Chi sono i migliori erbivori del circuito? Djokovic sfiora il 90% di vittorie, Berrettini meglio di Alcaraz

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Chi sono i migliori erbivori del circuito? Djokovic sfiora il 90% di vittorie, Berrettini meglio di Alcaraz

Medvedev e Rublev hanno vinto oltre il 60% delle partite giocate su questa superficie, non brillano Ruud e Rune. L’approfondimento a cura di Ferruccio Roberti

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Novak Djokovic - Wimbledon 2021 (via Twitter, @Wimbledon)
 

– 89.58 la percentuale dei match vinti a Wimbledon da Novak Djokovic. Un rendimento (86 successi nelle 96 partite giocate sui prati di Church Road) nell’Era Open inferiore in tal senso solo a quello di Borg (92.73%) e Sampras (90%) e che basterebbe da solo a spiegare perché il vincitore dei primi due Slam dell’anno e di undici degli ultimi diciassette Major giocati sia il grande favorito della prossima edizione dei ChampionshipsIl serbo -che in bacheca vanta già sette coppe di Wimbledon- non perde sui prati di Church Road dal luglio di sei anni fa, quando nei quarti contro Berdych si ritirò dopo aver perso il primo set ed essere stato sotto di un break nel secondo. Fu l’ultima partita del suo 2017, speso dopo quel match ai box, per risolvere i problemi al gomito destro che in quella stagione lo avevano afflitto. Tuttavia uno Slam è una sorta di maratona tennistica composta non da 42,195km di corsa, ma da sette partite da vincere al meglio dei cinque set e anche per il grande favorito ci saranno potenziali ostacoli sui quali poter inciampare.

A pochissimi giorni dall’inizio di Wimbledon ho raccolto qualche dato dei 24 tennisti che -anche seguendo le indicazioni dei bookmaker- sono tra i principali papabili alla vittoria dello Slam più prestigioso del calendario. Nelle tre tabelle potete trovare i dati relativi al loro rendimento sull’erba nelle ultime cinque stagioni (a partire dunque dal 2018, visto che nel 2020 a causa del Covid non si è giocato sull’erba). Per le percentuali di successi è poi indicata anche la virtuale posizione in una speciale classifica fatta considerando i tennisti che in questo lasso temporale abbiano giocato almeno otto partite sui prati (e come minimo tre per quanto riguarda le sfide contro colleghi nella top 20). Sono dati indicativi ma da prendere con le molle perché non basati su grandi numeri: mediamente i tennisti presi in considerazione dal 2018 a oggi hanno giocato sui prati una ventina di partite complessive. Per curiosità ho poi aggiunto per ciascun tennista gli analoghi dati sul rosso per cercare di valutare -seppur con dati parziali- quanto incida ancora la differenza di superficie. Troviamo in ogni caso delle conferme piuttosto scontate, a partire da  quelle relative a Djokovic, in possesso di numeri ben migliori rispetto a quelli dei suoi colleghi: è in serie aperta da 28 incontri sull’erba, con l’ultima sconfitta rimediata –dopo aver avuto un match point a favore- nella finale del Queens 2018 contro Cilic.

In questo studio sono stati presi in considerazione i top ten e quasi tutti i tennisti capaci di ottenere negli ultimi anni buoni risultati sull’erba, preferendo in tal senso quelli che -rispetto ad altri- oltre ad avere una buona classifica, hanno o mostrato nelle ultime settimane un migliore stato di forma o vantano un eccellente pedigree erbivoro. Sono tanti gli spunti emergenti dalla lettura delle tabelle, ne affrontiamo solo alcuni: ad esempio spicca come tra i primi dieci al mondo solo Alcaraz e Djokovic abbiano anche sull’erba un rendimento eccellente (per lo spagnolo vanno fatti però mille distinguo a causa dell’esiguo numero di partite da lui sin qui giocate). Troviamo anzi i soli Medvedev e Rublev ad avere vinto oltre il 60% delle partite giocate su questa superficie e ad avere un rendimento tra i primi 20 della relativa classifica sull’erba nelle ultime cinque stagioni (in cui sono presi in considerazione esclusivamente i tennisti ad aver giocato almeno otto partite). Anche considerando i tennisti presenti sia in una delle tre tabelle che nell’attuale top 20 del ranking ATP solo Fritz, De Minaur e Auger-Aliassime superano il 60% di partite vinte, mentre tennisti come Korda, Bublik, Kyrgios, Berrettini e Bautista hanno un ottimo bilancio sui prati, ma -per diversi motivi tra loro- una classifica peggiore di tanti che sull’erba negli ultimi anni hanno fatto molto peggio di loro. Balza agli occhi il pessimo rendimento sui prati (per i criteri qui utilizzati più di cento colleghi ne hanno uno migliore del suo) del finalista degli ultimi due Roland Garros (e di nove titoli e altre quattro finali sul rosso), Casper Ruud, che in carriera ha vinto appena tre match sull’erba. Degli attuali primi sette giocatori al mondo (anche per motivi di giovane età, vedendo la carta d’identità di Alcaraz e Rune) solo Djokovic è arrivato almeno ai quarti dei Championships, mentre, leggendo le tabelle si nota che almeno una volta nei “last eight” del Roland Garros sono arrivati tutti i primi 8 del ranking ATP.

 

Senza voler trarre conclusioni, vista anche la diversa scala dei numeri (sulla terra i tennisti giocano, mediamente, tra il doppio e il triplo delle partite di quelle disputate sull’erba) si può sostenere che tra le due superfici di gioco ci sono differenze, seppur decisamente diminuite nel corso degli anni, che permangono evidenti. Se a differenza di qualche lustro fa ormai il serve and volley è quasi scomparso persino sull’erba e si gioca con schemi analoghi su tutte le superfici le differenti attitudini tecnico-tattiche (ma anche di tenuta psicologica) ancora fanno la differenza, sempre che non si sia un grandissimo campione e col proprio margine sugli altri si gestisca positivamente anche il cambiamento di superficie. Basti pensare, per fare qualche esempio, al differente rendimento di Tsitsipas e Ruud quando giocano sulla terra e quando si disimpegnano sull’erba o, sempre nella top ten, a quello di Tiafoe e Fritz,  piuttosto nettamente migliore sui prati. Uscendo dai primi dieci al mondo sono tanti i tennisti ad avere ben 15 o più punti percentuali di differenza nel loro rendimento sulle due superfici: solo tra quelli protagonisti delle tabelle possiamo citare ad esempio Auger-Aliassime, Musetti, De Minaur, Zverev, Bautista-Agut, Bublik e Kyrgios. Tra i non presenti nelle tabelle si possono prendere ad esempio nomi come Cilic, Dimitrov, Thiem, Carreno Busta, Davidovich Fokina, tutti con differenze percentuali di vittorie nell’ordine di quelle elencate sopra. Sono poi eclatanti nell’attuale top 100 i casi di Mannarino (15.63% di successi sulla terra contro il 60% sull’erba), Thompson (56.41% sui prati, 28.57 sul rosso), Ramos-Vinolas (55.33 sul mattone tritato, 0% in 7 incontri sul verde), Humbert (28.13 sulla terra, 58.06 sull’erba) e Cecchinato (25% sui prati, 53.04 sul rosso). Si potrebbe continuare osservando come il rendimento per tanti tennisti cambi nettamente in quanto a piazzamenti a Wimbledon e Roland Garros e a titoli vinti sulle due superfici, ma può bastare per questa volta quanto già emerso.

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Asian Games, l’ossessione dei tennisti sudcoreani: Kwon distrugge la racchetta e si rifiuta di stringere la mano all’avversario

I retroscena della più importante competizione tennistica asiatica: racchette distrutte e strette di mano negate, quando l’oro vale più di una medaglia

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L’Asia da prestazione. Che gli Asian Games siano per i tennisti orientali la competizione più sentita è fuori di dubbio: le migliori racchette cinesi hanno saltato i tornei della settimana per essere presenti a Hangzhou e, ancora più emblematico, vincendo l’oro i sudcoreani hanno diritto a saltare la leva militare (Son Heung-min, attaccante del Tottenham, ne sa qualcosa). Sumit Nagal – recentemente critico per le scarse finanze dei tennisti di bassa fascia – li preferisce ai tornei ATP 250 e 500: “È tutto magnifico qui, se non fosse per il cibo… (sorride, ndr). Tutti ne parlano, e non solo per il tennis giocato: ecco il fuoriprogramma che ha finito per diventare virale.

Dopo aver perso al secondo turno in un intenso testa a testa (3-6 7-5 3-6) con il tailandese Kasidit Samrej (n.636 del ranking), il giocatore della nazionale coreana Kwon Soon-woo (n.112) dapprima si è rifiutato di stringere la mano all’avversario e poi ha iniziato a sbattere violentemente a terra la sua racchetta, continuando a fracassarla fino a distruggerla mentre si dirigeva verso la sedia a bordo cambio. Nell’imbarazzo generale, il giocatore tailandese si è inchinato davanti agli spalti, ma – come ogni pubblico che si rispetti – l’attenzione in quel momento era tutta sul colpo di scena. Non ha tardato ad arrivare una fitta pioggia di critiche da parte dei media coreani: “Kwon dovrebbe essere penalizzato”, scrivono in molti.

La Korea Tennis Association prova a mettere una pezza, riferendo poco dopo le scuse del tennista: “Ha visitato il ritiro della Thailandia e ha chiesto scusa a Samrej aggiungendo parole di incoraggiamento per il prossimo match”. Ci riesce: niente ostracismo per Kwon, che gareggerà ora per la medaglia d’oro nel doppio maschile insieme a Hong Seong-chan. Se da una parte sembra che il tennista tailandese abbia accettato le sue scuse, la controversia in patria si spegne con più difficoltà: “Mi scuso sinceramente con tutti coloro che hanno sostenuto la competizione della loro squadra nazionale e con coloro che erano sugli spalti”, afferma Kwon. Parole che possono bastare per le scuse, meno per far riporre meno amaramente a una nazione intera la speranza di vittoria: due titoli ATP, un terzo turno al Roland Garros nel 2021 e posizione numero 52 del ranking mondiale nello stesso anno. Difficile da digerire.

 

Contro pronostico anche l’uscita al secondo turno del tandem indiano guidato da Rohan Bopanna – favorito per la medaglia d’oro –, battuto insieme a Yuki Bhambri dalla coppia uzbeka composta da Sergey Fomin e Khumoyun Sultanov. L’ex numero 3 di specialità si consola con una vittoria facile in doppio misto con Rutuja Bhosale. Almeno lui l’ha digerita meglio.

Tra le donne citiamo la bella prestazione della 18enne filippina Alex Eala, lo scorso anno vincitrice allo US Open junior. La numero 190 del mondo è alla quinta settimana consecutiva in campo nel tour ed è in semifinale agli Asian Games nel tabellone di singolare.

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Ljudmila Samsonova: “Una parte di me è sempre italiana” [ESCLUSIVA]

Da speranza azzurra ad allieva di Pizzorno e finalista Mille con (senza) bandiera russa: Ljudmila “Ljuda” Samsonova è già stata molte cose, e questo, forse, è solo l’inizio

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Samsonova - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Essere chiamati al doppio turno nella giornata conclusiva di un 1000 è certo un avvenimento quantomeno inusuale: e infatti a Montreal, uscita vincitrice da un match combattuto con la testa di serie numero tre, Elena Rybakina, Ljudmila Samsonova, russa, ventiquattro anni, è costretta ad arrendersi poche ore dopo a Jessica Pegula, racimolando un solo game alla sua prima finale 1000 (“fa male rendersi conto che agli organizzatori non importi nulla di noi tennisti”, ha dichiarato a margine dell’incontro).

Un torneo in cui, in fila, “Ljuda” aveva eliminato la testa di serie numero due (Sabalenka), la dodici (Bencic), e la tre (appunto Rybakina) prima di arrendersi alla quarta forza del seeding. Il lunedì 14 agosto, Ljudmila si “accontenta” della posizione numero dodici, suo best ranking. Una classifica costruita nel tempo, da quel 2013 in cui, per la prima volta, scese in campo da professionista.

Probabilmente, il momento della svolta è stata l’estate scorsa, quella del 2022: fra Washington e Tokyo, passando per Cleveland, Samsonova si porta a casa tre tornei, due 500 e un 250. Se diamo uno sguardo alle sue principali affermazioni, è facile notare una particolare predilezione per il nord America. “Entrambe le volte che sono arrivata negli Stati Uniti in quel periodo avevo la testa libera: ho come resettato da zero il periodo precedente. È forse per la mia leggerezza in quel periodo che sono venuti fuori i risultati migliori.”  

 

Samsonova, che mentre scriviamo è numero ventidue del mondo, si trova ora a dover confermare i risultati raggiunti, iniziando dalla difesa del titolo di Tokyo. Ora, però, riavvolgiamo un po’ il nastro.

A casa non puoi non praticare un minimo di sport” sorride Ljuda: Samsonova proviene da Olenegorsk, una cittadina della Russia europea settentrionale, dell’Oblast di Murmansk. Insomma, il polo nord non è poi così distante. Tuttavia, lo sport è arrivato fin lassù, peraltro con ottimi risultati: il padre è stato campione europeo di Ping-pong, il nonno uno sciatore. “Penso di essere stata comunque fortunata ad essere una bambina dotata per lo sport; la mia famiglia mi ha trasmesso tanto anche in quest’ambito.”

Ljudmila, però, ci risponde in italiano fluente. Fa un certo effetto apprendere come Samsonova abbia vissuto diciotto anni in Italia, e si sia sentita, in tutta la sua giovinezza, una tennista azzurra. Al compimento dei diciotto anni, avrebbe dovuto ricevere il passaporto italiano. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, ed oggi gareggia per la Russia (o meglio, gareggiava, ora è tennisticamente “apolide” a causa della guerra in Ucraina). A quanto pare, l’ostacolo sarebbe stato la mancanza di un “reddito certo”, carenza che avrebbe impedito alla Federazione di assegnarle il passaporto. Ljudmila, insomma, avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro: una condizione spesso non richiesta da molte altre federazioni nel mondo. Da quel 2017 sono passati sei anni, e Ljudmila oggi si sente “metà e metà: ho una parte di me a cui l’Italia, quando sono via, mancherà sempre, e un’altra che è invece molto legata alle origini; essendo cresciuta in una famiglia che ha sempre tenuto molto a mantenere le tradizioni e la lingua mi sento di far parte anche di quel mondo.”

La carriera di Samsonova ha dunque preso davvero il via da quel momento; solamente due anni fa, tuttavia (era il luglio 2021) Ljuda era appena entrata in top 100, e ancora non si delineava l’exploit che l’avrebbe portata alle vette della classifica mondiale. “È stato il coraggio a permettermi di fare il decisivo salto in avanti. Il coraggio che ho avuto nel fare determinate scelte, a credere sempre in me stessa nonostante prendessi batoste in continuazione, anche da parte di chi mi fidavo: è stata la mia determinazione a farmi arrivare qui, più di tutto il resto.”

Un forte legame con l’Italia Ljudmila l’ha, comunque, indubbiamente preservato: il suo coach è Danilo Pizzorno, torinese che ha acquisito una grande importanza nel panorama italiano e internazionale per il suo utilizzo metodico e “scientifico” della videoanalisi. “Penso che Danilo, oltre ad essere il miglior coach WTA, sia anche e soprattutto una bellissima persona; dopo le esperienze che ho vissuto, cerco di guardare prima al lato umano e poi a quello professionale.”

Un circuito, quello WTA, che solo recentemente sembra incamminarsi verso una sorta di stabilità ai vertici, con il dominio di Iga Swiatek (interrotto ora da Aryna Sabalenka). Nel confronto con quello maschile, che ha vissuto di un triumvirato (ad eccezione, forse, di un effimero quadrumviro) per oltre vent’anni, non tutti vedono l’incertezza femminile come un qualcosa di positivo per la WTA. “Io invece credo che sia un bene – ci dice Ljudmila -. In questo modo c’è posto per più giocatrici: il livello si è alzato e chiunque può ambire a fare grandi cose.”

L’incertezza non è solamente tennistica: dal febbraio 2022, la guerra fredda, le cui fiamme pensavamo definitivamente spente da anni, si è riaccesa e porta con sé il pericolo di scatenare un grande incendio. Il primo focolare si è acceso in Ucraina, a causa dell’invasione russa. Come sempre, lo sport non può considerarsi del tutto scisso dalla realtà che lo circonda. È forse per quella chiamata di Hitler che il barone Von Cramm perse quella finale di Wimbledon. Riguardo a quale sia il suo ruolo in certi contesti, comunque, il dibattito è aperto e certo di non facile risoluzione.

La situazione è indubbiamente controversa: le atlete russe e bielorusse non possono più giocare sotto la loro bandiera, le loro nazionali non possono più partecipare alle competizioni internazionali. “Lo sport può mandare certi messaggi –  dice Ljuda, che oltre ad essere russa è vissuta, lo ricordiamo, diciotto anni in Italia –, ma non credo possa avere un vero impatto, cambiare ciò che avviene nel mondo.”

Ljudmila ha solo ventiquattro anni; eppure ha già vissuto molto, fra l’Italia, il Polo nord e il tennis professionistico. Forse, però, il meglio deve ancora arrivare. “Il mio desiderio per il futuro è essere una persona felice e realizzata: nessun premio o classifica può essere tanto importante quanto lo stare veramente bene con sé stessi.”

Di Ljudmila “Ljuda” Samsonova, nativa di Olenegorsk, il cuore diviso fra Russia e Italia, sentiremo – non c’è dubbio – ancora parlare.

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Djokovic contro i bassi salari dei colleghi: “È un fallimento per il mondo del tennis”

Il giocatore più vincente di sempre scende dal trono per abbracciare per primo la causa comune dei tennisti oltre la top 100: l’attacco di Nole ai bassi salari

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Novak Djokovic - US Open 2023 (Twitter @usopen)
Novak Djokovic - US Open 2023 (Twitter @usopen)

Il lavoro nobilita l’uomo. Il tennis professionistico è un lavoro. Il tennis professionistico nobilita l’uomo. Siamo sicuri? Novak Djokovic non sarebbe d’accordo. Da sempre attento ai diritti del mondo della racchetta, il campione serbo tuona sulla situazione dei salari per i colleghi al di fuori della top 100. E sì, perché né lui né Carlitos né tantomeno il nostro caro Jannik rischiano di restare con le tasche vuote: oneri e onori di aver scalato l’Olimpo del tennis e sedere sulla cima. Ma tutti gli altri?

“Sono stato al posto di tutti quei tennisti che ora hanno gravi difficoltà economiche. Capisco la loro fatica e le loro difficoltà, so i problemi che hanno nel dover pagare le trasferte, gli allenatori e i fisioterapisti”, dichiara Nole in un’intervista. “Alla fine, se non hai il sostegno di una federazione forte, avrai sempre grossi problemi. Io vengo dalla Serbia e non avevo aiuti. Ora ho una certa influenza e voglio utilizzarla per migliorare le condizioni degli altri“, asserisce convinto. Insieme al canadese Vasek Pospisil, il campione serbo è attualmente il principale esponente – oltre che fondatore – della PTPA (Professional Tennis Players Association), nata nel 2020 tra non poche critiche di divisionismo: tra le altre, quelle di un certo Roger Federer e di un altro che si chiama Rafael Nadal. Ma non roviniamo il panegirico a Djokovic, chiusa parentesi.

“Solitamente si parla di tennisti che partecipano allo US Open e che guadagnano tanto, degli altri nessuna traccia”. Ma ci sono, e sono tanti: molti di più di quelli (più) conosciuti, tifati e pagati. “Ci sono tantissimi tennisti che non riescono a guadagnarsi da vivere con il tennis: maschile, femminile o doppio. Solo quattrocento giocatori tra tutti riescono a vivere di tennis, il resto no. È una cifra bassissima per uno sport mondiale come il nostro, un vero fallimento per il mondo del tennis”, prosegue Nole. A mettere il dito nella piaga ci pensa Ons Jabeur che – coinvolta anch’ella nei progetti PTPA – sottolinea: “Prima nessuno mi prestava attenzione, ora che sono in top 10 tutti ascoltano quello che dicono. Questo non è affatto bello”. E neanche nobile, per rispondere alla domanda su.

 

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