Nishikori riesce a farsi male da solo (Clerici), Il campione fa da coach Utile o solo marketing? (Crivelli), A Parigi Murray va, Raonic si ferma (Mancuso), Rogers, finalmente sono lacrime di gioia (Clemente), Chi non risica non rosica. Capito Raonic? (Azzolini), Murray e Wawrinka si scaldano (Garofalo)

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Nishikori riesce a farsi male da solo (Clerici), Il campione fa da coach Utile o solo marketing? (Crivelli), A Parigi Murray va, Raonic si ferma (Mancuso), Rogers, finalmente sono lacrime di gioia (Clemente), Chi non risica non rosica. Capito Raonic? (Azzolini), Murray e Wawrinka si scaldano (Garofalo)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Nishikori riesce a farsi male da solo

 

Gianni Clerici, la repubblica del 30.05.2016

 

Consapevole della mia modestia nei confronti di Alessandro Manzoni che, se ricordo, si rivolgeva a 25 lettori, mi trovo oggi soverchiato dalla quantità e dalla supposta qualità di molti avvenimenti sportivi, che vedo illuminarsi sugli schermi dei miei vicini di banco. Vedo frammenti del match di San Siro tra Atletico e Real, automobili in panne sul famigliare lungomare di Montecarlo, il prode Nibali in trionfo. Cosa potrei dire del tennis d’oggi, mentre sto assistendo al previsto successo di un Wawrinka su Troicki che, forse a causa del passaporto serbo, non ha potuto fruire dell’intervento della Madonna di Medjugorje, bosniaca. Quel che più mi ha sorpreso, in simile pomeriggio di semipioggia, è stata la presenza, nel palchetto di Raonic, di John McEnroe, la cui partecipazione ritenevo ormai legata a gruppi di fanatici chiamati “We are tennis”, tentativo di trasformare l’amore per un gioco nel fanatismo nei riguardi di uno sport. Il mio concittadino Riccardo Piatti, coach di Raonic, mi diceva l’altro giorno che con l’americano era stato concordato qualcosa che non oserei chiamare contratto, ma piuttosto un patto secondo il quale il guadagno per la collaborazione di John sarebbe stato devoluto alla Croce Rossa. Senza volerlo quella buona intenzione ha forse congiurato con la sconfitta di Raonic, propiziata anche dal campo lentissimo, dalle palle Inzuppate e dall’iberico Ramos Vinolas abilissimo, come tutti i pelotari, nella specialità di rinviare la palla oltre la rete. Tanto è bastato, anche se mi sono chiesto se l’attuale moda di ammettere alla propria nota spese un ex campione sia di qualche utilità. Ne parlavo con un mio amico ed ex vincitore di Wimbledon ’72, Frew McMillan, che si limita alla umile attività di telecronista, e mi sentivo dire che, forse, gli attuali ex campioni eletti a consulenti andrebbero chiamati “Story teller”, e cioè una sorta di dada capace di raccontare le fiabe. Un altro degli ottavi di finale, e cioè dei match di quarto turno per essere ammessi ai “primi otto”, capace di sollevare addirittura qualche “ola”, si è svolto tra quell’attore drammatico mancato di Murray, e il giocatore di basket americano fallito, Isner. Isner era giunto sin qui facendo meglio del battitore infuocato Karlovic, e cioè 95 aces in 12 set. Oggi i suoi modesti 7 assi non mi erano parsi utili con un Murray ancora lontano dai brillii che gli avevano permesso di dominare Roma, e tuttavia migliorato dalle due penosissime partite in cinque set dei due primi turni contra il seduttore boemo Stepanek e il baby francese Bourgue. In simile pomeriggio scoraggiante ci è venuto alla fine in aiuto un “enfant du pays”, Gasquet che si riteneva, se non proprio perduto, semifallito, dopo le grandi vittorie infantili ( Petit As ) e le successive promesse. Il giapponese Nishikori, e il suo coach Chang non sembravano informati del dettaglio che il francese fosse in possesso di un rovescio ben più pericoloso del diritto, e Nishikori si è intestardito ad accanirsi sull’avverso angolo sinistro, ricevendo così gravi danni per due set. Venti minuti negativi di Gasquet non erano sufficienti a illuminare il piccolo giapponese, che riprendeva la sua involontaria collaborazione e consentito così un inatteso accesso ai quarti di finale a chi ci si era invano provato ben tredici volte. Mi pare ragionevole concludere questo tentativo di articolo con la notizia del thermos. Portando con me un thermos vuoto sono stato respinto dai poliziotti sino all’inizio dei viali paralleli al Tennis, in cui sono posteggiati i depositi bagagli, nei quali ho posteggiato l’arma. Ho così contribuito a sventare un possibile attentato, e ne sono fiero.

 

Il campione fa da coach. Utile o solo marketing?

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 30.05.2016

 

Otto Slam in tribuna, neppure una finale Slam in campo. Intristiti dalla pioggia che non dà tregua, i parigini riscoprono la vena caustica e si divertono alla fresca battuta appena coniata per il buon Raonic, strapazzato dallo spagnolo Ramos Vinolas ma creatore dell’ultima moda tennistica: non più un ex numero uno come allenatore, ma addirittura due. Vale a dire: oltre a Piatti, Moya (vincitore qui nel 1998) e la new entry McEnroe (sette Majors), che si aggiunge al nobile elenco di stelle leggendarie finite dall’altra parte del cielo, da Lendl a Edberg e Becker passando per Connors, Navratilova, Wilander, Davenport, Mauresmo e la Henin…..Mac, sugli scranni del Chatrier, ha il volto un po’ corrucciato, ma come spiegherà Milos, «adesso abbiamo tre settimane per preparare Wimbledon e io avevo bisogno di qualcuno che mi desse una prospettiva diversa per la stagione sull’erba. Tuttavia non ci limiteremo a quello, io cerco di migliorare in ogni aspetto e John sarà di grande aiuto». I tempi cambiano, come cantava Bob Dylan: più di trent’anni fa, quando Lendl scelse Tony Roche per sfatare la maledizione dei prati londinesi, l’australiano era l’unico allenatore sul circuito ad aver vinto una Slam. Non solo: i grandi coach degli anni ’90, come Stefanki, Cahill, Annacone o Gullikson erano reduci da buone carriere, non certo da superstar, mentre ora tantissimi campioni, non solo tra gli ex numeri uno, hanno scelto quella strada, basti pensare a Chang, Bruguera, Ivanisevic e Ljubicic. ITALIE’ E MARKETING Interrogati sul beneficio di avere a fianco cotanti ex fenomeni tennistici, gli eroi di oggi, Djokovic e Murray (che ha aperto la via con Lendl) in testa, danno sempre la stessa risposta: è una questione di mentalità, chi era abituato a vincere molto e a gestire partite senza un domani come sono appunto le finali Slam, pub trasmettere quell’esperienza e modificare la tua attitudine psicologica alle grandi sfide. Lo stesso Federer ebbe più volte a dire che ad Edberg, più che consigli tecnici, chiedeva ispirazione, esaltato dall’idea di avere una leggenda nel proprio team. Dunque, il lavoro tattico e di preparazione viene affidato agli allenatori della prima ora (Luthy per Roger, Vajda per Djokovic, ad esempio) e i campionissimi di un tempo svolgono il ruolo di motivatori-superconsulenti, anche perché non riescono a seguire tutto l’anno i loro pupilli. C’è poi l’aspetto del marketing e dell’impatto mediatico, che non riguarda solo i guadagni (10-15.000 euro a settimana, alcuni poi prendono bonus legati ai risultati): la presenza di idoli del recente passato accresce l’interesse e coinvolge ancora di più gli appassionati, tenendo insieme quelli di ieri e di oggi. Tutto oro che luccica, insomma, se non fosse per i rischi paventati da Brad Gilbert, lui sì eccellente tecnico (di Agassi, in primis) e anche mente e lingua sveltissima: «Non sempre un grande giocatore diventa un grande coach…..

 

A Parigi Murray va, Raonic si ferma

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 30.05.2016

 

Chissà cosa avrà pensato John McEnroe guardando il top ten Milos Raonic franare negli ottavi al Roland Garros contro Albert Ramos-Vinolas, fuori dai primi 50 del ranking: 6-2 6-4 6-4 per lo spagnolo. Dovrà riflettere molto SuperMac e con lui il 25enne canadese. Sicuramente l’ex n.l, inserito nel team dell’allievo di Riccardo Piatti quale “consigliere” per la stagione sull’erba, potrebbe trasferire al tennista di origini montenegrine un pizzico di personalità. Quella che fa la differenza fra un buon giocatore e un campione. Ringrazia Stan Wawrinka, che vede sempre più in discesa la strada per la semifinale: nei quarti lo attende proprio Ramos-Vinolas. Il campione in carica del torneo ha risolto con qualche sofferenza di troppo (7-6 6-7 6-3 6-2) la pratica Troicki, che con Djokovic ha in comune solo la città natale, Belgrado. Tra uno scroscio e l’altro di un maggio mai così piovoso, prosegue il cammino di Murray formato Amleto di Shakespeare. “To be, or not to be”, essere o non essere, recita l’Andy parigino nei suoi lunghi soliloqui. Cinque set contro il 37enne Stepanek, idem con lo sconosciuto Bourgue, un tranquillo intermezzo con il gigante Karlovic, qualche rischio contro l’altro spilungone Isner. Tre set point annullati all’americano nel tie break del primo parziale: 7-6 (9) 6-4 6-3. I tabloid britannici hanno sparato la “bomba” di Sir Alex Ferguson nuovo coach (mentale!) dello scozzese, che ha da poco “divorziato” dalla Mauresmo, mamma a tempo pieno. Sì, proprio colui che ha guidato il Manchester United per 27 anni vincendo 13 Premier League e 2 Champions League. Che c’entra con il tennis? Oggi si completa il quadro dei quarti: in campo Djokovic.

 

Rogers, finalmente sono lacrime di gioia

 

Valentina Clemente, il corriere dello sport del 30.05.2016

 

Per chi si lamenta che il tennis femminile sia ad uso e consumo di Serena Williams, e poche altre, una bella rivoluzione americana potrebbe essere all’orizzonte. E se le premesse verranno mantenute Shelby Rogers potrebbe imporsi come un nuovo punto di riferimento, per il gioco espresso e per l’allegria che sa diffondere. Bionda, 23 anni, con radici nella Carolina del Sud, l’americana ha raggiunto ieri perla prima volta i quarti di finale di uno Slam, cosa non da poco se si tiene conto che prima d’arrivare a Parigi il suo ranking la vedeva fuori dalle Top 100 (108). Tuttavia, incontro dopo incontro, è riuscita a costruire il suo piano di battaglia specie quando, contro Petra Kvitova, si è trovata a dover resistere (mentalmente) al ritorno della Top Ten ceca in un match assimilabile alle montagne russe (6-0 6-7 6-0), Shelby ha un sorriso che conquista, nonostante sia stata lei stessa ad ammettere che le lacrime fanno parte del suo quotidiano, perché le emozioni non sono un capitolo facile da gestire, ma lei ci sta provando per tentare di crescere in turo sport, come il tennis, che richiede un’educazione superiore in questo senso. «Piango sempre (ride – ndr): quando sono felice, quando sono triste, leggendo un libro o guardando un film. Le lacrime escono sempre troppo facilmente». Eppure ieri contro Irina Camelia Begu (6-3 6-4) ha mostrato una solidità da veterana, senza lasciarsi intimorire dal palcoscenico del Suzanne Lenglen. «C’era un’atmosfera magnifica e mi sono divertita, credo di essere stata abbastanza solida dall’inizio del torneo (battute tre Top 30 – ndr), perché fin dal primo successo contro Karolina Pliskova sono stata capace di provare qualcosa. Rimango comunque con i piedi per terra perché questa è solamente un’altra vittoria e spero di poter continuare cosi». Destinata oramai ad impersonare il “black horse” del torneo, gli angloamericani hanno già puntato sulla Rogers perché, comunque vada, l’unica vera sorpresa positiva è stata proprio lei: «Se qualcuno mi avesse suggerito un risultato del genere dieci giorni fa, gli avrei risposto “fantastico: Però nessuno mi ha preparato e ad esser sincera mi sembra ancora meglio di quello che ho sempre pensato, voglio godermi al massimo questo momento». Ad aiutare Shelby in questo cammino la sorella che, se da piccola l’ha preceduta sui campi da tennis, ora l’aiuta come psicologa, per farle affrontare gli altri e bassi della vita da tennista. «Penso che un giocatore debba essere pronto ad entrare in campo settimana dopo settimana, senza farsi sormontare dalle aspettative, ma cercando d’entrare in una sorta di routine, anche quando le cose prendono un’altra dimensione. Vittorie e sconfitte fanno parte di un processo, l’importante è non farsi trasportare troppo in alto o troppo in basso dalle proprie emozioni, ma concentrarsi sulle piccole cose di ogni giorno per migliorare il proprio percorso professionale».

 

Chi non risica non rosica. Capito Raonic?

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 30.05.2016

 

Ah, signora mia, non ci sono più i mezzi attaccanti di una volta. Gli altri, quelli veri, cento per cento servizio e volée, non ci sono più da un pezzo. L’ultimo, su queste lande rosse, studiate per essere un po’ più leste ma rese desolatamente acquitrinose da due spruzzi di pioggia, è stato Yannick Noah, tennista acrobata, funambolo per eccelse doti fisiche e per non aver mai imparato a tarare un dritto come si deve. Era 111983, e fanno 33 anni giusti giusti. Prima di lui Adriano Panatta, uno degli ultimi signori del gioco a rete. Atteso qui per celebrare i quarant’anni della sua vittoria con il ruolo di gran cerimoniere nella premiazione di domenica. E vale la pena ricordarli quegli anni così preziosi e stimolanti, così innamorati di qualsivoglia invenzione potesse irrorare il tennis di quel forte impulso alla libertà di pensiero che inondava di sé il sentire comune. Anni in cui per annulla- Ottavi fatali al canadese che si fa mettere sotto dallo spagnolo Ramos. Lerrore è stato quel lo di non provare mal ad attaccare re un match point contrario in primo turno (e capitò proprio a Panatta, contro il ceko Pavel Hutka) si ricorreva a una costruzione raffinata di colpi ad altissimo rischio: un attacco sulla seconda di servizio, una volée in appoggio per assumere il controllo della rete, una veronica per evitare raggiri con il pallonetto, e infine una volée in tuffo sui passanti stretti stretti dell’avversario. Più niente, dopo. Né McEnroe nel 1984, l’anno del suo dominio più netto (86 vittorie e tre sole sconfitte) e della sua sconfitta più dolorosa (contro Lendl, proprio a Parigi), né Edberg nei Novanta, superato da Chang, l’o-mino ora un po’ pelato che insegna a Nishikori a essere più ribattitore di quanto non fosse lui, ma non così lucido da disinnescare il rovescio di un Gasquet ispirato e alla fine vincente. «Se vince Chang», fu la sfida di McEnroe, «faccio la telecronaca a testa in giù»….E siamo qui a lamentarci ancora, orbati finanche di quegli attaccanti che attaccanti non sono, tutt’al più mezzi, ma che di tanto in tanto architettavano qualche buona sortita, vuoi sulla spinta del servizio, vuoi per sottrarsi alle spallate dei ribattitori belluini di oggi, autentici orchi mannari della linea di fondo. Gli ultimi a lasciarci, strapazzati a dovere più che battuti, sono stati Milos Raonic e John Isner, accomunati solo dalla potenza del servizio, e fra loro differenti per molti aspetti, ma fra i pochi a rifinire qualche punto a rete. Raonic in particolare (Isner s’è arreso a Murray, e ci sta) si è fatto montare in testa da Ramos Vinolas, spagnolo alla prima avventura nei quarti dello Slam, ma pur sempre di categoria inferiore, di quelli destinati a perdere ogni qualvolta s’imbattono nei loro simili di rango più elevato. Ed è stato un peccato vedere il canadese auto-punirsi d’infiniti errori, costringendosi a fondo campo senza mai tentare la sorte più avanti. Perché poi? Ed è questa la domanda che resta senza risposta. Una delle tante, se volete. Perché gli attaccanti di oggi, sul rosso, preferiscono lottare da fondo campo, del tutto digiuni di quel timing che consentirebbe qualche avanzata? Lo fanno per evitare brutte figure? Tanto le fanno lo stesso, e allora? O perché sono specialisti di un tennis a senso unico, e non sanno cambiarlo alla bisogna, ma nemmeno adattarlo quando è il caso? Li rivedremo a Wimbledon (e Raonic avrà al suo angolo McEnroe, di fianco a Piatti), pronti a darci l’illusione di essere tennisti più completi degli altri. La verità è che il tennis, un tempo, insegnava lo spirito di avventura, oggi insegna quello di autoconservazione.

 

Murray e Wawrinka si scaldano

 

Antonio Garofalo, il Quotidiano Nazionale del 30.05.2016

 

I francesi se l’erano vista davvero brutta. Depressi da un torneo flagellato dalla pioggia, prima orfano di Roger Fe-derer e poi privato di Monfils, Nadal e Tsonga, si erano aggrappati al talento di Richard Gasquet, unico superstite dei 26 transalpini (16 uomini e 10 donne) in tabellone. Ma temevano il peggio. Gasquet, 30 anni ed eterna promessa dacchè ne aveva 9 ed era comparso sulla copertina di una rivista francese suscitando mezzo scandalo, era preceduto da una fama di grande perdente. Qui, lui che era stato semifinalista a Wimbledon già 9 anni fa, non aveva mai centrato i quarti. Ma stavolta l’allievo di Sergi Bruguera (qui “roi”1993-94), trascinato dalla folla dello Chatrier tra ola e boati sciovinisti ad ogni errore del nipponico, ha riscattato una vita e annichilito il giapponese Nishikori che ancora una volta al momento decisivo si è sciolto come neve al sole (levante): in vantaggio 4-2, quasi fosse meteoropatico, dopo la sospensione per pioggia portava a casa solo un game dei successivi 10, incaponendosi sul rovescio del francese, colpo notoriamente sublime. Così Gasquet al tredicesimo Roland Garros, approda per la prima volta ai quarti. Non è mai troppo tardi per essere profeta in patria. Al prossimo turno avrà contro Murray e il pronostico. Andy Murray è l’altro pretendente alla semifinale della parte bassa del tabellone. Lo scozzese era partito in sordina: cinque set in entrambi i primi due turni. Poi però, contro i due bombar- Pattuglia sbaragliata L’unico transalpino rimasto ha annichilito Nishikori col suo rovescio sublime. Ora affronterà lo scozzese dieri del circuito, Ivo Karlovic e John Isner, le sue risposte hanno avuto la meglio. IL CAMPIONE in carica Wawrinka aveva dovuto sudare 5 set contro Rosol al primo turno, rischiando d’essere il primo campione del Roland Garros della storia a finire subito k.o. Ma ieri contro il redivivo serbo Victor Troicki, recuperato da un infortunio e da una sospensione per doping, lo svizzero è sembrato quello di un anno fa. Non è stata però una passeggiata per «Stanimal» che ha dovuto sprintare nel terzo e quarto set dopo un tie-break conquistato a testa. Nei quarti lo svizzero troverà un mancino spagnolo. No, non Nadal. Ma il più abbordabile Albert Ramos-Vinolas, catalano n. 55 ATP, cresciuto nell’ombra di Rafa, di Verdasco e Lopez. Ha sorpreso Raonic in tre set, a dispetto dei consigli forniti al canadese da John McEnroe. Quando a Garbine Muguruza (6-3 6-4 alla campionessa del 2009 Kuznetsova) hanno chiesto un commento sul mancino spagnolo, lei ha frainteso: «Che choc il suo ritiro. Stiamo parlando di Rafa, vero?»

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