Un inno al lavoro. Lorenzi n. 1 di una piccola Italia (Crivelli). “Non conto i miei anni. Rio? Pronto al decollo” (Bertellino). Lorenzi, un esempio per i giovani (Bertolucci)

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Un inno al lavoro. Lorenzi n. 1 di una piccola Italia (Crivelli). “Non conto i miei anni. Rio? Pronto al decollo” (Bertellino). Lorenzi, un esempio per i giovani (Bertolucci)

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Un inno al lavoro. Lorenzi n. 1 di una piccola Italia (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Se ci è riuscito lui, possono riuscirci tutti. Ma di fronte alla ferrea volontà di Paolo Lorenzi, una delle più semplici regole di vita va spogliata di ogni accezione negativa. Anzi: la notizia che il senese di Roma da lunedì sarà il primo giocatore italiano in classifica va interpretata come un inno alla determinazione, all’applicazione, alla costante ricerca di miglioramento. Solo applausi, insomma. Paolino, cappellino da baseball perennemente portato all’indietro e un amore smodato per la Fiorentina, arriverà dunque ai Giochi di Rio come miglior tennista tricolore. La sconfitta di Fognini a Toronto, coincidente con la perdita dei punti 2015 di Amburgo dove fece la finale, lunedì spingerà Fabio otto posizioni più in giù rispetto alla 33^ che occupava questa settimana, appena una posizione dietro Lorenzi, eliminato ieri al 2 turno del Challenger di Biella, in cui non aveva punti da difendere, battuto in due set (6-4 7-5) dal brasiliano Souza. Dopo essere diventato il più vecchio di sempre a conquistare il primo torneo Atp in carriera (34 anni e 7 mesi, la settimana scorsa a Kitzbuehel), Lorenzi non potrà tuttavia fregiarsi del primato di più vecchio a raggiungere il vertice della classifica italiana, visto che Pozzi ci riuscì nel maggio del 2000 quando aveva 34 anni e 11 mesi. Destini paralleli: anche per il pugliese la parte migliore della carriera arrivò ben oltre i trent’anni, grazie alla determinazione che lo portava a superare l’ostacolo di un fisico e di un tennis davvero leggerini. Certo, l’altra faccia della luna è quella di un movimento che allo stato attuale ha solo tre giocatori tra i primi 100 e il migliore del ranking veleggia verso i 35 anni, il più talentuoso (Fognini) ha superato i 29 e il più solido e costante (Seppi) i 32, mentre per trovare il primo under 20 in classifica, quando gli altri paesi già sognano con Zverev, Fritz e Shapovalov, bisogna scendere al 359 di Bahamonde. Ovviamente, non se ne può fare una colpa a Paolino, che è approdato alla fase più brillante della sua vicenda agonistica masticando per anni il pane duro di una vita da nomade, di viaggi eterni e pochi soldi, con il solito allenatore di sempre (Claudio Galoppini) e la certezza che solo con il lavoro e la fatica si può arrivare in alto. Nato a Roma ma presto trasferitosi a Siena, dove è ancora iscritto a Medicina, fino al 2002 Paolo gioca in pratica solo i Futures e fino a 28 non mette il naso nell’Atp, preferendo costruirsi la classifica girando davvero il mondo dei Challenger, dalla Bolivia alla Slovenia. Rischiava di passare alla storia per la palla break non sfruttata a Roma nel 2011 contro Nadal che l’avrebbe portato 7-6 4-1 al primo turno, o per le 13 eliminazioni al primo turno di uno Slam prima dell’urrah liberatorio del 2014 agli Us Open contro Nishioka. E invece ha migliorato il servizio e sta imparando a giocare con i piedi dentro il campo per non sfiancarsi in eterni recuperi. Un esempio per i più giovani. E per lui, avido lettore di Stephen King, gli incubi sono diventati sogni.

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“Non conto i miei anni. Rio? Pronto al decollo” (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Paolo Lorenzi sta vivendo la sua settimana speciale da numero n.41 Atp (best ranking), conseguenza del primo titolo in carriera vinto nel circuito maggiore, a Kitzbuhel. Da lunedì prossimo sarà il nuovo numero 1 d’Italia, per la prima volta e a 34 anni e 7 mesi, età nella quale molti suoi colleghi hanno già appeso la racchetta al chiodo.

Cosa significa?

Fa piacere ma non mi darà maggior pressione. Non era un obiettivo d’inizio anno, come invece la posizione nella classifica mondiale. Preferisco continuare a pensare in questa chiave. Se poi qualcuno mi supererà su scala nazionale, meglio per lui

Primo titolo Atp. Dopo tanti anni di circuito si provano ancora emozioni?

Tante e grandissime. Avevo disputato solo un’altra finale Atp in carriera, persa contro Delbonis, e vincere un torneo Atp era uno degli obiettivi che mi ero prefissato.

Che emozioni si provano in Coppa Davis?

Giocare per la maglia azzurra ha sempre un significato particolare. Si moltiplicano le forze e si compete anche per gli altri. Tutto ciò ingigantisce i valori, quindi il piacere della vittoria e l’amarezza perla sconfitta.

Un anno speciale: ad agosto sarà impegnato a Rio 2016 nella sua prima Olimpiade. Altra grande emozione?

Era una delle mie aspirazioni stagionali. Quattro anni fa ero rimasto fuori per poco da Londra. Qui cambia la superficie, ora vengo dalla terra battuta; di solito riesco abbastanza agevolmente ad adattarmi. In più partiremo già lunedì prossimo e avrò qualche giorno in più per preparare al meglio il cemento.

E’ diventato il tennista più anziano a conquistare per la prima volta un torneo del circuito maggiore. Felice o sarebbe potuto arrivare prima?

Non ci penso. Ciò che conta è aver vinto un torneo e migliorato il ranking. La cosa importante è arrivarci, non tanto quando. Continuo a lavorare in quantità e qualità, badando ai dettagli e questa è la ricompensa.

Quali sono ora i suoi obiettivi?

Per fortuna sono ancora tanti. Innanzitutto posso migliorare ogni giorno per salire in classifica. Non penso all’età: continuo a divertirmi in campo, non mi costa viaggiare. Ho la fortuna che la mia passione è il mio lavoro. Lo considero un privilegio e ne vado fiero.

Un domani si vede come coach?

Ogni tanto do qualche consiglio ai più giovani: non sono preoccupato del futuro, ma ora penso a giocare.

In tema di giovani facciamo due nomi, Napolitano e Donati. Come vede il loro futuro?

Con Napolitano mi alleno spesso. Quest’anno è molto migliorato e lo vedo in costante crescita. Contro Donati ho giocato e vinto una difficilissima finale a Caltanissetta, dopo aver annullato 6 match point. Bisogna avere un po’ di pazienza ma credo siano due giocatori sui quali puntare.

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Lorenzi, un esempio per i giovani (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

All’inizio degli anni Novanta, nelle vesti di responsabile del settore giovanile della Federazione italiana tennis, fui invitato dal maestro Bartoli a osservare un suo giovane allievo che, dicevano, prometteva molto bene. Fu così che vidi all’opera per la prima volta Paolo Lorenzi. Non era molto alto e non mi colpì con effetti speciali o con gesti eleganti. Ma catturò la mia attenzione per come metteva in pratica i consigli appena ricevuti dal suo allenatore e per la caparbietà che dimostrava in ogni piccolo dettaglio. Nel corso degli anni ha poi proseguito la sua lenta ma costante ascesa fino a raggiungere, meritatamente, sulla soglia delle trentacinque primavere, la prima posizione del ranking italiano. Paolo ha sempre giocato lontano dalla riga di fondo proponendo traiettorie alte e una palla con poco peso per portare la partita sulla corsa e sulla resistenza fisica e mentale. Con il rovescio bimane non ama rischiare più di tanto mentre con il dritto trova con facilità i cambi di ritmo e gli affondi. La palla non raggiunge velocità proibitive ma Lorenzi possiede la pazienza e la forza d’animo per abbattere le resistenze degli avversari. Grazie alle lunghe sedute di allenamento ha incrementato la gamma di soluzioni del sevizio rendendolo preciso e vario e sotto la preziosa guida di Galoppini ha aggiunto diverse modifiche al suo gioco. Ha ampliato il ventaglio delle soluzioni tattiche e, da difensore puro, ha cambiato pelle e adesso è in grado di ribaltare l’azione e di spingersi in avanti. Lorenzi è certamente un fine tattico e spesso porta a casa gli scambi più complessi. Se volessimo accostarlo a qualcuno nella storia del tennis italiano dovrei fare il nome di Renzo Furlan. Certo, il tennista veneto raggiunse risultati migliori. Addirittura nel 1996 entrò tra i primi venti tennisti del mondo raggiungendo il numero 19 del ranking mondiale. Ma le analogie tra i due ci sono tutte e vanno ricercate in quella capacità che anche Furlan ha avuto di migliorarsi costantemente nonostante non avesse un braccio da fuoriclasse. Tornando a Lorenzi, la faccia pulita e il sorriso accattivante gli permettono di consegnare ai giovani che troppo spesso tendono, senza motivo, a montarsi la testa un semplice messaggio fatto di intelligenza, di passione, di serietà e di enorme disponibilità al lavoro.

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