La Piccola Biblioteca di Ubitennis. Ali vs Foreman. La Sfida

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La Piccola Biblioteca di Ubitennis. Ali vs Foreman. La Sfida

Venerdì letterari off tennis. Un tributo dovuto. Per chi quella notte non c’era. E anche per chi c’era. Kinshasa. 1974. Ali vs Foreman. Molto più di un incontro di boxe. “La sfida” è un libro che racconta il match del secolo o forse un intero secolo in un match. Quando la scrittura incontra il più Grande di Sempre. Niente è stato più come prima

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Mailer N., La sfida, Einaudi, 2012 (Ed. Orig. “The Fight”, Little, Brown and Company, Boston 1975)

“Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
finché il Sole risplenderà su le sciagure umane”
(Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, 288-295)

Il materialista Foscolo usa la figura di Omero per mostrare che solo la letteratura eterna il ricordo.
Anche il mondo minore dello sport a volte regala momenti irripetibili e se nei dintorni si aggira un genio della parola non dimenticheremo mai. Allora successe così.

In questi casi risulta sempre difficile stabilire chi dei due sia stato più grande, il protagonista del libro o chi lo ha scritto, Achille o il Cieco Vate, Muhammad Ali o Norman Mailer?
Uno è stato un pugile dominante e molto, molto di più, Mailer uno dei migliori autori del ‘900, dissacrante e anticonformista. Statunitense di Long Branch, classe 1923 e morto a New York nel 2007, ha combattuto nel Pacifico traendone nel 1948 il più bel romanzo mai scritto sulla Seconda Guerra Mondiale, Il nudo e il morto. Aveva volto e carisma da star di Hollywood.
Come lo stesso Ali del resto, nato Cassius Clay nel 1942 e convertito alla Nazione dell’Islam ripudiando il suo nome da schiavo nel 1964, il giorno dopo aver conquistato il titolo dei massimi contro Sonny Liston. Il suo rifiuto di arruolarsi per la guerra del Vietnam tre anni dopo (celebre la battuta “Non ho nulla contro i vietcong. Nessuno di loro mi ha mai chiamato negro”) gli era costato il titolo e la libertà. Per anni venne relegato in una sorta di limbo, alle prese con un processo che poteva portarlo in galera e il ritiro della licenza di pugile che gli impedì di sfruttare gli anni migliori per un atleta. Il “Labbro di Louisville” sembrava sconfitto, ma non sarà così.

Kinshasa, 30 ottobre 1974, The Rumble in the Jungle, la rissa nella foresta.
Nella capitale dell’allora Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, governato dal dittatore Mobutu, Ali sfida per il campionato mondiale dei pesi massimi il detentore venticinquenne George Foreman, un picchiatore dalla forza sovrumana. È un killer legalizzato, ha conquistato il titolo massacrando Joe Frazier e ha steso Ken Norton riducendolo all’incoscienza.
Mailer è inviato sul posto come giornalista e vive dall’interno l’intera vicenda frequentando gli allenamenti di entrambi i pugili. Foreman è gigantesco e ai suoi occhi rappresenta il nero integrato nella società occidentale. Muhammad invece è ormai un simbolo della lotta per i diritti civili, un personaggio scomodo con una lingua mortale e un seguito planetario. Non è in forma e non lo sarà neanche al momento dell’incontro, le prende dagli sparring partner e passa gli allenamenti appoggiato sulle corde, come sfiatato. Non perde occasione però per dileggiare l’avversario, facendolo infuriare sempre più.

La simpatia, o empatia, di Norman è tutta per lui ma teme che verrà ucciso sul ring e lo stesso Angelo Dundee, storico manager e amico, teme per l’incolumità del suo uomo. L’unico tranquillo è Alì, che sbruffoneggia uso suo perché ha un piano ben preciso in mente, ed è un piano di intelligenza sopraffina. Si chiamerà Rope a Dope, e uso il futuro perché lo inventò lui quella sera.
Ma lo scrittore statunitense non lo sa e quando la data si avvicina sente di dover fare qualcosa anche lui. La notte precedente l’incontro rientra in camera ubriaco come di consueto. Attraversa uno di quei momenti a metà fra coscienza e premonizione, è capitato a molti, nei quali ci si convince che riuscendo in una determinata cosa, in uno stupido gesto, quel che desideriamo si avvererà. L’albergo è ancora in costruzione, i parapetti sono incompleti, il piano è alto e fuori è buio. Pensa che se lui avrà il coraggio di uscire sbronzo sul cornicione, Ali vincerà. E lo fa.

La sera dopo Il Più Grande trionfa. Rimane incollato alle lasche corde del ring e per sette round impartisce lezioni di boxe difensiva come mai si era visto, ventun minuti nei quali Foreman picchia come un disperato senza mai riuscire a centrare il colpo giusto, subendo pure lo scherno dell’avversario che lo apostrofa con un irridente “…è tutto qua? Non sai fare di meglio?”, oppure “niente da fare, non hai mira”. Si combatte alle quattro di notte per via della dea televisione, l’umidità è mostruosa e Foreman all’inizio dell’ottava ripresa è distrutto. Il momento è giunto, Ali esce dall’angolo e lo stende con un diretto destro quando mancano tredici secondi alla pausa. Il titolo è ancora suo.

Intorno al fatto sportivo l’Africa Nera e i suoi costumi descritti con crudo realismo. Il ruggito dei leoni nelle corse notturne lungo il fiume Congo, che bisogna stare attenti a chiamare Zaire, il sanguinario Mobutu, all’epoca forse il settimo uomo più ricco del mondo, e il suo desiderio di accreditarsi presso l’occidente, l’urlo ritmico e selvaggio della folla, “Ali boma ye”, Ali uccidilo.
La penna magistrale di Norman Mailer rende alla perfezione l’epica di quei momenti e la sua libertà di pensiero non ha paura di mostrare tutta la contraddizione di un circo milionario montato a poche decine di metri da dove migliaia di persone muoiono di fame.

È contro questa contraddizione che Ali ha lottato fino all’ultimo respiro, perché – diceva – “quel che facciamo per gli altri è l’affitto che paghiamo per il nostro posto sulla terra”.

Ps. Per chi non l’avesse visto, sullo stesso tema, consigliamo con tutto il cuore il documentario “Quando eravamo Re” di Leon Gast (1996). Ci ringrazierete. Due avvertenze: preparate i fazzoletti e non stupitevi se vi ritroverete a saltellare per casa gridando nel vuoto “I gonna dance, I gonna dance”, davanti agli occhi increduli di vostra moglie.

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