Nole si è perso. La crisi infinita dell’ex invincibile (Crivelli)
L’Impero crolla senza avere risposte. E la vittoria a Doha nella prima settimana dell’anno, vista da sotto le macerie dell’eliminazione contro il 117 giocatore del mondo nel secondo turno dello Slam più amato, adesso appare quasi come l’ultima grande interpretazione di un tenore ormai sfiatato. Dov’è il Djokovic chirurgico, famelico, quello che metteva i piedi sulla linea di fondo fin dal primo punto e ti prendeva tempo e fiato, dov’è finito l’automa invincibile che azzannava ogni preda non appena vedeva uno spiraglio per il successo? Si è perso, evaporato in un pomeriggio di giugno sotto il cielo plumbeo di Parigi, quando finalmente si è liberato del tabù Roland Garros. Da quel momento, da quel trionfo inseguito una vita, i mesi e le partite di Djokovic sono diventati un macigno. Fino al disastro incredibile con il sempre battuto (5 volte) Istomin, il solido uzbeko allenato dalla mamma, al massimo 33 del mondo e arrivato a Melbourne grazie a una wild card ottenuta con una vittoria in un torneino asiatico di qualificazione annullando tre match point in semifinale a un tal Gunneswaran. I numeri sono terrificanti per il giocatore che ha vinto il torneo sei volte in 10 anni e dal 2011 aveva perso solo contro Wawrinka (2014): 72 errori gratuiti, 33 di rovescio, il colpo più forte. E poi il servizio ballerino (14 palle break concesse) che lo abbandona addirittura nel quarto e nel quinto set, e ancora i set point non sfruttati nel tie break del primo set o il calo di tensione all’inizio del quarto, con la partita praticamente in mano. Dentro quel fisico troppo magro, quasi emaciato, come se il trionfo a Parigi e cinque anni di applicazione feroce e i sacrifici oltre il limite gli avessero prosciugato anche i muscoli, non arde più il fuoco sacro. Il tennis, forse, non è più il primo pensiero del mattino, come dimostrerebbe il viaggio a Belgrado dopo il successo in Qatar, quando la ragione avrebbe consigliato di proseguire subito per l’Australia. Seppi, che si è allenato con lui quest’inverno, lo ha visto motivato come sempre, ma troppo falloso per essere il vero Djokovic. E in partita, contro l’uzbeko, ha finito per giocare un metro dietro la riga di fondo, con traiettorie troppo corte e colpi senza punch. E’ vero, senza la classe pura di Federer o il debordante talento fisico di Nadal, Nole dal 2011 ha dovuto spremere il massimo dalle sue risorse mentali per affiancarli e superarli, e adesso ne paga il conto, senza più una figura di riferimento come Becker, surrogato da un accompagnatore un po’ naif come il santone Pepe Imaz. Come finirà, fatica a spiegarlo pure lui: «Non è un problema fisico, nel quinto set correvo come nel primo. Psicologico? Se lo dite voi… Questo è lo sport, bisogna accettarlo, certo mi dispiace aver perso così presto in uno Slam che ho vinto sei volte. Merito suo, ha giocato bene nei momenti importanti, ma io non ho sfruttato le occasioni. Credo che la partita sia girata a inizio quarto set, quando ho sbagliato un dritto facile sulla palla break e non mi sono più ritrovato. Ci sono giornate come queste, in cui non ti senti bene in campo e non trovi mai il ritmo». Non usciva così presto in un Major da Wimbledon 2008 e negli ultimi sette anni aveva perso solamente una volta da un giocatore oltre i 100, ma era Del Potro (145) all’Olimpiade, uno che certo non vale quella classifica. Non è una resa, ma certo si apre una fase di incertezza, di cui Novak ha fatto una sintesi spietata: «Adesso voglio solo fare le valigie e tornare a casa». L’ex re è nudo.
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Djoko choc, va k.o. nel suo regno (Vanni Gibertini, La Nazione)
È una delle più clamorose sorprese della storia dell’Australian Open. L’abdicazione di Novak Djokovic dal trono del tennis maschile arriva da una calda giornata australiana. Un k.o. quasi incredibile di fronte ad un onesto comprimario della racchetta, mai stato meglio classificato del 33° posto. Nole aveva ceduto a Andy Murray lo scettro di numero uno a novembre, finali Atp a Londra. Il serbo, qui campione in carica, è uscito di scena già al secondo turno dell’Australian Open. Questo torneo lo aveva vinto sei volte, cinque negli ultimi sei anni. La vittoria di Doha su Murray in finale non era stata dunque che fuoco di paglia. La crisi di fine 2016 resiste e persiste. Un Djokovic troppo poco aggressivo, discontinuo, a momenti distratto, è finito k.o. ai piedi dell’uzbeko Denis Istomin, che vive a Mosca da 10 anni «Non sono una star in Uzbekistan, ma mi conoscono dopo tante Davis», n.117 Atp ma entrato in tabellone grazie a una wild card. 7-6(8), 5-7, 2-6, 7-6(5), 6-4 (in 4 ore e 48m) il punteggio. Un’appassionante battaglia, ricca di colpi di scena, capovolgimenti di fronte. «Era lo sfavorito, non aveva esperienza di grandi match a questi livelli, ma i suoi nervi hanno retto e anzi ha giocato meglio proprio nei momenti importanti — il commento ricco di fairplay di Djokovic che non accampa scuse — ho avuto chances all’inizio del quarto set. Non le ho sfruttate e poi il match è girato». Negli ultimi 9 anni di Slam Djokovic non aveva mai perso così presto. A giugno aveva vinto il suo primo Roland Garros e 4 Slam di fila. Ora è rimasto il detentore del titolo solo a Parigi. Ora Murray può stare davvero tranquillo. Il trono del tennis non glielo toglie più nessuno, anche se qui non dovesse vincere un torneo sfuggitogli in cinque finali. Mentre il tabellone nella metà bassa diventa terra di conquista per Rafael Nadal, in grande spolvero contro Baghdatis, il canadese Raonic, l’austriaco Thiem, il bulgaro Dimitrov, tutti al terzo turno senza problemi. Tra loro non c’è purtroppo Fabio Fognini. Ha perso una maratona di 3h e 29 m, 7-6 4-6 6-3 3-6 6-3 dal barbuto francese Benoit Paire, che il ligure aveva superato 7-6 al terzo alle Olimpiadi di Rio. Out anche la Errani, ultima italiana in lizza. Sara ha lasciato l’Hisense Arena in lacrime sul 6-2 3-2 per la russa Makarova. A tradirla un polpaccio. Non riusciva neppure a camminare. «Non so quanto sia grave, me lo dirà più tardi l’ecografia». Fuori anche la Radwanska, n.3, 6-3,6-2 contro la Lucic-Baroni. Nella notte ha giocato, reduce dalla straordinaria rimonta con Kyrgios, il nostro ultimo superstite Andreas Seppi contro il belga Steve Darcis, n.71 Atp.
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La disfatta di Djokovic e l’inspiegabile colpo dell’audace Istomin (Gianni Clerici, La Repubblica)
Djokovic ha perso, in cinque ore e in cinque set 7/6(8), 5/7, 2/6, 7/6(5), 6/4, contro lo sconosciuto Denis Istomin, russo acquistato al mercato dall’Uzbekistan, n. 117. Eravamo abituati a veder quasi sempre vincere il serbo. Dopo anni di vittorie di Federer e Nadal era arrivato lui, dal 2011. Oggi è riuscito a farsi battere dal n. 117 del mondo – ripeto – uno che, contro di lui, aveva sin qui perduto 13 set a 1. Come può spiegarlo uno come lo Scriba, che si era alzato mica male assonnato, nella delusa speranza di vedere Fognini vittorioso contro il francese Paire, e dell’incontro ha capito all’incirca quanto i due volonterosi commentatori, costretti ad assistere anch’essi dall’Italia? Ho telefonato a due dei pochi colleghi presenti a Melbourne, e Daniele Azzolini mi ha detto: «Ricordati che Novak aveva perso con Querrey, con Del Potro alle Olimpiadi, era stato battuto da Wawrinka, e poi aveva preso una lezione di tennis da Murray nel Master». La mia amica Francesca Cicchitti ha sottolineato: «Si era come scollato. Giocava corto, non sembrava lui, e nonostante tutto ha avuto la sua chance all’inizio del quarto. Il match sembrava un primo turno tra due qualificati». Interrogato dal miglior intervistatore sul campo che io conosca, Jim Courier, Istomin stesso non ha saputo rispondere. Troppo emozionato, forse, per chi si era ormai accontentato di essere un tennista di secondo piano, uno noto soprattutto per essere allenato dalla mamma, Claudia: «Quello che mi accade ora è irrealistico, nel 2001 dopo l’incidente d’auto sembrava non potessi giocare più a tennis, l’anno scorso ero uscito dai primi cento, anche a causa di un infortunio dopo l’altro. Avevo sì battuto una volta Wawrinka a Wimbledon, ma Djokovic… Certo, non si va in campo per perdere, ma…» Mi spiace sinceramente di riferire soltanto i frammenti di una assonnata e incredula esperienza televisiva, commentata tra l’altro da Milano, e non dall’Australia. Nel citare le informazioni che i due colleghi mi hanno cortesemente inviato da Melbourne, non posso non ricordare le 33 sconfitte di Istomin con un top ten, né i suoi 17 aces di oggi, né la profondità e la solidità del suo diritto. Si può chiedersi se la vicenda di Djokovic sia l’inizio della fine, nonostante Nole abbia ricordato di aver perduto solo un set contro il suo vincitore, nei precedenti cinque match. «Ho avuto più di una chance all’inizio del quarto set» ha commentato, tra l’altro. Non sarei onesto, come sempre ho tentato nei miei pezzi, se avessi un’opinione diversa da quella di Istomin. «Irrealistica, come la mia vittoria» ha detto Denis. Mi adeguo.
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Abulico e falloso, ha smarrito la sicurezza (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)
Parlare di crisi per un giocatore che occupa la seconda posizione del ranking mondiale può sembrare blasfemo. La colpa però è di Nole Djokovic, che ci aveva quasi viziato, negli ultimi otto anni, conquistando di tutto e di più con il suo tennis preciso, ordinato e concreto. Un campione di gomma incredibilmente elastico che schizzava instancabile sempre in perfetto equilibrio su tutte le superfici. Dopo la dolorosa e inattesa sconfitta a Melbourne Park mi chiedo dove siano finiti il fantastico anticipo e i profondi fendenti che flirtavano con le righe e prendevano per la gola gli avversari asfissiandoli. Sappiamo quanto sia importante nel tennis moderno la condizione fisica e la tecnica esecutiva ma per assemblare il tutto serve la testa e l’input deve partire da lì. Urge un profondo esame di coscienza, un’attenta analisi alla ricerca dei veri motivi che lo hanno portato a essere un giocatore spento, falloso, quasi abulico che, dopo il trionfo di Parigi, ha smarrito la sicurezza dei dominatori. Nole si è sempre dimostrato un fenomeno nella gestione delle vittorie e dovrà esserlo ancor di più in quella delle sconfitte. Non so se la perdita di 1955 punti lo porterà a modificare la programmazione e anticipare il rientro previsto a Indian Wells per recuperare, almeno in parte, quanto lasciato in Australia. Per un campione come il serbo niente è impossibile, ma per evitare di incamminarsi verso un lento declino dovrà ritrovare, al più presto, lo spirito guerriero e la proverbiale ferocia agonistica.
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Djokovic non c’è più, Istomin ne approfitta (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
«Ben fatto», gli ha detto ieri mamma Klaudya, una di tanto amore e poche parole. A 16 anni suo figlio Denis – Istomin, il n. 117 che ieri ha buttato fuori Novak Djokovic al 2^ turno dagli Australian Open – per colpa di un incidente in macchina mentre andava a giocare un torneo Itf era finito in ospedale per tre mesi. Gamba fratturata, ottanta punti di sutura. «Non potrà più giocare a tennis», spiegarono i medici. Mamma Klaudya, da sempre anche la sua allenatrice, ha aspettato che uscisse dalla corsia. «Vai avanti», gli disse. «Continua ad allenarti». In fondo a quell’ottimismo, dopo una carriera più che onorevole ma senza troppi lampi – e una faida infinita con Andreas Seppi – c’era una giornata come questa. Cinque set vinti contro il n. 2 del mondo, l’ex Imbattibile Djokovic, che a Melboume ha vinto sei volte negli ultimi dieci anni, cinque delle ultime sei, e che contro un avversario non compreso fra i primi 100 ha perso una sola volta negli ultimi sette anni: e quell’avversario era Juan Martin Del Potro, fintissimo n. 145 del mondo, ai giochi di Rio nello scorso agosto. Nole non perdeva al secondo turno di uno Slam dal 2008, (Marat Safin a Wimbledon), contro Istomin fino a ieri aveva vinto 5 volte su 5, perdendo in tutto un set: «Il tennis è così – ha abbozzato – Stavolta Denis ha giocato un grande match, devo fargli solo i complimenti». Manca un particolare: Novak non è più lui. Per vincere il primo game di servizio contro l’uzbeko ha dovuto annullare 6 palle-break. Dopo aver perso il primo set è riuscito a rimontare, ma avanti due set a uno, invece di chiudere a chiave il match, se l’è fatto scassinare da Istomin, la prima wild card della storia a eliminare il campione uscente in uno Slam. Tira piano, il Joker, sbaglia troppo, come capita ormai da mesi. Vinto finalmente il Roland Garros si è afflosciato: a Wimbledon è inciampato in Sam Querrey, agli US Open e al Masters si è arreso in finale a Stan Wawrinka e Andy Murray. Ha detto bye bye al numero 1. Di mezzo, dicono, ci sono traversie famigliari (la presunta crisi con la moglie Jelena durante Wimbledon), di sicuro c’è stato l’addio al supercoach Boris Becker e l’incontro con Pepe Imaz, ex mediocre tennista spagnolo riciclatosi in guru. «Amor y Paz», amore e pace è il suo slogan: ma lo sport professionistico è guerra. «Le mie priorità sono cambiate, vincere non è più così importante», ha spiegato Nole, che nelle giornate più difficili e incazzose urla e si strappa la maglietta, nelle altre sembra quasi assente, abulico, gli occhi cerchiati da orso stanco di sbranare che aveva anche il Borg degli ultimi tempi. Capita, ai numeri 1, di spegnersi all’improvviso, senza ragioni apparenti. Senza lo sguardo da tigre, senza quella voglia di stravincere, rischia però di retrocedere a giocatore semplicemente forte. Forse un ruolo in questa involuzione ce l’ha anche la sua dieta, gluten free e vegana, salutista ma povera di proteine. «Non ho perso per il fisico», sostiene. «Abbiamo giocato quattro ore ma né io né Denis eravamo stanchi. Una questione mentale? Non so, giudicate voi. Non sono abituato a perdere al secondo turno degli Australian Open, ma devo accettarlo fare le valigie e tornarmene a casa». A Melbourne resta Istomin, che ha spalancato ai sogni di tutti la metà inferiore del tabellone e ora incontrerà Carreno Busta. «Mai avevo pensato di reggere cinque set contro Novak», ha detto da bravo figlio. «Battere il 2 del mondo è una cosa che mi resterà sempre dentro». Mamma Klaudya aveva ragione.
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Fognini, un’altra occasione sprecata. Errani infortunata (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Lo chiamano Happy Slam. Tutti contenti: i giocatori che non sono ancora stressati dalle fatiche della stagione e gli spettatori che si godono lo show e l’estate in una location fantastica. Felici tranne l’Italia, che al primo venerdì del torneo si ritrova con un solo superstite, il buon Seppi, che nella notte si è giocato l’accesso agli ottavi contro Darcis. Non c’è più Fognini, e ancora una volta il confine tra una prestazione di buon livello e la clamorosa occasione sprecata è molto labile. Contro Paire, altra icona del genio e sregolatezza, e che lo precede di un posto (47 a 48), Fabio non sfrutta tre set point nel primo, rimonta da due set a uno sotto e nel quinto, concesso il break nell’ottavo game, spreca due occasioni per il controbreak con l’altro che serve per il match: «Ho avuto le mie chance e purtroppo non le ho sfruttate, mi è girato tutto male nei momenti decisivi e poi in quell’ultimo game l’arbitro ha preso un paio di decisioni sbagliate, ma non cerco scuse. Mi rode aver perso un match tirato, sul filo dei punti. Ma c’è la consapevolezza di aver offerto una buona prestazione. Ora torno a casa, poi ci attende la sfida di Davis a Buenos Aires. Rientrerà Bolelli e siamo un ottimo gruppo. Ce la giocheremo». Le gare a squadre valvola di sfogo dopo tornei cosi così, come accade spesso. E allora, in vista della Fed Cup del 10-11 febbraio contro la Slovacchia a Forlì, preoccupano un po’ le lacrime di dolore con cui Sara Errani esce dal campo contro la Makarova quando è sotto 6-2 3-3: «Peccato, perché ero in lotta. Come sto? Non benissimo perché cammino a fatica. Avevo già male durante il match di primo turno contro la Ozaki, stavolta ho sentito una fitta alla gamba destra». Più tardi, la diagnosi del dottor Parra: «Sara ha sentito tirare tra il tendine d’Achille della gamba destra e il gemello esterno. C’è un piccolo versamento, ma non sembra che ci siano lesioni. Bisognerà però ripetere l’esame tra tre giorni in Italia per valutare meglio». Buona fortuna, Saretta.