Laver Cup, lo show è vincente (Azzolini). E il re del tennis finì con la testa nella neve (Graf)

Rassegna stampa

Laver Cup, lo show è vincente (Azzolini). E il re del tennis finì con la testa nella neve (Graf)

La rassegna stampa di lunedì 23 settembre 2019

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Laver Cup, lo show è vincente (Daniele Azzolini, Tuttosport)

[…] In tre giorni di show a Ginevra s’è visto Fognini in preda alla più forte delle emozioni per essere stato chiamato, poi incoraggiato e sostenuto dai consigli di Federer e Nadal («Quando due così ti dicono che fare, capisci subito che è meglio sentirli»); s’è visto Rafa dispiaciuto per il forfait nell’ultima giornata, causa un problema al polso avvertito al debutto; e Federer farsi in quattro per portare punti. La Laver Cup è il tennis di Coppa come lo vorrebbero i tennisti (a cominciare dagli ingaggi, faraonici). Stefanos Tsitsipas, alla prima convocazione, lo dice: «Mai imparato tanto in tre giorni. Un sogno essere a fianco di campioni così celebrati che ti consigliano che fare, la corretta posizione in campo, la giusta correzione tattica. Un’esperienza importante. Anche sul piano organizzativo tutto è perfetto ai massimi livelli. Ed è bello scoprire la grande simpatia e l’umanità di idoli come Federer e Nadal». È evidente che la Laver Cup rivesta ormai per chi abbia la fortuna di giocarla valore e significato particolari. Per Fognini è stato come ricevere una laurea. Vi è giunto per merito suo, e il fatto che a convocarlo siano stati altri giocatori, con i capitani l’ha riempito di orgoglio e tensioni. Queste le considerazioni hanno spinto l’Atp a inserire la Coppa dedicata all’uomo dei due Grand Slam nel calendario ufficiale. Quali saranno gli sviluppi futuri li scopriremo vivendo […] La terza e ultima giunta sul filo di lana grazie a Sascha Zverev, forse quello che ne aveva più bisogno, in una stagione piena di problemi personali (la malattia del padre, le questioni di cuore) che lo hanno spinto al punto di mettere in discussione la partecipazione alle Atp Finals, vinte nel 2018. Saltato Nadal, Federer si è incaricato di contrastare quasi da solo il Team World, senza però evitare la sconfitta in doppio con Tsitsipas, contro Sock-Isner, per l’11-7 avversario. Solo una doppia vittoria negli ultimi singolari (da 3 punti ciascuno) avrebbe evitato il primo successo di Team World. Roger è tornato subito in campo contro Isner, e ha giocato la sua miglior partita dei tre giorni, chiusa 6-3 7-6. Poi Zverev, contro Raonic. Match delicato per il tedesco, battuto da Isner nel secondo giorno. A risolverlo il super tie break finale, giocato con grande caparbietà dal tedesco. «Non avrei vinto se non ci fossero stati loro a sostenermi» la chiosa di Sascha. Prossimo appuntamento a Boston. La formula funziona e lo spettacolo vale il prezzo del biglietto.

E il re del tennis finì con la testa nella neve (Simon Graf, Il Giornale)

Il tennis è uno sport semplice. Tranne quando lo si gioca. Perché sul campo ci si espone a frustrazioni tremende. Per tutto il tempo occorre decidere e improvvisare nel giro di qualche frazione di secondo. C’è sempre qualcosa che va storto. E tra uno scambio e l’altro, tra un game e l’altro, il tempo basta e avanza per ruminare sulle cose che sarebbe stato meglio fare diversamente. Chi tende alla perfezione, come il giovane Roger Federer, si scontra in modo inevitabile con le proprie ambizioni. La rabbia si accumula e deve liberarsi in qualche modo. Per loro fortuna i tennisti, per l’appunto, hanno sempre una racchetta in pugno, ed è con quella che danno libero sfogo alla loro stizza. Addirittura leggendaria è la storia di Federer adolescente che all’Accamia tennistica nazionale di Bienne sforacchia il tendone, appena installato, che serviva a separare i campi. «Era talmente spesso che mi sono detto: “Sì, figuriamoci se riesco a bucarlo!”» racconta il reo nel documentario televisivo Replay, senza scomporsi più di tanto. «Eppure di lì a dieci minuti faccio partire la bomba: vedo la racchetta vorticare per aria come le pale di un elicottero e perforare la tenda, neanche fosse stata un coltello nel burro. Tutti gli altri smettono di giocare e mi guardano. E io mi dico: “No, non può essere!”». Federer raccatta le sue cose e se ne va – tanto lo avrebbero cacciato comunque. I giovani tennisti erano stati esplicitamente invitati a non danneggiare il nuovo tendone. Per punizione gli tocca alzarsi all’alba per una settimana e pulire i bagni, passare l’aspirapolvere negli uffici e preparare i campi dalle sei alle sette del mattino. (…) ROGER E IL PAPA (…) il giornalista René Stauffer, che conosce Federer fin dai suoi esordi, ricorda nella sua biografia Il genio del tennis l’impressione indimenticabile che il talentoso under 18 gli ha lasciato in occasione del loro primo incontro, alla World Youth Cup di Zurigo, quando Federer aveva solo quindici anni. Non solo il talento è subito evidente, ma colpiscono anche i modi scomposti e incontrollati che l’atleta si concede tra gli scambi: «Faceva ballonzolare la racchetta nella mano, correva in continuazione da un capo all’altro del terreno, parlottava tra sé e sé, senza tacere un solo istante, o per meglio dire si insultava da solo. “Duubel” ringhiava con il suo accento di Basilea quando una palla finiva fuori di qualche millimetro. A volte si criticava perfino dopo avere strappato un punto, magari perché si sentiva insoddisfatto del colpo. Sembrava non accorgersi neppure di quello che succedeva intorno a lui». I suoi genitori sono spesso in imbarazzo per lui (…) Nel 2016 Federer ha raccontato un episodio risalente a quell’epoca. Suo padre Robert, seccato per i suoi continui scoppi d’ira, ha piantato una partita a metà. «Mi ha detto: “Sono stufo di giocare con te”. Ha posato una moneta da cinque franchi sulla panchina e mi ha salutato con queste parole: “Io vado, ci vediamo a casa”. Non riuscivo a credere che mi avesse davvero piantato lì così, perché dal campo a casa nostra erano 45 minuti in autobus. Ho aspettato per un’ora intera che tornasse a prendermi. Non si è più visto. Sono uscito nel parcheggio e la nostra auto non c’era più. Allora ho capito che se n’era andato sul serio». In un’altra occasione, rincasando da un torneo giovanile, Robert ha fermato l’auto su un passo di montagna: Roger era talmente fuori di sé per come aveva giocato che suo padre, per raffreddarne i bollenti spiriti, lo ha trascinato fuori dall’auto e gli ha infilato la testa in un mucchio di neve. (…). ROGER E LEI Nella storia del tennis elvetico le Olimpiadi di Sydney del 2000 iniziano sotto una pessima stella. Campioni del calibro di Martina Hingis, Patty Schnyder e Marc Rosset hanno scelto di non gareggiare. La piccola delegazione svizzera, formata dal giovane Federer, da Mirka Vavrinec, da Emmanuelle Gagliardi e dal coach Peter Lundgren, condivide con un team di quattro lottatori una casetta a schiera nel villaggio olimpico. Nessuno sospetta che sotto il sole cocente dell’Australia stia sbocciando una storia d’amore. Neppure quando già nelle primissime fasi dei Giochi Vavrinec confida ad alcuni giornalisti svizzeri che Federer la fa ridere fino alle lacrime. Non è un tipo noioso, anzi, è divertentissimo, e questo le piace: alleggerisce l’atmosfera. Lei stessa non si accorge subito che Federer le fa la corte. «Era sempre lì che mi ronzava intorno, e io non riuscivo a capire che cosa volesse» avrebbe ricordato poi. Sul campo Federer si fa sfuggire due medaglie già a portata di mano, nella semifinale contro Tommy Haas e nella partita per il bronzo contro Arnaud Di Pasquale, ma fuori dal campo fa centro: l’ultimo giorno dei Giochi chiama a raccolta tutto il suo coraggio e bacia Mirka. L’esperienza le piace, ma lei lo prende in giro: «Sei ancora così giovane, sei un bambino». Federer ha compiuto da poco diciannove anni, lei ne ha già ventidue. «È un po’ più grande di me, e le donne maturano sempre prima. All’inizio della nostra storia è una cosa che mi ha molto aiutato» avrebbe ammesso a distanza di tempo. «Abbiamo iniziato quasi subito a fare molto sul serio» […]

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