Povera Jankovic quanti autogol! Halep la spunta (Martucci), Halep, dall'immenso dolore alla vittoria più bella (Semeraro), Indian Wells, per Fognini e Bolelli una finale amara (Mancuso)

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Povera Jankovic quanti autogol! Halep la spunta (Martucci), Halep, dall’immenso dolore alla vittoria più bella (Semeraro), Indian Wells, per Fognini e Bolelli una finale amara (Mancuso)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Povera Jankovic quanti autogol! Halep la spunta

 

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 23.03.2015

 

Simona Halep vince una classica partita di tennis donne, come non si vedeva da tempo. Una partita dominata dalla paura di perdere e quindi dagli errori, dai su e giù nel punteggio, da un black out di cinque games. E poi ancora da continui capovolgimenti del punteggio, con l’incertezza a regnare davvero sovrana fino all’ultimissima palla, dopo 2 ore e 37 minuti. A giustificare questo tornado di emozioni, la Halep rivendica qualche pro-blemino fisico (un piede pieno di vesciche) e la pressione da numero 3 del mondo, iper-favorita dalla caduta delle prime due, Serena Williams (infortunata a un ginocchio) e Maria Sharapova (eliminata da Flavia Pennetta), con la possibilità di aggiudicarsi il titolo più importante della carriera e la pressione in più della morte del cugino suicida alla vigilia del torneo, della visita della mitica Nadia Comaneci e della presenza in tribuna del potentissimo magnate del tennis romeno, Ion Tiriac. Per cui l’intelligente, velocissima, Simona gioca un match pieno di stizza e di errori (tantissimi al servizio). Ma, quando l’avversaria la rimette in partita, pur piegandosi su se stessa dopo molti dei durissimi scambi da fondocampo, recupera da 2-6 1-3 e poi dal 3-5, quando si trova soltanto a due punti dalla sconfitta. Arrivando all’insperato terzo set. PROBLEMI Povera Jankovic. Aveva perso tre volte su quattro contro la Halep, mancando match point. E deve per forza pensare che è lì lì per replicare anche nel punteggio la vittoria del 2010 proprio a Indian Wells contro Wozniacki. Una vita fa. Da allora, la serba di scuola Bollettieri, ha vinto solo la finale di Bogotà 2013 perdendone altre sei, con tanti problemi fisici, incluso lo stop di tre mesi per la schiena (con conseguenti propositi di ritiro) della passata stagione. E ricatapultata all’improvviso ad alto livello, a 30 anni, sconta anche la disabitudine a questi match così importanti contro avversari così importanti. Anche perché è sempre stata penalizzata dai nervi, in carriera, lei che è stata numero 1 del mondo nel 2008 (senza mai vincere Slam), perdendo 10 delle 13 finali disputato, in totale, 20 su 33. Mentre la Halep, a 23 anni, ne vanta 11 successi su 17 finali…….

 

Halep, dall’immenso dolore alla vittoria più bella

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 23.03.2015

 

Stava per rinunciare a Indian Wells dopo il suicidio del cugino, per la prima volta conquista un torneo Premier La romena brava a rimontare un set alla Jankovic, che era arrivata a due punti dal successo di Stefano Semeraro Per vincere il torneo più importante della sua camera, l’I lesimo in totale ma il primo Premier (o “mandatory’: se preferite), Simona Halep a Indian Wells ha dovuto sudarsi 2 ore e 37 minuti di una incredibile, imprevedibile e a tratti quasi grottesca finale contro Jelena Jankovic (2-6 7-5 6-4). Per la rumena, n. 3 del mondo, è stato forse il modo migliore, anche se molto faticoso, per mettersi alla spalle il dramma familiare che l’aveva colpita prima dell’inizio del torneo con il suicidio del cugino Nicia Hargir. Aveva anche pensato di rinunciare all’appuntamento californiano per tornare in patria. Ha deciso di giocare per non pensare alla tragedia ed è stata premiata. Dal secondo set in poi la finale invece si è trasformata in un autentico incubo perla serba. La Jankovic – ex n. l del mondo che dopo un infortunio alla schiena che l’ha portata a un passo dal ritiro con questa finale toma comunque fra le Top 20 (n. 17) – sul 6-2 5-4 è stata anche a due punti dal match. Si è fatta però rimontare, nonostante le vesciche che tormentavano l’avversaria Anche il terzo set si è trasformato ire un incredibile frullato di break (20 complessivamente nel match) e soprattutto di occasioni perdute per la 30enne Jankovic, due volte avanti, puntualmente ripresa e alla fine messa sotto da una tenacissima Halep in autentico psicodramma fatto di doppi falli (nel secondo set Jelena era riuscita ad farne tre in un solo game) ed errori clamorosi: anche da parte del giudice arbitro cinese Juan Zhang, che su una palla break perla Halep ha incredibilmente scambiato una prima palla della Jankovic per una seconda. La serba però non ha perso il sense of humor: «Abbiamo corso come cani per tre ore – ha sorriso alla fine – e Simona è il cane più giovane…». Finale amara anche per Simone Bolelli e Fabio Fognini in doppio. I due azzurri, campioni in carica degli Australian Open, si sono arresi in tre set (6-4 6-7 10-7) alla coppia regina dell’ultimo Wimbledon formata dallo statunitense Jack Sock e dal canadese Vasek Pospisil. Peccato perché dopo il aver perso primo set Fabio e Simone avevano mostrato carattere rimontando da 2-4 nel secondo. Nel super tie-break finale hanno salvato anche tre matchpoint ma è stato tutto inutile. Per loro comunque un ottimo torneo in cui hanno superato prima i campioni del Roland Garros, Benetteau-Roger Vasselin, e nei quarti anche Rafa Nadal in coppia con Carreno Busta. Gli ultimi azzurri ad arrivare in finale in un torneo Masters 1000 (anche se allora la denominazione era diversa) erano stati Paolo Cané e Diego Nargiso nel 1989 a Montecarlo, dove furono battuti da Smid e Woodforde.

 

 

Indian Wells, per Fognini e Bolelli una finale amara

 

Angelo Mancuso, il Messaggero del 23.03.2015

 

Finale amara in doppio a Indian Wells per Simone Bolelli e Fabio Fognini, sconfitti al super tie break:6-46-7 (3)10-7 per il canadese Pospisil e lo statunitense Sock. L’ultima coppia italiana a raggiungere una finale in un Masters 1000 era stata quella formata da Paolo Canè e Diego Nargiso che a Monte-Carlo, nel 1989, furono battuti da Schmid- Woodforde. Il più felice di tutti è il patron del torneo Larry J. Ellison, proprietario di Oracle, una delle più importanti società di informatica sul mercato. Nato a New York nel 1944, secondo la rivista Forbes è il quinto uomo d’affari più ricco del mondo e da quando nel 2009 ha rilevato l’evento la crescita è stata inarrestabile, tanto da spaventare i 4 appuntamenti dello Slam. Prima del suo avvento il torneo era in crisi: in pochi anni a suon di dollari e investimenti ha creato un gioiello in questa oasi verde nel cuore del deserto californiano, un “buen retiro” per ricconi che ha il più alto tasso di abitanti miliardari degli Usa. Quest’anno le presenze hanno toccato quota 450mila, numeri da Slam appunto: il fenomeno Indian Wells è oggetto di studio nelle università di economia e business degli States. Il complesso dell’Indian Wells Tennis Garden è all’avanguardia con 29 campi: è l’unico torneo sul cemento in cui tutti sono dotati di “occhio di falco”. Un’innovazione democratica per la tecnologia della moviola, riservata negli altri tornei (Slam compresi) solo ai “big” che giocano sui campi principali. Il centrale da 16.100 posti è il terzo per capienza del mondo, dietro l’Arthur Ashe Stadium (23.200) e la 02 Arena di Londra (17500), davanti anche al Centre Court di Wimbledon. E da quest’edizione hanno introdotto la diretta streaming degli allenamenti: sull’apposito canale di Youtube, anche comodamente seduti in ufficio, si possono ammirare Nole, Roger, Rafa, Serena e tutti gli altri che giocano.

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