È morto Bud Collins, un vero gigante del tennis

Editoriali del Direttore

È morto Bud Collins, un vero gigante del tennis

È morto oggi Bud Collins, decano del giornalismo sportivo. Columnist del Boston Globe, commentatore per CBS, NBC e ESPN, Hall of Famer nel 1994. Se ne va uno straordinario uomo, scrittore, intrattenitore. Il ricordo di Ubaldo Scanagatta

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Il video dedicato dalla ESPN a Bud Collins

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La piccola libreria di Ubitennis: Rod Laver, (Bud Collins) e il grande Slam del 1969

È morto Bud Collins, un grande, grandissimo del giornalismo, forse lo scrittore più noto nel mondo del tennis, non soltanto negli Stati Uniti dove era nato 86 anni fa, a Lima nell’Ohio per crescere poi in un sobborgo di Cleveland.

Un’enciclopedia viaggiante, e non solo l’autore di una straordinaria enciclopedia “Bud Collins Modern Encyclopedia” che qualunque appassionato di tennis dovrebbe avere nella sua libreria (in quello che ho io la sua dedica è “For Caro Ubaldo, the Firenze Flash, good friend along the trail of the Fuzzy Ball, saluti complimenti, Collini”).

Sì con noi si divertiva a farsi chiamare Collini, sapeva dopo tanti anni e tante visite all’Italia, da Nord a Sud, pochissime parole, ma le pronunciava benissimo, che quasi pareva sempre potesse proseguire.

Di libri ne ha scritti diversi altri, quasi tutti best seller negli Stati Uniti, incluso il famoso “My Life with the Pros” che racconta la sua vita con i grandi del tennis. Lì la dedica è di nuovo per “Firenze Flash”, e la chiusa è “Boca Lupo, auguri!”

È morto un amico, un carissimo amico, una persona che stimavo tantissimo per mille doti, non solo quelle di scrittore, e con la quale abbiamo vissuto centinaia di Slam fianco a fianco. In sala stampa, nelle tribune degli stadi di tutto il mondo, a cena insieme migliaia di volte, la più parte con Gianni Clerici e Rino Tommasi, giocando a tennis insieme e contro un po’ dappertutto nei tornei per giornalisti che aveva inventato con una formula “Fingers Fortescue” che consentiva di esaurire un minitorneo di doppio per una cinquantina di colleghi nell’arco di una sola mattinata – a New York, come sull’erba dei club vicino a Wimbledon, in Florida, a Roma, in Australia – ospitandoci a vicenda, da lui a Boston insieme a mia moglie, da me a Firenze insieme alla sua prima compagna, la  bionda Judy (morta per un tumore al cervello ma madre del suo unico figlio Rob), alla sua seconda moglie, la bruna Mary Lou (anch’ella incredibilmente uccisa 4 anni dopo il loro matrimonio da un tumore al cervello) e poi anche la terza, Anita Ruthling Klaussen che lo ha assistito amorevolmente in questi ultimi anni davvero sofferti, perché il vecchio amico era ormai diventato vittima del Parkinson e negli ultimi anni aveva passato purtroppo tante settimane, anno dopo anno, in troppi ospedali. Non voleva mollare, Bud, voleva continuare a venire a tutti i tornei di tennis che aveva sempre seguito e amato. E Anita, sua fedelissima ultima compagna, lo assecondava in ogni suo desiderio.

In questo “non voler mollare” non è molto diverso dal suo amico Gianni che a 84 anni non salta un Roland Garros o un Wimbledon, così come Rino finché il fisico glielo ha permesso è venuto sempre a Wimbledon.

Bud adorava Roma, era stato in visita dal Papa senza essere cattolico, adorava le fettuccine e il cibo italiano, era molto più entusiasta che critico per il tifo caloroso degli italiani anche quando invece Gianni Clerici se ne imbarazzava e ribattezzava “italopitechi” certi tifosi troppo esagitati (e talvolta pure scorretti): “British may have invented tennis, but Italians humanized” scrisse come in una fantastica epigrafe all’indomani di una fantastica galoppata di Adriano Panatta quando nel ’76 trionfò al Foro Italico.

Bud era venuto a Flushing Meadows l’anno scorso, in sedia a rotelle, quando gli organizzatori dell’US open avevano deciso di intitolare a suo nome la sala stampa del torneo. Ma già ogni anno durante ogni US Open, con l’aria un po’ afflitta e sorrisi sforzati, ma sempre indossando quei pantaloni assolutamente improbabili, varipinti e multicolori (come i suoi articoli) che si faceva fare dal suo sarto di Boston, si sedeva in un posto della tribuna d’onore e quando compariva sui megaschermi dell’US Open i 20.000 spettatori dell’Arthus Ashe immancabilmente si alzavano tutti in piedi per una standing ovation commovente quanto scontata e senza che nessuno l’avesse richiesta.

Columnist del Boston Globe fin dai primi anni Sessanta, Bud ed entrato nella Hall of Fame del tennis a Newport nel 1994 e da allora uno dei più tenaci promotori di essa (fu lui a fare lobby negli USA perché venisse accettato Gianni Clerici in una Hall of Fame al 90 per cento riservata ai campioni e si batteva perché anche Rino ed il sottoscritto venissero a farne parte: da qualche anno eravamo stati aggregati al gruppo di coloro che ogni anno votano per accettare o bocciare i campioni ed i personaggi del grande tennis “nominati” ma non ancora eletti) era stato uno dei primissimi giornalisti della carta stampata a infrangere la tradizione americana che distingue nettamente i giornalisti televisivi dagli altri.

Le sue interviste televisive sono rimaste memorabili.

Ma per dare un’idea dei suoi scritti basterebbe forse l’attacco del suo primo articolo comparso sul Boston Globe nel 1963 quando fu inviato a seguire a Adelaide in Australia una finale di Coppa Davis Australia-USA: “This is another world,” he began, “where Christmas comes in the Summertime, the Davis Cup matches come the day after Christmas, and both events have achieved such spectacular acceptance that they are regarded almost as seriously as beer drinking”.

La traduzione non rende l’efficacia: “Questo è un altro mondo – era il comincio – dove Natale arriva d’estate, dove gli incontri di Coppa Davis cominciano il giorno dopo Natale e i due eventi sono accettati in un modo così importante che vengono considerato quasi importanti come una bella bevuta di birra”.

“Nessun giornalista nella storia è mai stato così importante per uno sport come Bud Collins lo è stato per il tennis – ha scritto il comune amico Mike Lupica, corrispondente per 30 anni del New York Daily News e commentatore per ESPNBud è stato de facto l’ambasciatore di uno sport che doveva ancora esplodere nel Paese. Ha educato, ha intrattenuto”.

Dal 1972 al al 2007 Collins ha appassionato e divertito gli americani con quella trasmissione per la NBC che, per via del fuso, era stata chiamata “Breakfast at Wimbledon”. “Wimbledon è il vero, verissimo “campionato dell’Universo”” dichiarava Bud all’inizio delle sue trasmissioni.

È stato un gigante del suo mestiere e non l’ha mai fatto pesare, non è mai sembrato per un attimo presuntuoso o arrogante.

Vorrei avere più tempo per poterne scrivere di più, ma anche per ricordare tanti aneddoti che pochi possono conoscere né immaginare.

Per ora penso soltanto a lui, all’amico Bud, con le lacrime agli occhi. Che ti sia lieve la terra Bud, magari la terra rossa che amavi tanto.

Un vero gigante del tennis e un amico ci ha lasciato, ma non lo dimenticheremo.

Nessun giornalista più di Bud Collins negli Stati Uniti è stato più importante, ed apprezzato, nell’ambito del proprio sport. Uno scrittore straordinario, un’Enciclopedia viaggiante e un “hall of famer” dei più stimati.

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