Scheggia Arnaldi punta il bis (Edoardo Innocenti, Corriere dello Sport)
Adesso iniziano a conoscerlo tutti, Matteo Arnaldi. Dopo aver brillantemente superato le qualificazioni ai danni dell’austriaco Filip Misolic (6-1 6-4) e del francese Arthur Fils (3-6 6-3 6-2), il ventiduenne di Sanremo si è eretto a grande sorpresa del torneo di Madrid eliminando prima il vulcanico francese Benoit Paire al tie-break del terzo set e poi il numero 4 del mondo, il norvegese Casper Ruud (6-3 6-4). Sono le sue due prime vittorie in carriera nel tabellone principale di un Masters 1000, i successi che gli garantiscono per la prima volta l’ingresso tra i primi 100 giocatori della classifica mondiale, le performance che lo lanciano definitivamente nel tennis dei grandi, lui che piccolo è rimasto nel nomignolo: “Arnaldino”. Inizia a giocare a tennis all’età di 5 anni insieme al nonno, ma la sua vera passione fino ai 12 era il nuoto. L’atmosfera del gruppo e le lezioni condivise con gli amici però lo divertono di più rispetto alla solitudine della corsia in vasca, così sceglie la racchetta. E il divertimento cresce con i primi risultati, come i Campionati Regionali vinti in Liguria e poi i titoli internazionali che gli permettono di indossare la maglia della Nazionale giovanile per gran parte della sua attività da under. […] Arnaldi è un ragazzo che adora quello che fa. Gli piace colpire la palla, correre, competere, gli piace tanto confrontarsi per capire cosa poter fare meglio. Va da sé che il dialogo con coach Alessandro Petrone sia costante e profondamente maturo, nonostante la carriera di Matteo sia ancora tutta da scrivere. È un perfezionista, uno che dedica ore allo yoga e allo stretching da diversi anni, che a tavola sgarra solo quando consentito (o meritato) e che conosce l’importanza del riposo e del sonno per valorizzare il lavoro dentro e fuori dal campo. Un atleta modello, metodico e quasi robotico nella dedizione al mestiere[…]. Le sue caratteristiche tecnico-tattiche sono oramai note nel circuito: Arnaldi spinge, è sempre più incisivo al servizio e sa lasciare fermo l’avversario soprattutto con il dritto. La sua straordinaria mobilità articolare, aspetto in cui si può già definire uno dei migliori tennisti al mondo, gli consente di effettuare recuperi mozzafiato e di ribaltare lo scambio anche quando sembra compromesso. La sensibilità alla mano, inoltre, non manca. La scorsa settimana queste qualità (e un’inarginabile fiducia) sono state sufficienti al ligure per sbarazzarsi in due set (6-3 6-4) dello spagnolo Jaume Munar nel tabellone dell’ATP 500 di Barcellona. Proprio l’iberico sarà di fronte a lui al terzo turno di Madrid per un’insidiosa rivincita in condizioni differenti, visto che i campi della capitale spagnola sono molto veloci e con poca terra, soprattutto quelli secondari (la sfida andrà in scena alle 11 sul Campo 3). […]
Si conclude un’era. L’Atp manda a casa i giudici di linea (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Un uomo solo sul trespolo. Sempre lassù, più in alto di tutti. Ma spogliato delle responsabilità arbitrali (la gran parte, quanto meno) e definitivamente assegnato a mansioni più notarili. Dal 2025 il tennis manderà in pensione i giudici di linea, sarà il computer a prendere tutte le decisioni e a renderne conto al pubblico. L’ha deciso e comunicato l’Atp e la Wta dovrà presto accodarsi, sempre che non voglia coltivare (e pagare in proprio) una “cantera” di giudici a livello internazionale. Il nuovo inquilino invisibile dei campi da tennis si chiama ELC, come un elfo prodigioso che resti sempre connesso alle mansioni da sbrigare, live per l’appunto, da cui ELC Live. Nome e cognome di un futuro in buona parte già noto. La sperimentazione va avanti dal 2006, i tornei statunitensi sono stati i primi ad aderire con convinzione, e gli anni della pandemia hanno fatto da acceleratore a ogni decisione, quando si è reso necessario tagliare le presenze ai tornei per rendere più agevoli le norme di sicurezza anti virus. […] «Siamo convinti dell’importanza delle tradizioni che il tennis ha reso tali nei suoi centocinquant’anni di storia, ma in questo caso era giusto lasciare il passo all’innovazione e alle nuove tecnologie», ha spiegato Andrea Gaudenzi, presidente dell’Associazione Tennisti. Ciò che AG non può spiegare – preferendo occuparsi di fattori economici e organizzativi – è la filosofia molto americana che fa da mastice alla decisione presa e vuole lo sport professionale sempre più disgiunto dal fattore umano. L’assunto è semplice: lo sport è tale (tanto più lo sport professionale) se offre ai protagonisti in campo e ai loro appassionati la certezza del risultato finale, e finché vi sarà un essere umano a decidere – pur con tutta l’onestà e la buona fede di questo mondo – le statistiche degli errori e delle omissioni restano troppo alte. Se potessero, in America avrebbero già messo da parte gli arbitri di qualsiasi attività sportiva, football e soccer compresi. […] Al momento, non ci saranno più tennisti vittime di una decisione arbitrale iniqua. Si va verso un mondo alieno, zeppo di chip e sensori, nel quale un McEnroe non avrebbe saputo vivere, salvo calarsi un passamontagna sul volto e andare di notte a tirare racchettate sui diodi dei computer a disposizione di ELC. Serve uno sport dove vincano sempre i migliori, là dove per “migliore” s’intende chi nel corso di un match abbia saputo far valere l’insieme del suo stato tecnico, fisico e mentale, al punto da appaiare e sorpassare un avversario (anche un campione) di superiore dotazione. Cosa che non sempre accade. Ma non ieri. Non sono state le “inique” decisioni arbitrali a indicare a Vavassori e Cecchinato la strada per uscire dalla Caja Magica. I loro avversari, Medvedev e De Minaur, si sono mostrati superiori. Non di molto, ma quanto bastava. Anzi, Wave e il Ceck sono rimasti nel match fino alla fine, facendosi in quattro per contrastare da una parte il gioco violento e scombiccherato del russo cittadino di Cannes, dall’altra le accelerazioni brucianti dell’australiano di padre uruguagio e di mamma spagnola, favorite dalla velocità davvero impressionante negli spostamenti. Mi è piaciuto non poco osservare Vavassori impegnato in uno stoico quanto sistematico utilizzo del serve and volley in tutti i suoi turni di battuta. Era l’unico modo per affrontare il russo e Andrea l’ha fatto con dedizione e personalità. Nel primo set, addirittura, Wave ha avuto tre palle break che avrebbero potuto cambiare identikit al confronto, le prime due nel gioco d’avvio, una, la più importante, sul 4 pari, 30-40, che Medvedev ha respinto con una fucilata di servizio. Anche nella seconda frazione Vavassori ha tenuto botta fino al 3-4, quando Medvedev ha dato la definitiva spallata al match, avviandosi poi alla conclusione. Il torinese ne sorte con un viatico incoraggiante: «In questo tennis c’è posto per me, anche in singolare», la sintesi. Può recriminare qualcosa Cecchinato, ma solo con se stesso. Ha fatto match quasi pari con De Minaur ma è stato meno bravo a trasformare in punti le palle break. L’australiano le ha salvate tutte, il Ceck solo l’80 per cento. Statistiche alte, come si vede, ma decisive nell’orientare la sfida. Marco fa un salto di 43 posizioni e ritrova un posto nella Top 100, al n. 74. Oggi c’è Matteo Arnaldi, contro Jaume Munar, che ha superato la settimana scorsa a Barcellona. È l’ultimo italiano. E non parte sfavorito.