Coaching pubblico: show nello show o violazione del segreto?

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Coaching pubblico: show nello show o violazione del segreto?

La WTA vuole un coaching senza filtri, anche come forma di spettacolo. Nel basket funziona alla grande, nel calcio le telecamere degli spogliatoi di Napoli e Juventus sono state un flop. Meglio il niet dell’ATP?

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Tra le recenti modifiche al regolamento WTA, una riguarda il coaching. Sono previste pene severe se il coach di una tennista viene sorpreso a mascherare – magari coprendo il microfono – i suoi consigli in modo che rimangano cosa tra loro due, senza quindi finire di dominio pubblico tra tv e rete, facile preda di “intercettazioni” in tempo reale magari dallo staff della giocatrice avversaria. La logica dietro questa decisione è di stampo commerciale. L’allenatore (passateci il termine non proprio ortodosso) che dà suggerimenti in campo alla propria assistita non può pretendere che questi rimangano esclusiva proprietà dei due, perché a fronte della possibilità di farlo (cosa non certo scontata, visto che l’ATP continua a vietare il coaching), il tecnico deve concedere la possibilità di far partecipe il pubblico pagante di questa forma 0di spettacolo supplementare. Per meglio dire, è la Women’s Tennis Association che porta avanti il carrozzone d’oro e che permette ai coach di aiutare le giocatrici a partita in corsa, è quindi la stessa WTA che chiede in cambio un ritorno mostrando a chi segue – che pagando il biglietto o i diritti televisivi tiene in piedi il tutto – quali consigli Sergio Giorgi dà a Camila per superare Maria Sharapova. Se Giorgi senior dovesse farlo in maniera carbonara, addio tweet in tempo reale sull’incredibile svolta tecnica dell’autoritario padre della maceratese (“Smettila di tirare a tutto braccio a campo aperto!” – No, questo non succederà mai, esempio infelice), addio titoloni sui giornali sulla nuova Giorgi finalmente matura, addio sgomento negli occhi dell’Alison Riske di turno (nel frattempo avvertita dal suo box di quanto trapelato nel clan italo-argentino), da sempre abituata a far sfogare Camila per poi giovarsi dei suoi proverbiali missili omaggio quattro metri fuori dal campo.

Tutto corretto, tutto coerente nell’era dello sport professionistico. La tattica di gioco adottata o cambiata in corsa è parte integrante del match. L’unico dubbio è che non si finisca per eccedere nella corsa al “dai alla gente ciò che vuole”. Nel basket americano, culla del professionismo fatto a regola d’arte, l’NBA ha fatturato vagonate di dollari con le inquadrature da vicino di Phil Jackson che ai tempi dei Chicago Bulls suggeriva ai suoi come neutralizzare le invenzioni di quell’ineffabile play bianco di John Stockton e ora anche nella nostra Serie A2 drizziamo le orecchie per sentire cosa coach Boniciolli sta dicendo ai malcapitati giocatori della Fortitudo Bologna che stanno soffrendo da morire contro Forlì.

Se però ci si fa prendere la mano, si finisce per offrire un prodotto dalla confezione dorata ma pieno di segatura, sebbene le intenzioni di partenza non siano pessime. Passando dalla palla a spicchi al pallone di cuoio, qualche anno fa la Lega Calcio di Serie A e la Federcalcio si accordarono per far entrare le telecamere negli spogliatoi durante i pre-partita e nel corso dell’intervallo. Chissà quali ascolti per tirare ancora più al rialzo le richieste economiche a chi occupava gli spazi pubblicitari più ambiti. Ma avevano fatto i conti senza l’oste. Ce lo vedete Maurizio Sarri che con un camera-man al fianco istruisce Koulibaly e Ghoulam su come irretire i due argentini della Juve, in particolare l’apprezzatissimo traditore ribattezzato sotto il Vesuvio Giudain? O che spiega alla squadra come aggirare il muro bianconero davanti a Buffon? Sì, lo vedete, magari in un film del presidente De Laurentiis. Quello vero avrà chiamato – tramite un emissario di fiducia, non certo con lo smartphone – il collega e conterraneo Allegri, bisbigliando parole come queste: “Max, tu sei tante cose, ma grullo no di sicuro. Io vo dai ragazzi e gli dico che devono fare un bel sorriso paraculo ed essere più muti dei pesci. Tu l’hai già fatto vero?” La risposta di Acciughina la riportiamo solo per dovere di cronaca: “Pensavo non mi avresti neanche chiamato. Maurizio, non ti riconosco più…”. “Io invece ti riconosco sempre, per quello ti ho chiamato. In bocca al lupo, mangia cacciucco!” Così, battuta più battuta meno, hanno fatto tutti gli allenatori, riducendo le telecamere di Sky e Mediaset negli spogliatoi a componenti aggiuntive di quelle a circuito chiuso destinate alla sicurezza.

Tornando al tennis, qual è a questo punto la strada giusta? Vero è che segnali di fumo e gestualità da film comico sul baseball rasentano il ridicolo, così come è vero che compito dei coach moderni è anche fornire dritte che aiutino la propria assistita senza mettere l’avversaria e il suo staff nelle condizioni di prendere in tempo reale le contromisure (altrimenti questi coach farebbero meglio a cambiare mestiere, indipendentemente dalla potenza dei media attuali). Probabilmente, fa bene la WTA a impedire giochini volti a non mostrare le tattiche agli avversari. Torniamo allora alla domanda di fondo, in termini non solo tattici ma anche di spettacolo: meglio la WTA che permette il coaching, a patto che sia del tutto alla luce del sole, o l’ATP che continua a vietarlo? Il board degli uomini interpreta meglio lo spirito del tennis. È lo sport individuale per eccellenza, in campo sei solo contro avversario, paura di vincere e di perdere. Tu e solo tu devi avere la capacità di cancellare dalla mente la palla-break non convertita che avrebbe girato il match, per leggere cosa è meglio fare punto dopo punto. Il rovescio della medaglia è il coaching sotto banco, a metà tra l’illecito e il patetico. L’associazione femminile ragiona all’opposto: non rispecchia perfettamente i codici sacri del tennis, ma tanto vale concedere a chi gioca la stampella tecnica e mentale del coaching e costruirci sopra un business mediatico aggiuntivo. Forse non c’era neanche bisogno delle pene per i coach omertosi, la WTA è fatta di professioniste e professionisti veri, come quelli dell’NBA: non sanno neanche chi sono Giudain, Tavecchio e Acciughina. Se poi a Hobart si ritirano dopo un game per poter fare le qualificazioni dell’Australian Open, beh, nessuno è perfetto…

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