I cento giorni della Next Gen

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I cento giorni della Next Gen

Tre mesi e poco più alle “baby Finals”, i ragazzetti ATP si sono ormai confrontati con ogni superficie. Chi è in testa? Quali sono i volti nuovi?

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Cento giorni, poco meno, alle Next Gen ATP Finals. Il tam-tam pubblicitario è entrato nel vivo, con buona pace dello scetticismo di tanti per quello che non sarà propriamente un torneo, quanto piuttosto un’esibizione modellata su alcuni esperimenti di dubbio gusto che qualcuno ai piani alti dell’ATP avrebbe in mente di estendere al circuito in un futuro prossimo.

Nel frattempo la stagione sull’erba, contro ogni pronostico, ha sovvertito le gerarchie, ci ha consegnato un quadro rinnovato. In estrema sintesi il blocco russo si è sostituito a quello statunitense, blindandosi nelle prime cinque posizioni della Race to Milan: Khachanov (2), Rublev (3), Medvedev (5). La loro posizione appare piuttosto salda anche se in questa fase dell’anno la Next Gen statunitense avrebbe le sue carte da giocare. Sul cemento, in terra nordamericana, dove l’attitudine dei talenti a stelle e strisce è più spiccata. Oltre a Zverev, sono in corsa agli ottavi dell’ATP 500 di Washington anche Donaldson e Paul – il talento classe ’97 del New Jersey che ha rapidamente scalato la Race grazie a una semifinale challenger e ai quarti di finale raggiunti ad Atlanta. Occhi puntati nelle prossime settimane sui due Master 1000 di Montreal – dove c’è grande curiosità per la Next Gen canadese – e Cincinnati, così come sull’ATP 250 di Winston-Salem.

Il mese di agosto è un crocevia fondamentale seppure non ancora dirimente per le sorti dei contendenti alle finali di Milano. Il calendario di settembre e di ottobre, com’è noto, è infatti denso di tornei minori sulle superfici dure, prima outdoor poi indoor, quelle predilette dalla Next Gen. Di conseguenza, colpi di coda di chi si trova più ai margini della Race non sono da escludere.

Attualmente la sesta posizione è occupata da Hyeon Chung. Il sudcoreano, malgrado le splendide prestazioni primaverili sulla terra rossa, deve ora guardarsi le spalle da concorrenti a pochi punti da lui. La stagione estiva non è nata sotto i migliori auspici. Nessuna partecipazione ai tornei sull’erba, causa infortunio alla caviglia, e falsa partenza sul cemento americano: due eliminazioni al primo turno, Atlanta e a Washington, per mano di Paul ed Edmund. Dopo di lui, fra la settima e la nona posizione, è posizionato il tridente statunitense, quello spodestato dai russi, composto da Donaldson, Tiafoe ed Escobedo. Al momento solo il primo dei tre parteciperebbe alle Finals, considerato che l’ottava casella sarà occupata da un giovane italiano: attenzione, non da quello meglio posizionato nella Race (che ad oggi sarebbe Matteo Berrettini, n. 17) ma da colui che si aggiudicherà il torneo di qualificazione tra gli otto under 21 con la migliore classifica ATP. Il “modello pre-qualificazioni” è una vera e propria passione nostrana: servirà di certo come operazione di marketing, ma tende a svilire il lavoro che un tennista ha svolto nel corso dell’anno.

Sempre per quanto riguarda i giovani statunitensi, sembra aver arrancato Fritz, non a caso sbalzato dalla top 100. Ora però è ai QF del 250 di Los Cabos: uno fra lui e il ritrovato Kokkinakis approderà in semifinale. Ondivaghe le prestazioni di Kozlov, negative quelle di Opelka. Di quest’ultimo può aver sorpreso la fragilità mentale mostrata nel match di primo turno con Jaziri ad Atlanta. Assicuratosi con personalità il primo set, Opelka ha perso il secondo al tie-break dopo aver sciupato addirittura otto  match point. Nel terzo set un evidente crollo nervoso: 6-1 Jaziri. Sono ben 31, infine, le posizioni conquistate nella Race dal ventunenne Cristopher Eubanks (ora n. 50) grazie ai quarti di finale raggiunti ad Atlanta.

In un riepilogo delle recenti prestazioni della Next Gen non possono essere taciuti i progressi compiuti da altri giovani talenti, a seconda dei casi sulla cresta dell’onda ma che fino a oggi non erano visibili dalla zona calda della Race to Milan. Di Denis Shapovalov è stato giustamente sottolineato il modo di stare in campo su una superficie come l’erba, un aspetto che lo qualifica e lo differenzia dai suoi giovani colleghi. Non a caso è sull’erba, ancora una volta, che il talento canadese ha messo in evidenza tutta la qualità del proprio gioco. Con la fine della stagione erbivora, nessun rilassamento: il diciottenne canadese ha messo subito in bacheca il suo secondo titolo Challenger (sul cemento di Gatineau), e la settimana successiva ha tentato il bis a Granby, dove però è stato fermato in semifinale dallo stesso a cui aveva sottratto il titolo la settimana precedente, Peter Polansky. Il talento dal rovescio monomano è oggi 134 del ranking e si trova in decima posizione nella Race, a soli 96 punti dalla settima posizione occupata da Donaldson. L’opportunità offertagli dagli organizzatori dell’Open del Canada non poteva inserirsi in un momento migliore.

È arrivato il primo meritato titolo Challenger per Akira Santillan, il talento australiano, per un paio d’anni divenuto giapponese e di recente di nuovo Aussie. Naturalmente entrambi i Paesi fanno parte della storia personale del ragazzo, che ha vissuto in Giappone fino all’età di sette anni prima che la famiglia decidesse di stabilirsi a Gold Coast, nel Queensland. Semifinalista agli Australian Open juniores nel 2015, Santillan è considerato insieme a De Minaur fra i talenti più promettenti della truppa dei giovanissimi australiani. I due sono accomunati da una predisposizione alle superfici veloci, ma diversi sul piano del gioco. Decisamente meno presente finora nel circuito maggiore, Santillan risponde di più al tradizionale formato serve & forehand, fatto di potenza e velocità di esecuzione. In passato sette titoli Futures, nel 2017 due finali Challenger, la prima vittoria nel circuito maggiore sull’erba di Newport, quindi finalmente il primo titolo Challenger qualche settimana fa a Winnetka. Un percorso calmo, lineare, la politica dei piccoli passi che secondo l’opinione di tanti condurrà Santillan dritto nella top 100.

L’attesa per un exploit dei fratelli Ymer non muore mai. Nelle scorse settimane, fra i due, si è messo maggiormente in evidenza il diciottenne Mikael, quello forse più talentuoso e intemperante. Semifinale al Challenger di Bastad, quarti a Biella: i colpi, la loro esecuzione, a tratti sono splendidi, ma l’acuto tarda ad arrivare.

Infine, in questa stagione tennisticamente ibrida che è l’estate, nella quale i tennisti si dividono, coerentemente con le proprie attitudini, fra il cemento e una terra rossa sempre più arida, altri due giovani si sono messi in luce. Il primo è Sebastian Ofner, autentica sorpresa nel panorama Next Gen a Wimbledon, soprattutto considerata la sua totale inesperienza sulla superficie. Infatti, come nella migliore tradizione austriaca, il ragazzo si trova più a suo agio sulla terra battuta. Dove, dopo l’iniezione di fiducia londinese, ha raggiunto i quarti di finale al Challenger di Tampere e ora, lui che per tutto il 2016 si è fatto le ossa quasi solo a livello Futures, è arrivato a giocarsi un posto per una finale in un 250, quello di Kitzbühel, lasciando sulla sua scia lo scalpo di un Cuevas. Da ultimo, guardando ai principali “scatti in avanti” nella classifica dedicata alla Next Gen, merita un cenno Juan Pablo Ficovich, vincitore nel maggio scorso del Futures di Napoli (la Vomero Cup). Il ventenne argentino, dal gioco aggressivo ma autentico animale da terra battuta, è ancora totalmente immerso nel mondo Futures, e quindi considerato “in ritardo” rispetto ai suoi coetanei. Il ragazzo però è in crescita, lo dimostrano i risultati, e merita di essere tenuto in considerazione.

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