Che lezione per Djokovic e Osaka. A Indian Wells cadono gli dei (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)
La caduta degli dei arriva nella serata di Indian Wells, una doccia fredda come il vento che tirava in questi giorni sul «paradiso del tennis». Novak Djokovic e Naomi Osaka, i due numeri uno al mondo maschile e femminile, nonché campioni in carica dell’Australian Open, sono stati rispediti a casa in malo modo rispettivamente al terzo turno e agli ottavi […] Nole, che era avanti 8-1 nei precedenti con il tedesco Kohlschreiber, ha regalato al rivale la gioia di battere il numero 1 al mondo per la prima volta in carriera. «Sarebbe una bugia se dicessi che questa sconfitta non mi dà fastidio, soprattutto in un torneo importante come questo — ha commentato il serbo a caldo —. Adesso devo voltare pagina e pensare a Miami, il mio allenatore Vajda mi darà una mano in questi giorni a vedere come migliorare». Nervoso, poco reattivo, sembrava che il fantasma del Nole dello scorso anno, rientrato in anticipo dopo l’operazione al gomito destro, stesse aleggiando su Indian Wells: «Non sono al mio livello di gioco migliore – ha proseguito Novak nell’analisi —, ma mi sto avvicinando alla giusta forma e spero di dimostrarlo già a partire dal prossimo torneo». Gli unici sorrisi arrivano dal doppio. Djokovic e Fognini, la «strana» coppia, sono approdati alla semifinale e puntano dritti al bersaglio grosso: «Continuo a giocare il torneo di doppio — ha sottolineato — non sarei stato professionale e nemmeno rispettoso nei confronti di Fabio se mi fossi ritirato. Fognini ha perso ed è rimasto per rispettare l’impegno con me. E poi mi diverte molto giocare in coppia e quando posso farlo ne approfitto e per me è un onore fare squadra con Fabio». È andata meglio che a Dubai, quando è stata battuta all’esordio da Kiki Mladenovic, ma non può sorridere Naomi Osaka che fallisce agli ottavi la difesa del titolo conquistato nel 2018, lasciando a Martina Navratilova il primato di unica donna a vincere due edizioni di fila nel deserto californiano: nel 1990 e nel ’91. Dopo aver conquistato lo Us Open e l’Australian Open ed essersi seduta sul trono del tennis femminile, la giapponese ha licenziato il tecnico che l’ha portata in alto. Fuori Sascha Bajin, ex sparring di Serena, dentro Jermaine Jenkins, ex sparring di Venus. I risultati al momento non si sono ancora visti e Naomi è sembrata molto poco concentrata contro la Bencic, che l’ha spazzata via 6-3 6-1: «Essendo la prima volta in cui difendevo un titolo, sono comunque contenta. Ho cercato di fare del mio meglio, anche se non è bastato» si assolve la giapponese a cui la Mattel ha dedicato una bambola. E forse la sua pecca in alcuni casi è proprio quella di essere un po’ troppo «bambolina»: «Uno degli obiettivi più importanti che mi pongo è essere più matura, crescere e non solo in campo, ma nella vita di ogni giorno, nelle relazioni con le persone. Ci sto lavorando, è un percorso che richiederà un po’ di tempo, ma è il mio più grande obiettivo e sento che quest’anno ho un po’ fiducia in me stessa» […]
Il politico Djokovic la paga sul campo (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Novak Djokovic è un ragazzo molto versatile: padre, tennista, showman – i giornalisti serbi assicurano che potrebbe fare l’attore a tempo pieno, non solo qualche cameo con Fiorello – imprenditore della ristorazione (possiede locali a Belgrado e Montecarlo) e per giunta presidente del Player Council, il consiglio dei giocatori all’interno dell’Atp, il sindacato giocatori che gestisce il circuito mondiale. Un talento decisamente multitasking. Novak peraltro sa bene come sia problematico conciliare vocazioni diverse, non tutto funziona sempre bene e al Masters 1000 di Indian Wells ne ha avuto la conferma. In California, da sindacalista, il numero 1 del mondo ha dovuto pelare la gatta del mancato rinnovo del contratto al presidente dell’Atp, Chris Kermode, che ha fatto alzare il sopracciglio a Federer e Nadal. Da tennista invece è uscito martedì, a sorpresa, al terzo turno del singolare di Indian Wells contro Philipp Kohlschreiber mentre da doppista, a fianco dell’amico del cuore Fabio Fognini, è approdato in semifinale […] I prossimi avversari sul campo di Djokovic e Fognini saranno i vincenti del quarto fra Kubot-Melo e Inglot e Skugor, fuori dal campo invece Nole prima o poi dovrà vedersela con Federer e Nadal. Il siluramento di Kermode infatti non e piaciuto ai dioscuri. Rafa lo ha difeso, come pure Wawrinka, Roger si è detto sorpreso sia per licenziamento in sé, sia per come Djokovic ha eluso la sua richiesta di informazioni: «Mi ha risposto che era occupato e che ne avremmo parlato il giorno dopo… Ma il giorno dopo era tutto fatto». Rafa e Roger hanno tenuto un piccolo consiglio di guerra davanti a un caffè, ed è prevedibile che la faccenda avrà strascichi in attesa del sostituto di Kermode. Il manager inglese paga qualche passo falso – vedi la creazione della Atp Cup, il doppione della Coppa Davis che debutterà nel 2020 – oltre che la fronda di chi fra i giocatori lo avrebbe voluto più determinato nello spuntare aumenti dei montepremi. A deciderne la sorte in ultima istanza è stato il board dell’Atp, dove siedono sia i rappresentanti dei giocatori sia quelli dei tornei. I primi oggi sono l’ex tennista Justin Gimelstob, di recente protagonista di una brutta faccenda (ha aggredito un amico che frequentava la sua ex moglie), il dirigente del network tv Tennis Channel, David Edges, e l’avvocato inglese Alex Inglot. «Nel board siede gente che non dovrebbe esserci», ha mugugnato Wawrinka a Indian Wells. Ma al di là della questione specifica è il sistema-tennis in generale che non convince. Il circuito maschile è gestito da un sindacato che rappresenta anche i datori di lavoro (i tornei) – un po’ come se la Cgil stesse insieme a Confindustria – quello femminile da un altro sindacato (Wta), mentre la federazione internazionale conta sempre meno e subisce l’influsso degli investitori privati del Kosmos Group. E alla fine a fare la voce grossa e i propri comodi è soprattutto il comitato che riunisce i quattro ricchissimi tornei del Grande Slam. Il risultato è un continuo conflitto di interessi e un preoccupante caos di regole e formati. Se tutti tornassero a fare il proprio, magari sotto la direzione di un commissione, come avviene nelle leghe sportive americane, forse se ne potrebbe uscire. E il ruolo, in futuro, avrebbe già un candidato naturale: Novak Djokovic, ovviamente.