Fognini, che lotta con Nadal: cede dopo quasi tre ore (Crivelli). Con Rafa è la terra più bella che c'è (Azzolini)

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Fognini, che lotta con Nadal: cede dopo quasi tre ore (Crivelli). Con Rafa è la terra più bella che c’è (Azzolini)

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Fognini, che lotta con Nadal: cede dopo quasi tre ore (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

La paura fa gli ottavi. L’otite, i tanti dubbi purtroppo consolidati, avversari di talento o terraioli d’antico pelo: Nadal e Djokovic approdano al terzo turno dentro le confortanti pareti della Caja Magica, ma con più di un’ombra che si allunga sui prossimi incroci di lame contro Kyrgios e «Deliciano» Lopez. Rafa, a dire il vero, aveva chiesto un giorno di riposo in più agli organizzatori (quattro successi nel torneo hanno giustamente il loro peso) perché dall’inizio della settimana soffre di una fastidiosa otite: «E’ scomoda, mi provoca nausea e anche mal di testa». Sul campo, però, in quasi tre ore (2h57′) di battaglia intensa, i capogiri gli vengono spesso per inseguire il ritmo, le accelerazioni e gli improvvisi arabeschi di un eccellente Fognini, sempre in attesa della lieta novella della paternità ma intanto ancora una volta completamente attrezzato per dar fastidio, eccome, al re di 14 Slam e dieci volte vincitore di Montecarlo e Barcellona, campagne appena concluse con nuovi leggendari trionfi. Prima del pomeriggio madrileno, Fabio aveva perso otto volte contro il satanasso mancino, e vinto tre, ma sulla terra il bilancio era 3-2 e in ogni caso, dal 2015 ad oggi, non sono mai state sfide banali per il signore indiscusso della terra.

Nadal, lo si vede, non è il solito leone del rosso ammirato da aprile fin qui, forse debilitato dagli antibiotici che gli azzoppano il dritto e soprattutto il servizio, ma i colpi di Fogna viaggiano a velocità siderale e il rovescio bimane incrociato è spesso una sentenza. Il fenomeno un po’ sotto standard, l’underdog al meglio delle sue comunque notevoli possibilità: ci dovrebbe scappare un primo set per lo sfavorito, e invece il miglior giocatore italiano in classifica (numero 29) non sfrutta un rosario di opportunità, dalle 12 palle break di cui solo 2 sfruttate alla possibilità del 4-1 pesante, al set point sul 5 a 3 (ma gran servizio di Rafa) fino al game del 5-4 e battuta che dovrebbe consacrarne la prima fuga in avanti e invece si trasforma in un incubo (subito 0-40). Annullato a sua volta un set point nel 12 gioco, Fabio avrebbe la possibilità di salire 3-0 nel tie break, ma spreca larga una voleé semplice di dritto e da lì becca un parziale di sei punti a uno, con tre racchette di fila buttate a terra.

Ma le buone sensazioni che accompagnano l’ultimo Fognini, da Miami a oggi, trovano conforto nella perentoria reazione e nella qualità del secondo set e nella volontà di non arrendersi nel terzo da 5-2 sotto, con la palla del 5-5 buttata al vento prima di arrendersi al secondo match point. Nadal, all’U successo di fila sulla terra, al 30 in stagione (il migliore del circuito) e con 22 set su 24 vinti dentro questa striscia, alla fine la porta a casa di nervi, d’orgoglio e d’esperienza: «Non ho giocato male: ho giocato molto male. Ma anche se il mio livello non è stato sufficientemente alto, la mia attitudine è stata positiva, ho avuto voglia di vincere e grazie a queste doti sono riuscito ad andare oltre le difficoltà».

L’impresa riesce anche a Djokovic, per la prima volta in campo dopo il clamoroso divorzio dallo storico coach Vajda, eppure la sua prestazione è un altro concentrato di perplessità mentali e altalene tecniche. Primo set inesistente, tanta è la superiorità di Nole, ma come da consuetudine degli ultimi dieci mesi improvvisamente la luce serba si spegne e fioccano errori incomprensibili per misura e lucidità, fino al 3-0 per il murciano nel terzo set.

Almagro è un vecchio marpione del rosso, su cui ha vinto tutti i 13 tornei di un’ottima carriera, e anche se è in decisa fase calante (numero 76 Atp e invitato solo con una wild card) ha conosciuto la top ten (nel 2011) e possiede un rovescio a una mano da antologia. Però sente la pressione una volta che Novak lo ha rimontato, cedendo il servizio decisivo. Alla fine, le parole di Djokovic riecheggiano il mantra degli ultimi 11 mesi: «Quando non vinci troppe partite, devi ricostruire il tuo livello di fiducia, perciò riuscire a venire a capo di un match del genere aiuta la mia autostima. Sto ancora cercando la via verso la consistenza e la qualità di tennis che mi aspetto dal mio lavoro, ma continuo a credere in me stesso (…)

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Con Rafa è la terra più bella che c’è (Daniele Azzolini, Tuttosport)

La palla che Fognini ha depositato poco oltre la rete, aggraziata come una foglia staccatasi da un ramo, sul primo quindici del game decisivo nel secondo set, ha convinto anche il poco generoso pubblico di Madrid a tributare un applauso al nostro, nel quale si condensavano le scuse per i fischi sin lì recapitati e tutto il rispetto per chi sa giocare – meglio di tanti altri – allo sport inventato dal diavolo. Nadal poco prima si era esibito in un’altra smorzata, di quelle che tornano indietro, quasi avvertissero forte il richiamo del loro ideatore. Fabio aveva costruito di più, molto con il dritto, prendendo campo a ogni occasione e muovendo da trenta centimetri buoni dentro le righe di fondo, come fanno tutti coloro che nel tennis vogliono proporre, o magari, semplicemente, non sanno aspettare. Ma Rafa aveva trovato angoli in grado di squinternare persino il vento che s’infila nella Caja Magica come il libeccio sulle spiagge del nostro Tirreno.

Strana costruzione sportiva, quella di Madrid. Avveniristica come poche, ma nessuno che abbia pensato a difenderla da eventi naturali nient’affatto misteriosi, come il sole, che taglia il campo in due, preciso sulle righe, e come il vento, che trova corsie per sprintare rabbioso fino sul Centrale. Non è in dubbio chi vinca, non ancora. Il conto, al momento è di 9 a 3 per Rafa, e sono due le sconfitte rimediate da Fognini quest’anno, la prima nella semifinale di Miami. Ma Fabio ci prova, sempre, e mai come ieri ha avuto le opportunità per tenere a bada lo spagnolo. Avanti il primo set, quasi da subito, poi ripreso (3-3), poi di nuovo avanti fino al primo set point. E sempre qualche granulo di polvere a inceppare il meccanismo. Vuoi un nastro, vuoi un recupero prodigioso di Rafa, vuoi una scelta troppo avventata, senza la quale pero il Fogna non sarebbe se stesso. Poi il secondo set, condotto in porto. E il terzo quasi riagganciato dal 5-2 per Nadal, salvo smarrire di nuovo il servizio del 5 pari e consegnare a Rafa un match giocato decisamente meglio dal nostro. Eppure, nell’ammirare quell’ambaradan di soluzioni geniali, miste a colpi che è meglio praticare solo se te li senti dentro, ché potrebbero nuocere persino al fisico, come certi schiocchi di polso che non si capisce come facciano a sostenere, in tutto questo dicevamo, appariva chiaro come non vi sia niente di meglio oggi, sulla terra rossa, di una sfida fra questi due, che molto si rispettano, ma forse proprio amici non sono.

Una sfida che vale il prezzo del biglietto, ovunque la si disponga, a Roma, come a Madrid o a Parigi. Sempre tesa, mai troppo logica, spesso risolta su una manciata di punti, ovviamente intrisa di umori umanissimi, che vengono dall’estremo orgoglio che i due pongono sul campo. Una sfida vera. Si sa, il tennis da terra rossa ha le sue regole, e offre una panoramica diversa da quella di altre superfici. Qui, i famosi incroci che accendono la miccia del bel tennis, non corrispondono ai dettami della classifica. Fatta salva la sfida fra Nadal e Federer, che per cinque volte è stata la finale del Roland Garros, e s’impone ormai come un classico, un film già visto ma cheti conquista implacabile a ogni replica televisiva, s’è visto come altri intrecci garantiti dal podio tennistico abbiano sortito appena degli ibridi di basso conio. Nadal e Djokovic facevano a sportellate, come vedere Ibrahimovic e Glik correre per due ore dietro a un pallone sgomitando di santa ragione (…)

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