rolf Gehring, da Dusseldorf, che giusto un mese prima ha raggiunto il suo best ranking al n°37, non par vero di trovare lo scandinavo così vulnerabile e di poterlo battere al secondo turno per 7-6 7-5. Gli organizzatori si consolano, per modo di dire, con Jimbo; l’americano ha qualche dubbio con Dupre ma per il resto fa piazza pulita e in finale infligge a Brian Gottfried la tredicesima sconfitta in quindici sfide ufficiali.

Un anno dopo il mondo è cambiato. O sta per cambiare. Borg ha deciso di prendersi una pausa e Bruxelles lo rimpiazza con colui che lo ha sostituito al vertice, ovvero John McEnroe, oltre al campione in carica Connors. Si sa, la fortuna dei tornei la fanno i grandi nomi ma ci sono occasioni in cui un luogo diventa fonte battesimale per un campione del futuro. Ecco allora che il Forest National immerge nella sua acqua benedetta un ragazzetto di nemmeno diciotto anni, svedese pure lui: Mats Wilander da Vaxjo. Nella strada verso la prima finale della sua carriera, Wilander deve affrontare tre teste di serie (Manson, Teacher e l’israeliano Glickstein, che ha beneficiato del ritiro di McEnroe) e non concede loro nemmeno un set. Lì trova un americano che, dopo aver celebrato se stesso con la famosa uscita “nessuno batte Gerulaitis sedici volte di fila” al Masters di New York, ci ha preso gusto e ha portato a quattro le sue vittorie consecutive nei confronti di Connors. I passanti di Wilander hanno la meglio sulle volee dell’avversario fino al 6-4 4-2, poi Gerulaitis aumenta il numero degli ace, domina il tie-break del secondo set e nel terzo passeggia. Tre mesi più tardi, a Parigi, Mats diventerà il più giovane vincitore di una prova dello slam.

I finalisti dell’anno precedente vengono battuti in semifinale nel 1983. Gerulaitis si fa sorprendere da Peter McNamara, a cui nemmeno una scarpa rotta impedisce di portare a termine un match tutto improntato sulla ricerca della rete. L’australiano prova a rimediare calzando le scarpe di un raccattapalle ma non sono il suo numero; per fortuna nei dintorni del Forest National c’è un negozio di tennis e dopo qualche minuto Peter può completare l’opera contro un Gerulaitis che recupera da 3-5 nel secondo set ma si arrende al tie-break. Nell’altro match Ivan Lendl insegue Wilander in entrambi i parziali ma nei giochi decisivi è più concreto e prevale 7-6 7-6. Il cecoslovacco è favorito per il titolo ma in carriera ha già perso tre volte contro McNamara. Ivan serve per il match sul 5-4 del terzo set, arriva a due punti dalla vittoria ma subisce la rimonta del canguro che si aggiudica il tie-break decisivo. Qualche giorno dopo, Peter chiuderà di fatto la sua carriera a Rotterdam rompendosi i legamenti del ginocchio nel match di primo turno contro un altro cecoslovacco, Jiri Granat.

Lendl ci riprova dodici mesi dopo. Il 9 gennaio, Ivan è ridiventato n°1 del mondo per la terza volta ma McEnroe lo incalza da vicino e a Bruxelles potrebbe esserci il controsorpasso. Siamo nell’anno di grazia (per McEnroe) 1984 e i duellanti si proiettano in finale con numeri paurosi: 0 set persi per entrambi, 17 giochi persi da Lendl, 13 da John. Lecito attendersi equilibrio, invece l’americano rasenta la perfezione e per Ivan è un’altra delusione. Si rifarà con gli interessi a Parigi, in giugno.

Siamo agli sgoccioli dell’età del legno e la Donnay, poco intenzionata a convertirsi alla graphite, accusa il colpo. Come se non bastasse, Borg ha annunciato da tempo il suo ritiro e sembra voler fare sul serio. Il torneo però resiste ed è comunque la Svezia a monopolizzarne il triennio successivo. Nel 1985 mancano i primi tre del mondo e il quarto, Wilander, perde in finale dal connazionale Jarryd. L’anno dopo Mats è di nuovo il favorito ma la stella inattesa di Bruxelles è l’australiano Broderick Dyke, che entra in tabellone da n°109 e ne esce da n°35 dopo aver travolto al primo turno un incredulo Becker. “Ho giocato malissimo e non so cosa sia successo, oggi. Non sono mai riuscito a cambiare marcia” afferma il campione in carica di Wimbledon e testa di serie n°2 del torneo. “Sono sorpreso nel vedere quanti errori un giocatore come Becker è riuscito a fare” chiosa Dyke, che però mostra di meritare attenzione battendo anche Forget e Mecir prima di rassegnarsi contro Mats.

Intenzionato a cancellare l’onta, Becker torna nel 1987 da primo favorito ma nei quarti è il solito guastafeste Jarryd a fermarlo. Il suo posto viene preso da John McEnroe e i 5000 del Forest National possono finalmente ammirare i numeri dell’americano, dopo la fugace apparizione di qualche anno prima. In finale però il campione in carica Wilander non fa sconti e conserva il trofeo. “Il suo gioco mi rende impaziente” sostiene John, che pure ha avuto la sua occasione nel secondo set. Ma il break viene subito recuperato da Wilander, che non ha dubbi: “Se non fossi riuscito a strappargli subito il servizio, sarebbe stata dura per me”.

Mai dura come per gli organizzatori che, con la crisi in cui è piombata la Donnay, stentano a trovare alternative in fatto di sostegno economico. Così, nel 1988, cala una prima volta il sipario sul torneo. Alla ricerca disperata di un rilancio, Bruxelles cambia data e si colloca a ridosso del Masters, in novembre. Dei primi dieci del mondo c’è solo lo svizzero Jakob Hlasek ma vince Henri Leconte. La finale è sulla lunga distanza e dominata dai servizi. L’unico break lo ottiene il francese con tre splendidi passanti nel nono gioco del terzo set, dopo aver vinto i primi due al tie-break. “Oggi ho giocato a sprazzi il mio miglior tennis” dice Leconte, visibilmente soddisfatto. Ma la sua felicità è la tristezza del pubblico belga, che saluta mestamente il grande tennis. L’11 agosto dello stesso anno, con 35 milioni di dollari di debiti, la Donnay era stata costretta a dichiarare bancarotta ma nemmeno un mese dopo Bernard Tapie ne aveva rilevato una quota e aveva annunciato di voler mettere sotto contratto un ragazzo di Las Vegas piuttosto interessante.

Con la rinascita della Donnay, che ha abbandonato al suo destino la fabbrica di Couvain e si è messa al passo coi tempi producendo telai in fibra, c’è ossigeno nuovo anche per l’Indoor di Bruxelles. Dopo un solo anno di stop, a febbraio del 1990 va in scena la nona edizione e Boris Becker stavolta non fallisce battendo in finale il connazionale Carl-Uwe Steeb. Il tedesco non può difendere al meglio il titolo e lo stiramento rimediato nella semifinale con il sovietico Cherkasov lo costringe al ritiro e gli costa il primato in classifica, conquistato da Edberg nonostante la sconfitta patita per mano di Forget. Il francese emula Leconte e alza il penultimo trofeo nella storia del torneo.

Il colpo di coda della Donnay termina con il passaggio di Agassi alla Head. Tapie vende la sua quota al governo della Vallonia e nel 1996, con la produzione decentrata in Portogallo, il marchio viene acquisito dalla Sports Direct. Oggi, sulle rive dell’Eau Noire, dove c’era la fabbrica, c’è un supermercato. I tempi cambiano e la fine è nota. Adesso è noto anche l’inizio.

ALBO D’ORO

1981 Jimmy Connors b. Brian Gottfried 6-2 6-4 6-3
1982 Vitas Gerulaitis b. Mats Wilander 4-6 7-6 6-2
1983 Peter McNamara b. Ivan Lendl 6-4 4-6 7-6
1984 John McEnroe b. Ivan Lendl 6-1 6-3
1985 Anders Jarryd b. Mats Wilander 6-4 3-6 7-5
1986 Mats Wilander b. Broderick Dyke 6-2 6-3
1987 Mats Wilander b. John McEnroe 6-3 6-4
1988 Henri Leconte b. Jakob Hlasek 7-6 7-6 6-4
1990 Boris Becker b. Carl-Uwe Steeb 7-5 6-2 6-2
1991 Guy Forget b. Andrei Cherkasov 6-3 7-5 3-6 7-6
1992 Boris Becker b. Jim Courier 6-7 2-6 7-6 7-6 7-5

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