US Open, dopo un anno di assenza riecco Djokovic: "Non provo rabbia per quanto successo, sono contento di tornare a giocare qui"

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US Open, dopo un anno di assenza riecco Djokovic: “Non provo rabbia per quanto successo, sono contento di tornare a giocare qui”

La finale con Medvedev del 2021 l’ultima partita di Nole a New York: “Mi porto ancora dentro le sensazioni di amore e sostegno che il pubblico mi ha trasmesso durante e dopo quel match”

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Novak Djokovic - US Open 2021 (Garrett Ellwood/USTA)
 

Sul fatto che Djokovic avrebbe di gran lunga preferito tornare a New York esattamente nelle stesse condizioni – in termini di obiettivi – di due anni fa non ci piove. D’altro canto, la combinazione di risultati nelle due finali disputate contro Alcaraz a Wimbledon e a Cincinnati offre probabilmente un Nole diverso – e per certi versi migliore – da quello che si sarebbe visto in caso di doppia vittoria o, a maggior ragione, in caso di vittoria ai Championships ma di sconfitta nell’ultimo 1000 americano. Il sogno-ossessione Grande Slam, a differenza del 2021, è svanito già a Londra ma la delusione è stata ampiamente accantonata anche grazie alla straordinarietà della rivincita ottenuta in Ohio. Ne risulta così un Djokovic come al solito ambizioso e convinto delle sue possibilità ma allo stesso tempo sereno e rilassato, senza quella inevitabile tensione che lo accompagnava durante la sua ultima partecipazione allo US Open: per farla più breve, senza il peso della storia di questo sport sulle sue spalle.

Si spiegano anche così il ritorno del Djokovic imitatore nel corso della sessione di allenamento sull’Arthur Ashe aperta al pubblico, il suo sincero divertimento nel corso dell’evento organizzato da Waterdrop a Times Square (non che Nole sia solito manifestare insofferenza per questo genere di iniziative, sia chiaro) e le sue parole dai toni assolutamente conciliatori e distesi in conferenza stampa per il Media Day di venerdì. E così l’amarezza per l’esclusione dell’anno scorso a causa del suo status di non vaccinato passa assolutamente in secondo piano: “Non ho mai provato rabbia. È stato l’anno scorso, durante il torneo, che sentivo fosse un peccato che io non fossi lì. Mi sentivo triste per non aver potuto partecipare. Ma questo è il passato. Non penso a quello che è successo nell’ultimo anno o negli ultimi due anni. Mi concentro solo sul torneo di quest’anno”.

E ancora, sulle sue sensazioni al ritorno a New York dopo due anni, il serbo prosegue così: “La prima è l’emozione di tornare a giocare qui perché è la più grande arena che abbiamo nel nostro sport e, durante la sessione notturna sull’Arthur Ashe sicuramente, anche l’atmosfera più divertente, elettrica ed eccitante che ci sia nel tennis. Sono entusiasta di poter giocare nella serata inaugurale di lunedì e tornare così davanti ai tifosi probabilmente più rumorosi nel nostro sport. Non vedo l’ora di farlo. Sono passati due anni dall’ultima volta che ho giocato qui quando ho perso la finale contro Medvedev nel ’21. Quel giorno non ho giocato bene, ma quello che ho sentito dal pubblico, quel tipo di legame, di amore e di sostegno che mi hanno dato per tutta la partita e anche durante la premiazione, è qualcosa che porto ancora nel cuore, e sento ancora le vibrazioni di quella notte e cercherò di sfruttare questa sensazione per il torneo di quest’anno”.

LA RIVALITA’ CON ALCARAZ E LA FINALE DI CINCINNATI – I temi su cui Djokovic è stato sollecitato dai giornalisti presenti sono stati comunque diversi e tra questi non poteva mancare la sua nuova bellissima rivalità con Alcaraz (durante le prossime due settimane tornerà in palio anche il trono della classifica ATP): “Carlos è il numero 1 al mondo. Negli ultimi due anni è stato sicuramente uno dei migliori giocatori al mondo. C’è sempre un occhio dal mio team che lo segue e so che probabilmente lo stesso vale per me da parte loro. Ci seguiamo a vicenda”.

Mi spinge sempre al limite. Credo di fare con lui più o meno la stessa cosa. È per questo che abbiamo dato vita a una finale memorabile a Cincinnati. È stata senza dubbio una delle finali migliori, più emozionanti e più difficili a cui abbia mai partecipato in un match al meglio dei tre set in tutta la mia carriera. È per questo che mi sono steso a terra dopo aver vinto, perché è stato come vincere uno Slam, ad essere sincero. È stato così impegnativo ed estenuante a livello fisico che mi sono sentito esausto durante i giorni successivi. Questi sono i momenti delle partite che mi spingono ancora all’allenamento, al sacrificio, all’impegno quotidiano. A 36 anni ho ancora tanta voglia, amo la competizione e penso che quelle particolari circostanze in cui si sperimentano le avversità in campo, in cui le cose non vanno nel modo giusto sono la migliore opportunità possibile per imparare qualcosa”.

L’ANOMALIA DELLO US OPEN – Da quando nel 2008 Federer vinse il suo ultimo US Open arrivando a quota cinque, rigorosamente consecutivi, nessuno è più riuscito a vincere per due anni di fila l’ultimo Slam della stagione. Così è stato chiesto a Nole quale possa essere il motivo e quali siano le peculiarità di questo torneo rispetto agli altri major anche dal suo specifico punto di vista: “Il mio bilancio nelle finali degli US Open è il peggiore di tutti gli Slam, credo. Ho perso alcune finali molto combattute e altre le ho vinte. Ma in generale credo che la costanza dei risultati qui sia stata piuttosto buona. È l’ultimo major dell’anno. Prima ci sono otto lunghi mesi di tennis per tutti i giocatori. Forse è questo il motivo per cui in questo Slam di solito ci sono più sorprese rispetto agli altri”.

OBIETTIVO QUOTA 24 – Nole ha confermato di starsi divertendo in queste giornate di vigilia rispetto all’inizio del torneo, ma da lunedì si fa sul serio: “Di solito prima dell’inizio del torneo sono in città. Una volta iniziato il torneo, però, entriamo in modalità di isolamento totale. Un mio amico ha una bellissima tenuta con campi da tennis nel New Jersey. Ci stiamo solo io e la mia famiglia. Ci rilassiamo. Nei giorni di riposo tra una partita e l’altra è bello ricaricarsi per tornare in campo con più energia. La città è fantastica, ma dopo un po’ inizia a essere una distrazione. Quando inizia il torneo, c’è bisogno di tranquillità e di affrontare le cose giorno per giorno”.

Gli Slam sono i miei obiettivi maggiori al momento. Non so quanti altri ne avrò. Al momento non ho in mente una data di fine carriera. Capisco anche che a 36 anni le cose sono diverse, quindi devo essere più riconoscente, un po’ più presente, trattando ogni Slam come se fosse l’ultimo in termini di impegno e prestazioni. Vedo ogni Slam che gioco in questo momento come un’ulteriore opportunità d’oro per entrare nella storia”.

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