Non doveva essere Roger Federer il primo dei Fab Four a perdere all’Australian Open? O magari invece Rafa Nadal? Francamente dopo la resurrezione di Doha, con la rivincita presa su quel Murray che lo aveva detronizzato così brutalmente a Londra nella finale del Masters ATP dopo un secondo semestre quasi umiliante per uno come Novak Djokovic che a giugno aveva vinto il quarto Slam di fila, il “Novak-Year-Slam”, che fosse invece il campione serbo ad uscire di scena già al secondo turno, e contro un buon giocatore ma non eccezionale come Denis Istomin non era proprio immaginabile. Non dico prevedibile. Intanto per cominciare negli ultimi nove anni di Slam non era mai successo. Era successo a Roger, a Rafa, a Andy. A lui mai. Insomma il trentenne Istomin poteva anche avere battuto Andreas Seppi un paio di volte nelle cinque maratone di cinque set in altrettanti Slam che lo avevano reso, se non famoso come in Uzbekistan, almeno moderatamente noto in Italia… però nella sua carriera non era mai stato più del 33mo posto nel ranking ATP del 2012 e aveva battuto soltanto una volta in carriera un top-ten, David Ferrer. Non pareva da corsa, via, soprattutto dopo gli infortuni che lo avevano martoriato l’anno scorso quando, dopo tanti anni di onesta seppur non esaltante carriera, era uscito dai primi 100 del mondo. Per la sua mamma coach un dolore insopportabile. Se non fosse stato per il torneo aperto al mondo ASIAN-PACIFIC che garantiva una wild card al vincitore, Istomin, n.117, non avrebbe potuto nemmeno entrare in tabellone. Invece hai visto che scherzo ha saputo combinare il buon Istomin con quegli improbabili occhiali gialli – “Ho problemi ad un solo occhio, con le lenti ho provato ma non riesco proprio a giocarci” – al vincitore di cinque delle ultime sei edizioni, di sei delle ultime nove?
Mi immagino il grande sospiro di sollievo di Andy Murray che a questo punto è quasi garantito della propria permanenza sul trono del tennis fino forse a Wimbledon – i calcoli precisi non ho avuto tempo di farli – perché mentre Djokovic aveva vinto un torneo dopo l’altro nella prima parte del 2016 lui invece non ha cambiali in scadenza fino a primavera inoltrata. Lo scorso anno Andy aveva subito proprio da Djokovic la quinta sconfitta in una finale dell’open d’Australia, la quarta per mano del serbo cui si deve aggiungere quella patita con Roger Federer. Dopo di che era volato a causa dalla sua Kim per arrivare in tempo a diventare papà di Sofia Olivia (nata il 7 febbraio). Adesso chissà che, salvo altre clamorose sorprese tipo quella di questa quarta giornata dell’Australian Open – in cui anche Aga Radwanska, n.3 del seeding è incredibilmente uscita dal torneo, sospinta fuori dalla croata Mirjana Lucic-Baroni che non aveva vinto più una partita qui dacché nel 1998 vi aveva fatto il suo esordio – lo scozzese non riesca finalmente a vincere questo torneo che per lui pareva stregato. Decisamente da oggi Sir Andy è più favorito che mai. Anche se farà bene a non distrarsi, perché il suo prossimo avversario, l’americano Sam Querrey è per l’appunto il giocatore che fermò proprio Djokovic all’ultimo Wimbledon. Quando ancora Nole sembrava imbattibile.
Tornando appunto a Novak Djokovic, beh quello che ha perso con Istomin non era davvero quello che conoscevo. Quello che conoscevo, uno dei più grandi ribattitori e regolaristi della storia del tennis (e non solo di questi ultimi anni), contro Istomin ha fatto quattro errori più dei vincenti, 72 contro 68, e ha stranamente giocato peggio del suo avversario i momenti importanti, a cominciare dai set point del primo set. “Abbiamo giocato 4 ore e mezzo e questo è stato uno di quei giorni in cui non mi sentivo a mio agio sul campo, non trovavo il ritmo, mentre lui sembrava sentire super bene la palla. Non ha la mia esperienza di gare di quest’importanza, non era il favorito, eppure di nervi ha tenuto benissimo nei momenti importanti. Ha meritato di vincere”. Detto che la crisi di Novak non è finita ma persiste, mi soffermo su un altro aspetto meno… tecnico. Ma comportamentale. In conferenza stampa Djokovic è stato un vero gentleman. E non era facile in quella situazione psicologica. Ha risposto con garbo, tatto e disponibilità a mille domande, molte dei colleghi inglesi che cercavano di strappargli ogni cosa per poter inneggiare al loro Andy. Al punto che alla fine, e davvero per captatio benevolentiae, mi sono sentito in dovere – anziché di fargli la penultima domanda concessaci – di ringraziarlo pubblicamente per la straordinaria dimostrazione di fairplay. Chissà come gli giravano, ma è stato perfetto. Roger Federer, ma anche Rafa Nadal, subito dopo sconfitte brucianti come quella subita oggi da Novak, sono stati talvolta – ribadisco il talvolta, e quindi non sempre – anche parecchio scorbutici, bruschi, poco loquaci, trancianti al limite della scortesia.
Onore al vinto, dunque. E ora occhi puntati, più che su Murray-Querrey, Wawrinka-Troicky – nel caso degli appassionati italiani e belgi Seppi-Darcis (con Andreas ultimo “azzurro” dopo la sconfitta di Fognini con Paire in 5 set… ma perché Fabio non si è accorto che di dritto Paire è una banca? – Tsonga-Sock o Lacko-Nishikori, al big match clou: Roger Federer vs Tomas Berdych. Berdych ha saputo battere King Fed 6 volte in 22 incontri, quindi quando Roger era al top. L’altro giorno il giovane americano Noah Rubin, sconfitto da un Federer che non mi ha per la verità impressionato granché al di là di una ottima giornata al servizio, si è espresso così: “Federer è immortale. Murray non sbaglia una palla, Djokovic è una macchina (non oggi…), Wawrinka non ti fa capire dove tira, Fed… is Fed!”. Ma quello che ha battuto Noah Rubin per battere Berdych non basta. Ce ne vuole uno migliore.