Nole, il campione che non ha nulla da invidiare

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Nole, il campione che non ha nulla da invidiare

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Con il suo quinto trionfo a Melbourne, Novak Djokovic è ancora di più nella leggenda di questo sport. Una leggenda che troppo spesso e ingiustamente viene paragonata a quelle degli altri Fab3.

E otto. Come Agassi, Connors e Lendl. Proprio lui, il ceco naturalizzato statunitense cui Novak Djokovic viene spesso accostato accomunandogli due caratteristiche poco gentili: la fama da grande perdente negli appuntamenti che contano (8 finali vinte su 19 disputate per Ivan, 8 su 15 per Nole) e il non essere all’altezza degli altri grandi mostri sacri della propria generazione. Corbellerie.

Corbellerie perché otto slam sono tantissimi, nell’era Open solo in quattro ne hanno vinti di più. Corbellerie perché con gli altri mostri sacri Novak Djokovic da Belgrado ha mostrato di saperci fare eccome, dando vita a partite che resteranno negli annali. Corbellerie perché in fondo non gliene frega niente: Novak è quello che sperava di diventare anzi, anche di più, una leggenda di questo sport come sognava fin da bambino, quando a 7 anni andava alla tv serba a dichiarare che prima o poi sarebbe diventato numero uno del mondo.

Ok, tutti i bambini lo dicono, ma solo 25 ci sono riusciti, solo 5 finora meglio di lui (contando che è già sicuro matematicamente di sorpassare le 141 settimane del suo rivale Nadal). Cosa ha avuto il bambino Nole in più rispetto agli altri milioni di bimbi che prendono in mano una racchetta guardando Sampras in tv e sognano di alzare il trofeo di Wimbledon, finendo poi per lavorare otto ore al giorno davanti a un pc dimenticandosi dei propri sogni di infanzia?

Sicuramente un talento innaturale, come lo definì Jelena Gencic, la grande allenatrice serba che scoprì il piccolo Novak durante una vacanza in un resort di montagna, e vedendolo colpire la pallina con una racchetta più grande di lui riconobbe in quello scricciolo un potenziale visto prima solo in un’altra sua creatura, Monica Seles. Jelena resterà per sempre un riferimento umano ancor più che professionale per Novak, fino alla sua morte avvenuta nel giugno del 2013.

Al talento Novak ha aggiunto tanto lavoro, determinazione, forma mentis. Perché se il coraggio uno non se lo può dare, può darsi tante altre cose utili su un campo da tennis. Un dritto fra i migliori del circuito, un fantastico rovescio lungolinea (che, bacchettata, usa sempre meno) ma soprattutto una mobilità senza uguali, frutto di un duro lavoro, che lo rende il modello del tennista della prossima generazione (lascio a ognuno in cuor suo la scelta di giudicare se sia un bene o un male).

Novak Djokovic è da ieri in solitaria l’uomo che ha vinto più Australian Open nell’era ATP, un risultato che definitivamente scolpisce il suo nome nell’Olimpo di questo sport. Eppure, il buon Novak è ancora mediaticamente bistrattato, nominato en passant, avulso alla casalinga di Voghera che conosce solo Federer e Nadal. Come mai?

La tesi è che il campione serbo, paradossalmente, paghi proprio quella che è la sua caratteristica migliore: ha un gioco intermedio rispetto a quello dei suoi due illustri colleghi. All’occorrenza sa fare il Federer (ok, non come Federer) attaccando e cercandosi il punto anche se prevalentemente da fondo, ma in caso di necessità può fare anche il Nadal (ok, non come Nadal) difendendo tutto e cercando il contrattacco. Molti han visto in questo un essere né carne né pesce, quando in realtà è il contrario: il gioco di Novak è sia carne che pesce. Tipo un hamburger di coccodrillo, che a Melbourne è un must.

Quel che rende Novak un grandissimo è proprio la capacità, maggiore in lui rispetto ai suoi due avversari al trono, di saper trasformarsi nell’arco di un torneo, a volte anche dello stesso match, a seconda delle necessità, per portare a casa le partite anche quando non è giornata, o l’avversario è in uno stato di grazia. Di tutti i giocatori di vertice, Novak è quello che più di tutti ha un piano B, e C, e D, e sa metterlo in pratica. Mi direte, ma Nadal? Sì, anche Nadal spesso ha portato a casa partite parse sull’orlo della sconfitta, ma perché è riuscito a rimetterle sui binari a lui più consoni. Djokovic al contrario, è capace di cambiare binario quando il treno sta scappando. Di vincere “ugly” anche se ferisce il suo orgoglio di campione, imbruttendo il suo gioco se necessario e attirandosi gli strali di chi fino a qualche giorno prima commentava “come si fa a dire che Djokovic è un pallettaro?”. Avesse Federer fatto il Djokovic, forse avrebbe vinto di più (ma probabilmente sarebbe stato amato di meno).

I suoi 5 (cinque!) Australian Open la dicono lunga su questo: li ha vinti in tutti i modi. Con le unghie e con i denti come questa volta, o dominando e spezzando sul nascere ogni speranza altrui come spesso in passato. Djokovic con i titoli Australiani ha un nome già scolpito nella storia di questo sport e non deve temere confronti con Federer e Nadal, anche perché forse non li raggiungerà nel computo degli Slam, ma quantomeno ci andrà molto vicino di questo passo.

Sul piatto inoltre il serbo ha altri pietanze, rigorosamente gluten-free, da mettere. Ha già 4 Masters, vinti da dominatore e forse anche lì a fine carriera potrebbe avere il record, un record che a mio personalissimo parere sarebbe ancora più indicativo di quello di Melbourne. Oltre a questo Djokovic è l’unico tennista attuale, forse l’unico nella recente storia, che può davvero aspirare a vincere tutti i 14 tornei più importanti almeno una volta: gliene mancano due che ha più volte sfiorato: il Roland Garros e Cincinnati. E c’è da scommetterci che prima o poi li farà suoi.

Anche fuori dal campo, un personaggio come Nole è essenziale per il tennis e la sua popolarità: hai voglia a dire “Quando si ritireranno Roger e Rafa nessuno guarderà più una partita”. Forse cominceranno a guardare di più questo campione serbo, e a scoprirne l’interessantissima vicenda personale. Perché dei fab3 forse è quello che ha la storia di vita più interessante, con l’infanzia passata a Belgrado a guardare il cielo non per mirare le stelle o il muoversi delle nuvole, ma l’avvicinarsi dei caccia.

Di altre scuse i difensori della tesi del “Nole Minore” ne hanno poche: sì questi famosi Head to Head che lasciano il tempo che trovano. Al momento la storia dice 17-19 contro Federer e 19-23 contro Nadal. E’ plausibile pensare che possa metterli a posto entro la fine della carriera di quest’ultimi. Fossi in lui invece, mi preoccuperei più di questo.

O forse non mi preoccuperei proprio di nulla, perché Novak Djokovic, marito felice, padre premuroso, showman, poliglotta, otto volte campione Slam e quattro volte Maestro, vincitore di una Davis da protagonista, è quanto di meglio possa definirsi un sogno d’infanzia realizzato.

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