La Davis che verrà (Cocchi). Politica e tanti affari, la storia atipica del difensore Piqué (Ricci). "Giudicatemi tra 10 anni" (Semeraro)

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La Davis che verrà (Cocchi). Politica e tanti affari, la storia atipica del difensore Piqué (Ricci). “Giudicatemi tra 10 anni” (Semeraro)

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La Davis che verrà (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Il giorno dopo, sui social è tutto un vociare sul nuovo format della Davis. L’Assemblea della Itf di Orlando ha votato a larga maggioranza la proposta della Kosmos di Gerard Piqué di creare una Coppa in formato Mondiale. Un cambio epocale dopo 118 anni di continuità che ha lasciato molti giocatori con l’amaro in bocca. Si partirà già dal prossimo anno, con le qualificazioni a 24 squadre nel mese di febbraio e la fase finale a novembre. Una settimana in campo, dal 18 al 24, con round robin, quarti semifinali e finali per decretare la nazionale campione. Un contratto di 25 anni tra Kosmos e Itf, rescindibile da parte della federtennis mondiale in caso di mancati obiettivi per due anni consecutivi. In ballo ci sono 3 miliardi di dollari, con montepremi di 20 milioni per i giocatori e altrettanti, spicciolo più spicciolo meno, per le federazioni. ANATEMI Yannick Noah, pezzo di storia del tennis francese e no, vincitore dell’iconica insalatiera da giocatore e da capitano, aveva più volte stigmatizzato la proposta di innovazione della manifestazione e ieri ha addirittura scagliato l’anatema: «Disonore a chi ha ucciso la Davis», ha twittato subito dopo l’esito della votazione. Più riflessiva Amelie Mauresmo, capitano dei francesi, che ieri ha affidato al social cinguettante la sua amara riflessione: «Sono triste e scioccata per la decisione dell’Itf. Anche se ti dicono che una situazione potrebbero cambiare, quando cade la mannaia è difficile da accettare. Ci avevano detto che avremmo iniziato a febbraio come sempre, invece no. Che i giovani tennisti avrebbero potuto realizzare il sogno di giocare e vincere davanti al pubblico di casa spettacolari partite in cinque set. E invece no. Ora ho bisogno di riflettere ed elaborare la notizia e mettere tutto in prospettiva». Anche Lucas Pouille, numero 1 francese ha fortemente criticato la novità, votata dalla sua stessa federazione: «Hanno copiato l’idea della World Cup che l’Atp ha organizzato per il 2020, è la stessa cosa. Non si potrà più chiamare Coppa Davis e l’atmosfera sarà completamente diversa, è una pessima idea». Tomas Berdych si unisce al coro dei lamenti: «Sono molto orgoglioso di aver fatto parte di una squadra che ha vinto questo titolo. Un trofeo che è sopravvissuto per oltre 100 anni e che ha regalato grandi gioie ed emozioni a noi e ai tifosi. Peccato che ora sia tutto finito». Lapidario Boris Becker, consulente della nazionale tedesca: «Non ci sono parole per descrivere quello che hanno fatto…». BIG Pochi giorni prima della votazione, i top player si erano espressi sulle modifiche alla formula e, a parte Federer, che non ha espresso un parere netto, Djokovic, Nadal e Cilic hanno accolto con interesse le novità. «E’ una notizia fantastica – è stato il commento del serbo —, tutti noi amiamo giocare con la maglia della nazionale e più volte abbiamo fatto presente ai vertici che il programma così strutturato non andava più bene. Ora sarà tutto più interessante, e la maggior parte degli sport di alto livello ha una manifestazione del genere. In più ci saranno più soldi anche per le federazioni». Anche Rafa Nadal sorride alla nuova formula: «Penso che possa funzionare, se una cosa non va bene bisogna cambiarla, e la Davis con questo formato non stava più funzionando». Dello stesso avviso Marin Clic: «Giocare per il nostro paese è fantastico, ma quattro settimane sono tante e avere l’intera competizione in una sola settimana è un’ottima idea e sarà un valore aggiunto per la Coppa. In più, essendoci diverse squadre coinvolte, ci saranno anche più spettatori interessa. Vedo soltanto lati positivi». AUSTRALIA AMARA I più amareggiati sono gli australiani. La federazione ha votato contro, e anche il capitano Lleyton Hewitt ha voluto dire la sua: «Naturalmente sono completamente contrario a quanto è stato deciso — ha detto l’ex campione down under —. Non è la Davis quella che è stata votata, non si può più chiamare così. Chiedetelo a chi ha giocato negli ultimi 50 anni, vi risponderanno che questa nuova formula snatura completamente la competizione». Alla fine, a mettere una pietra tombale sull’argomento è Nick Kyrgios che, rispondendo a un tweet del connazionale Millman che si lagnava dell’esito della votazione Itf ha espresso il concetto definitivo: «Fratello, chi se ne frega. Ormai è andata così». La saggezza dei cattivi ragazzi


Politica e tanti affari, la storia atipica del difensore Piqué (Filippo Maria Ricci, La Gazzetta dello Sport)

Mercoledì sera Gerard Piqué ha giocato col Barcellona il trofeo Joan Gamper al Camp Nou. Giovedì è partito per Orlando, in Florida, per partecipare alla vittoria della sua società, Kosmos, nel tentativo di riorganizzazione della Coppa Davis. Mentre i compagni sudavano nel caldo umido catalano lui in giacca e cravatta al fresco dell’aria condizionata americana sorrideva di fronte ai fotografi. Poi è ripartito per la Catalogna e ieri si è allenato coi compagni. Stasera sarà in campo nel debutto del Barça in Liga con l’Alaves. CALCIO E AFFARI Sportivo e businessman, calciatore e imprenditore, talento e cervello, ad altissimi livelli. Non si è mai vista una figura simile, un atleta capace di combinare con tanto successo carriere tanto diverse (senza tralasciare l’impegno politico per la causa catalana). Gli sportivi in attività normalmente sono testimonial pubblicitari e possono più o meno metter bocca di fronte alle indicazioni degli specialisti che curano i loro interessi. Piqué è un’altra storia. Nell’ultimo decennio, mentre vinceva tutto con il Barcellona e la Spagna, ha avuto il tempo di fare due figli con una popstar di fama mondiale, la colombiana Shakira, e di creare almeno 6 società. GIORNALISTA Nel 2011 Piqué ha investito 50.000 euro in Kerad Games, marchio di progettazione e sviluppo di giochi per computer. Ha avuto un grande successo con un gioco chiamato Golden Manager e il 5 luglio ha sciolto la società che nel frattempo era arrivata a 35 impiegati e un capitale sociale di 2 milioni di euro riciclando 30 dei suoi uomini nella altre compagnie create nel frattempo: la EMR che si occupa di e-Sports collaborando con il colosso Konami, Kosmos Studios, casa di produzione video, e Kosmos GE, la compagnia che ha rivoluzionato la Coppa Davis. Piqué ha anche una società che produce e commercia hamburger ecologici, la Natrus, e un’altra di occhiali, Kypers. E riesce anche a trovare il tempo di fare il giornalista: sulla piattaforma Players Tribune, creata dai giocatori per raccontarsi contrastando di fatto i media tradizionali, Piqué negli ultimi mesi si è messo di fronte alla telecamera per intervistare Neymar, Lewandowski, Luis Saurez, Mascherano, James Rodriguez e Gigi Buffon. COMPIACENTE E il Barcellona? Non fa una piega. Perché i giocatori sono liberi di gestire come credono il proprio tempo libero e quando le attività di Piqué in qualche modo s’incrociano con quelle della società i dirigenti chiudono un occhio o protestano senza farsi sentire. Giovedì mentre i compagni preparavano il debutto in Liga Piqué si faceva 10.000 km in aereo sfidando un fuso orario di 6 ore per andare ad occuparsi di Coppa Davis: il club ha fatto sapere di avergli accordato un permesso speciale. SPONSOR E quando a metà giugno Antoine Griezmann ha scelto di annunciare la sua scelta di restare all’Atletico Madrid declinando l’offerta del Barcellona in un documentario prodotto da Kosmos Studios al Camp Nou (dove credevano di aver già preso il francese) hanno visto rosso, ma la rabbia nei confronti di Piqué è stata fortemente contenuta. Per il peso tecnico del giocatore, ma anche per un debito imprenditoriali nei suoi confronti: è stato Piqué ad avviare i contatti tra il Barcellona e Hiroshi Mikitani direttore esecutivo della compagnia giapponese Rakuten che due anni fa è diventata il main sponsor del club catalano. Milioni di motivi per soprassedere di fronte all’esuberanza intellettuale di Piqué. Mikitani è amico della coppia Piqué-Shakira e Rakuten ha investito 3 miliardi di dollari anche nel nuovo progetto di Coppa Davis: pop, denari, affari e sport, l’incredibile cocktail del difensore catalano


“Giudicatemi tra 10 anni” (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Nell’estate calda del nostro tennis la novità più bella è stata quella di Matteo Berrettini, vincitore a Gstaad del suo primo torneo Atp, ma capace poi di arrivare nei quarti la settimana successiva a Kitzbuhel dopo aver passato due turni al Roland Garros e avere sconfitto Jack Sock a Wimbledon. Ora tocca al cemento: prima Winston Salem (da domani), poi gli US Open. Matteo, come è cambiata la vita negli ultimi due mesi? «Quello che è cambiato e che forse c’è più visibilità, quindi bisogna fare più attenzione a gestire questo aspetto. In realtà, anche se avessi fatto primo turno a Gstaad il percorso sarebbe stato lo stesso. Adesso ovviamente la programmazione cambia un po’, perché entro più facilmente nei tornei. Ma il percorso tecnico e di crescita non è diverso». A Wimbledon una sconfitta frustrante contro Simon, quando disse che in campo a volte si “massacrava” troppo da solo, a Bastad il passo falso contro Laaksonen. Poi il boom a Gstaad e i quarti a Kitzbuhel: che cosa è successo? «Purtroppo o per fortuna il percorso è fatto così. Ci sono giornate nervose e quelle in cui sei più centrato, la crescita sta proprio nel riuscire a far diventare sempre più numerose le giornate buone. A Wimbledon stavo facendo fatica: ero arrivato stanco alla stagione sulla terra e avevo giocato anche tante partite sull’erba. E’ successo che ho preso le cose con più serenità. Riconosco anche i miei meriti, sto riuscendo a affrontare i tornei con la giusta consapevolezza ma anche senza mettermi troppa pressione». Un analisi tecnica della svolta? «Con il servizio e diritto, le mie armi, ho vinto le partite: lo dicono le statistiche e anche le mie sensazioni sul campo. Con il rovescio però ho trovato una solidità importante, che mi ha permesso di usare meglio il diritto, girandomi meglio in campo per colpirlo. Sono migliorato nella risposta e nella mobilità, insomma un po’ in tutti gli ambiti. Il lavoro è stato fatto molto, molto su rovescio, risposta e mobilità, ma continuo ad allenare anche diritto e servizio». Quanto tempo al giorno passa a esercitare la battuta? «Dipende, ma comunque tanto. Qualche mese fa Vincenzo mi disse che era il momento di dedicarcisi: “O fai due ace a game, o ti sloghi la spalla: vediamo che succede…”. L’altro giorno me l’ha ricordato: “Vedi che avevo ragione io? Meno male che non ti sei slogato”…». Come ha festeggiato dopo Gstaad? «Non c’e stato tempo. Sono partito subito in macchina con Bracciali, siamo arrivati alle 3 di mattina di lunedì a Kitzbuhel, e martedì ero già in campo con Simon. Lui guidava, ma io sono stato bravo a non dormire, anche se ero abbastanza cotto, e gli ho tenuto compagnia. Poi dovevo rispondere ai milioni di messaggi che mi erano arrivati». Come guida “Braccio”? «Guida bene, guida bene. Con lui ci siamo subito trovati bene. Abbiamo 18 anni di differenza, io non ho giocato spesso in doppio e devo imparare tanto, quindi anche in campo mi sono fatto guidare dalla sua esperienza. Però sentivo di poter portare nella coppia la fiducia che mi arrivava dai risultati in singolare, la mia solidità dal fondo. Insomma, è stata un’accoppiata perfetta». Corrado Barazzutti, in ottica Davis, è motto contento di aver trovato un altro singolarista e un altro doppista nella stessa persona: ne avete parlato? «Mi ha chiamato per congratularsi, era contento, non abbiamo parlato di Coppa Davis anche perché bisogna vedere cosa cambierà ora che l’hanno stravolta. Poi ovviamente se arrivasse la convocazione io sarei onoratissimo. E’ una cosa a cui tengo molto». Ci racconta come funziona il menage a trois tecnico con Vincenzo Santopadre e Umberto Rianna? «Fra tutti e tre c’è un bellissimo rapporto, fatto di amicizia e di estrema fiducia. Tutti e tre vogliamo il mio bene sia come atleta sia come persona. Loro due si completano benissimo: Vincenzo è stato tennista, Umberto ha più esperienza di lui come allenatore, ha seguito atleti di altissimo livello. Si completano, e io ne guadagno perché mi confronto con entrambi. Molto più con Vincenzo ovviamente, ma anche i consigli di Umberto mi aiutano molto. E poi troviamo il modo di stare bene in tutte le situazioni, senza parlare di tennis…». Chi scherza di più? «Beh, Vincenzo si diverte a rubare il pass di Umberto, facendolo impazzire: “Non lo trovo, adesso non mi fanno entrare!”. Oppure a colazione dà i morsi ai cornetti degli altri, e poi se ne va… Umberto è grande tifoso del Napoli, Vincenzo tiene per la Roma, si parla anche di calcio». Ha saltato Toronto e Cincinnati, i due Masters 1000 americani: perché? «Avevo bisogno di staccare un po’ dopo tante settimane, tanti tornei, tante partite. La stagione è ancora lunga, in autunno ci sarà anche la tournée asiatica, era giusto ricaricare le batterie e mettersi nelle condizioni giuste per dare il meglio». Hai già deciso la programmazione da qui a fine anno? «Ricomincerò da Winston Salem e dagli US Open. Poi sono iscritto a San Pietroburgo, quindi ci sarà la tournée asiatica: Pechino, Shenzen, Shanghai oppure Tokyo, dipende da dove entro. Giocherò comunque sino alla fine della stagione, sono fiducioso anche per i tornei sul cemento indoor». Dove ha passato le vacanze? «Al mare, a Castiglion della Pescaia, a casa di Lavinia, la mia ragazza. Giusto qualche giorno di relax». Come vi siete conosciuti? «E’ tennista anche lei, si allena con me all’Aniene» Le ha fatto qualche regalo dopo Gstaad? «Beh, bisognerebbe parlarne con lei, ma io di regali gliene faccio parecchi, anche quando non vinco» E Lavinia a lei? «Mi regala dei vestiti, e me li porta ai tornei, ma non in particolare dopo Gstaad». Mentre lei vinceva in Svizzera, suo fratello Jacopo, tennista pure lui, in corsa per le finali Next Gen di Milano, esordiva come opinionista a SuperTennis: cosa le ha detto dopo I successi? «Mi ha fatto i complimenti, è molto contento per me. Siamo partiti insieme da lontano, due bambini che avevano il sogno di diventare tennisti. Per ora ci stiamo riuscendo e ne siamo orgogliosi. Ci siamo sempre sostenuti l’un l’altro, aiutandoci a vicenda. Anche se non mancano le prese in giro». Ad esempio? «Prima di Gstaad, Jacopo mi aveva scritto che mi aveva superato in classifica in doppio. Io in doppio non avevo passato mai neanche un turno, poi però ho vinto il torneo e gli ho risposto che la prossima volta avrebbe dovuto fare attenzione a quello che diceva, perché poteva andargli anche peggio…». II cemento, gli US Open sono alle porte: dopo un’estate di successi colti insieme a Fognini e Cecchinato arrivano gli esami importanti? «Io li vedo piuttosto come una bellissima esperienza: sono troppo giovane per sentirmi sotto esame. E’ normale invece che Fabio, che li avrà giocati quindici volte e sta vivendo una grande stagione, possa percepirli diversamente. L’anno scorso fu il mio primo Slam in assoluto da professionista, questa volta a New York sono in tabellone, vediamo che succede. Ma non devo mettermi troppa pressione sulle spalle». Filippo Tortu, 20 ami, è già sotto processo dopo una gara sbagliata agli Europei. Teme che dopo il successo dl Gstaad la aspettino tutti con il fucile puntato? «Purtroppo i giornali reagiscono così, ma un atleta va giudicato sull’annata, non su una singola prestazione. Tortu ha due anni meno di me, merita la serenità giusta per lavorare. Gli impegni sono tanti, ed è nel corso dei prossimi dieci anni che dovremo dimostrare di che pasta siamo fatti». I colleghi hanno cambiato atteggiamento nei suoi confronti? «Ora frequento di più il circuito quindi iniziano a salutarmi, a chiedermi di giocare in doppio. Si, sento che cresce il rispetto, ma è fisiologico». In famiglia che dicono? «Sono ovviamente contenti, anche per la dedica dopo la vittoria a Gstaad, che era molto sincera. Anche se mio padre c’è rimasto un po’ male quando sui giornali è stato riportato che avevo detto che da piccolo mi avevano portato “in posti molto più brutti di questo”: io volevo dire che mi hanno portato in posti meno belli di Gstaad, che è un posto fantastico, incredibile dove giocare a tennis». Mamma e papà saranno con lei anche a New York? «Mi fa molto piacere averli vicino, anche se ora le cose cambieranno un po’, la vita e la professione mi porteranno per forza a stare meno con loro. Mio padre è venuto a Parigi e a Wimbledon, mia madre a Indian Wells. Agli US Open non so: potrebbero anche prendere un aereo all’ultimo minuto. New York in fondo non è così lontana…»».

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