TENNIS – A tu per tu con il direttore del Master 1000 di Bercy Guy Forget. “La superficie è la stessa della O2 Arena” ha spiegato. “Prima spostiamo il torneo, meglio è”. Da Parigi, Laura Guidobaldi
Sorridente, disponibile, di una cordialità squisita (e non è per essere troppo gentili che lo scriviamo), elegante in giacca e cravatta. Così si è presentato al nostro incontro per l’intervista in sala stampa il direttore del BNP Paribas Masters di Bercy Guy Forget. Alla fine, dopo essersi assicurato che per me andasse bene, ci siamo accomodati nel “Bar de la Presse” poiché, in effetti, nella sala dei giornalisti c’era parecchia confusione. Mi chiede gentilmente se desidero qualcosa da bere, io declino, lui, invece, ordina un succo di frutta, ci sediamo e…c’est parti !
Una piacevolissima chiacchierata all’insegna della passione per il tennis, di Bercy, della Coppa Davis e dell’Italia. Chapeau e merci Monsieur Forget.
D. Quali sono, signor Forget, le innovazioni recate al torneo? È stato suo desiderio attribuirgli un segno distintivo ? E quali sono, invece, gli elementi rimasti immutati?
R. Innazitutto, quello che vorrei dire è che non ho voluto cambiare grandi cose. Infatti il torneo funziona estremamente bene e, in generale, non è necessario fare cambiamenti quando una cosa va così bene. In un primo tempo, abbiamo cercato di mantenere lo stesso livello d’eccellenza; per quanto mi riguarda, avendo un passato da giocatore, ritengo che ci fossero alcune cose che andavano migliorate, appunto per i giocatori. Penso in particolar modo ai campi. Con l’imminenza del Masters di Londra, è importante poter fornire loro esattamente la stessa superficie; abbiamo infatti applicato una base in legno che è diversa, più spessa rispetto agli anni passati, e abbiamo applicato esattamente la stessa resina affinché la velocità e il rimbalzo della palla fossero identici; abbiamo aggiunto un campo in più per gli allenamenti per far sì che i giocatori si possano preparare meglio prima dei match. Questo riguarda ovviamente la parte tecnica. Poi stiamo lavorando con l’Atp per rivedere il calendario del torneo, questione che lei certamente conosce. Infatti, vorremmo fare in modo che tutti i giocatori, non solo arrivassero preparati e riposati a Bercy, ma anche che non dovessero ipotecare le loro chance per il Masters. Il fatto che il Masters si svolga immediatamente dopo Bercy è per noi una questione davvero delicata e ci sto appunto lavorando. Infine con l’equipe organizzativa del torneo, abbiamo cercato di creare uno show un po’ diverso quest’anno come, per esempio, nella presentazione dei giocatori; inoltre, abbiamo applicato un microfonino sugli arbitri per poter sentire il “testa o croce” durante il sorteggio. Credo che il tennis sia uno spettacolo ed è importante per questo offrire al pubblico aspetti nuovi. Si tratta di piccole cose ma la base resta la stessa, tentando ovviamente di mantenere l’eccellenza del livello.
D.E infatti in questo momento c’è un gran discutere sul problema legato al calendario dei tornei e, in particolare, sulla collocazione del torneo di Bercy. L’opzione di programmarlo nel mese di febbraio è soltanto una voce che circola o lei pensa che possa essere davvero presa in considerazione?
R. No, no, penso che la soluzione sia assolutamente da considerare. È un progetto, non so se verrà realizzato, io spero di sì, il prima possibile sarà meglio per noi. E credo anche che oggi l’Atp debba riflettere sulle sue priorità, su quali siano i tornei che intende preservare e fare, quindi, un programma coerente per i giocatori. Ci sono tornei più grandi di altri ; il Masters di Londra funziona benissimo perché Londra è una grande capitale e una grande città, con molta animazione; Parigi può fare altrettanto bene, lo dimostra di nuovo quest’anno con il numero maggiore di biglietti in vendita rispetto all’anno scorso e che, nonostante la crisi, in Francia c’è un’ “infatuazione” per il tennis, a parte il Roland Garros che, come Wimbledon a Londra, è il torneo più importante.
D.A proposito, è deluso del forfait di Federer oppure forse un po’ se lo aspettava?
Quando si è il direttore di un torneo, la peggior cosa che ci possa capitare è il forfait dei giocatori. Per forza. Tuttavia, l’avevo detto all’Atp, a causa della prossimità del torneo di Londra, alla fine dell’anno quando i giocatori sono alquanto stanchi, c’è sempre il rischio che ce ne siano alcuni che danno forfait ed è quello che è successo con Roger Federer. Certo, ha 31 anni ed è più difficile recuperare a 31 anni che a 23. Tuttavia, ci ho creduto fino alla fine ma, purtroppo, quando ho visto il telefono del suo agente che mi stava chiamando, ho capito che non sarebbe potuto esserci. La cosa mi ha rattristato perché aveva vinto il titolo l’anno prima e poi Basilea è solo a un’ora di aereo da Parigi, ma è così, non possiamo fare molto, a parte preparare l’avvenire con l’Atp affinché queste cose accadano un po’ meno.
D. Dopo 13 anni alla guida dell’equipe francese di Coppa Davis….
R. 14, ho fatto 14 stagioni….
D. Dal 1999 fino a quest’anno….sì è vero, le stagioni sono 14, ha ragione…
Il 13 non va bene, porta sfortuna ! [si mette a ridere allegramente]
Sì, è vero, ha proprio ragione…. [ridiamo entrambi]
D. 14 anni dunque alla guida dell’Equipe de France in Coppa Davis e a Montecarlo, quest’anno, l’abbiamo visto molto emozionato durante il suo addio alla squadra. Che ne è oggi di questo stato d’animo? Il dispiacere è sempre forte o è soddisfatto di dedicarsi ad altro?
R. Non ho l’impressione di dedicarmi completamente ad altro. Sono sempre nell’ambiente che amo, con persone alle quali mi sento legato, che conosco da molto tempo, vedo i miei amici giocatori e allenatori. Rivedo dei media e dei giornalisti che conosco da trent’anni. Per me è una continuazione, un po’ come la vita di una pianta, è piccola poi cresce. La vita di un tennista è un po’ così: si è giovani, si è appassionati, poi si diventa campioni e poi il livello comincia a calare, poi ci si ritira, si diventa coach, ecc. È un ciclo, credo sia normale. Io continuo dunque questo ciclo, pur dedicandomi alla cosa che amo di più, il gioco, l’amore del gioco del tennis.
D. Per rimanere sullo stesso tema, immagino sia soddisfatto della scelta di Arnaud Clément come capitano di Coppa Davis e di quella di Amélie Mauresmo per la Federation Cup?
Sì, assolutamente. Penso che la Federazione, così come i giocatori e le giocatrici (perché anche loro esprimono la loro opinione) abbiano fatto due scelte molto intelligenti. Entrambi sono persone intelligenti, generose, altruiste e hanno sempre dato tutto per la squadra. E questa generosità nei confronti della nazionale non è la stessa in tutti i tennisti che sono, in generale, un po’ “egoisti”. Sono persone (Clément e Mauresmo) che difendono i valori della Coppa Davis.
D. Come rappresentante di un sito italiano, non posso fare a meno di chiederle un’opinione sul tennis italiano…
R. Certo !
D.Anche perché lei è davvero molto apprezzato dagli appassionati italiani di tennis…Che cosa pensa del tennis italiano in generale, di quello maschile innanzitutto e poi di quello femminile?
R. Mah, credo che non si possa dissociare il tennis maschile da quello femminile perché oggi ci sono paesi, e l’Italia è un buon esempio, in cui ci sono state generazioni di uomini e donne che hanno giocato benissimo. Poi c’è stata una lieve flessione, poi è toccato agli uomini poi alle donne…Noi in Francia abbiamo avuto una generazione di giocatrici incredibili con Mary Pierce, Amélie Mauresmo, Nathalie Tauziat, Sandrine Testud, Julie Halard, molte ragazze nelle top 10; mentre adesso, certo c’è la Bartoli, ma c’è stata una flessione.
Comunque, ce ne saranno altre. Credo sia necessario che in un paese ci siano ambasciatori dello sport che realizzino cose magnifiche. In Francia, per esempio nel nuoto, abbiamo avuto Laure Manaudou, la prima donna, a livello nazionale e internazionale, capace di realizzare risultati formidabili. Altre donne hanno nuotato bene con lei; e poi è toccato agli uomini raggiungere livelli eccelsi. Ecco, credo che ogni paese abbia bisogno di una “locomotiva”, che siano uomini o donne. Questo crea vocazioni, stimoli, desideri.
Per quanto riguarda il tennis italiano, credo che abbia vissuto giorni migliori anche se ci sono giocatori di talento. Forse sarebbe sufficiente che domani ci fosse un nuovo giovane, di 18 anni, che cominciasse a vincere, uno due tornei, magari arrivare nei top 10, così da stimolare gli altri. Certo, le ragazze vanno molto bene perché con la Schiavone, e adesso con la Errani, ci sono giocatrici di grande talento e stimoleranno forse delle ragazzine che osservano le loro imprese pensando: “Anch’io posso farcela, posso diventare una tennista…”.
Credo dunque si tratti di una questione ciclica, a volte bisogna essere pazienti, aspettare e, magari, a un certo punto, ce ne sono 2 o 3 che arrivano e si riparte per 20 anni. L’Italia ha prodotto sempre giocatori di talento, giocatori generosi, espansivi, ma credo che il nostro sport abbia bisogno di giocatori carismatici, vere personalità; i giocatori italiani hanno spesso personalità originali ma molto simpatiche. Oggi ci sono tennisti italiani carismatici e talentuosi anche se, quello che voi aspettate oggi, penso sia un giocatore che ritorni nei top 10.
Ma questo può accadere rapidamente. Avete dei bei tornei in Italia, soprattutto quello di Roma, ma anche tanti piccoli tornei. L’Italia è una nazione che ama molto il tennis, ama lo sport. Quando ero giovane l’Italia era forte nel calcio, certo, ma ci sono stati grandi campioni nell’atletica e, ultimamente, nel rugby mentre prima non si giocava a rugby in Italia. Credo che gli italiani amino la cultura della competizione e dello sport. Bisogna soltanto essere un po’ pazienti.