Intervista "zen" a Tomas Berdych. Tra superfici, Slam e San Valentino

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Intervista “zen” a Tomas Berdych. Tra superfici, Slam e San Valentino

ROTTERDAM – Il grosso della stampa diserta l’incontro con il ceco. Lui non se ne ha a male, e regala ai pochi presenti un piccolo “autoritratto”

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dall’inviato a Rotterdam

Fatta eccezione per coloro che lo prendono in giro, bonariamente o con un po’ più di malignità, Tomas Berdych non sembra interessare a nessuno. Il ceco ha ormai trentun anni, un terzo dei quali passati nel ristretto circolo dei primi 10 tennisti al mondo, eppure è difficile trovare dei suoi tifosi sfegatati in giro per il mondo, persino in quest’era di fan club di Timea Babos e groupies di Taylor Fritz. Buona parte della ragione risiede forse nella natura di Berdych, tipo tranquillo ma non glaciale – ogni tanto fa una faccia buffa, ogni tanto si innervosisce, ogni tanto sorride – e in quella del suo tennis. Il suo look, il suo stile di gioco, i suoi risultati e in generale tutto ciò che lo riguarda sembrano l’apoteosi della normalità: per la gioia degli scommettitori vince con chi gli è inferiore, perde puntualmente con chi gli è superiore.

Se la risposta di pubblico è quella che è, quella della stampa di conseguenza non può essere troppo diversa. Come il torneo di Rotterdam ha imparato nella sua prima domenica, è una discreta impresa trovare giornalisti interessati a una conferenza pre-torneo di Tomas Berdych. E i pochi che si presentano nella sala conferenze non gli riservano grandi onori, domandandogli come prima cosa quale sia lo stato di forma… di Federer. “Non l’ho mai visto giocare così bene” risponde lui, riferendosi al loro confronto di Melbourne“Ho dovuto giocare sulla difensiva ogni momento, non c’era tempo di fare nulla tra un punto e l’altro” e tutti scrivono, diligenti, sapendo che potranno catturare l’interesse dei lettori non con il nome di chi parla, bensì con quello di chi “viene parlato”. Tomas è un tipo paziente, e il suo sorriso dimostra più e meglio di mille parole la sua abitudine a situazioni di questo genere. Anche le domande sul torneo (che ha vinto nel 2014) e sui suoi obiettivi futuri svelano presto il loro sottotesto: pensi che vincerai di nuovo? Perché non hai mai vinto uno Slam?

Lui capisce, chissà quante volte gli è già capitato. Il tennis in questo periodo è al suo picco massimo. Tutti hanno un team, un fisioterapista personale, ci si prende qualche pausa in più tra i tornei e quindi le carriere dei grandi campioni si allungano. Spero ancora di vincere uno Slam, è ciò che mi spinge a continuare” spiega, “ma so che è difficile”. Il suo ultimo tentativo è stato assumere come (super-)coach Goran Ivanisevic, uno che nel 2001 vinse Wimbledon contro ogni pronostico, ed è a lui che Berdych fa riferimento: “Lui è uno che ha trovato il modo di arrivare in fondo a uno Slam da solo, con una classifica da qualificazioni… Abbiamo anche iniziato a scherzarci sopra, lui dice che per vincere uno slam dovrei iniziare dalle qualificazioni. Ma gli ho risposto: No Goran, non mi spingo così in là, se fossi nella posizione di dover giocare le qualificazioni non saremmo neppure qui”. Lo dice con una risata leggera, come se non riuscisse neppure lui, anche volendo, ad aspettarsi più un risultato del genere da se stesso. Poi aggiunge: “Se qualcuno dovesse garantirmi al 100% che giocare le qualificazioni servirebbe allo scopo lo farei senza problemi, chiaramente”. Purtroppo per lui non è così facile.

La stampa locale ha terminato il proprio rito, ma Tomas sembra di buonumore e a suo agio nel parlare. È il momento di provare qualche domanda che almeno non sia deprimente, magari cambiando argomento. Dice di aver avuto, in allenamento, l’impressione che la superficie di Rotterdam sia più veloce degli anni precedenti. La frase ricorda da vicino quelle di molti dei partecipanti agli ultimi Australian Open: che il circuito abbia deciso di tornare a velocizzarsi un po’? “È sempre stata la domanda che gira, quando le superfici stavano venendo rallentate ci si domandava se fosse davvero il caso, adesso magari la cosa si sta capovolgendo… È difficile dirlo, la domanda va fatta a chi fa i campi. Per noi giocatori al massimo è una sensazione. Forse l’innalzarsi del livello, il fatto che tutti colpiscano più forte, dà l’impressione che la palla vada più veloce? Sarebbe bello sapere da chi materialmente costruisce i campi se qualcuno sta cercando davvero di renderli più rapidi. Non dipende davvero da noi giocatori”. Di nuovo un certo senso di rassegnazione nei confronti delle mille cose che lo circondano, e riguardo le quali sente di non avere molto potere.

Oltre al suo atteggiamento “zen” – se così si può chiamare – dalle parole di Berdych affiora anche una consapevolezza tecnica superiore a quella di numerosi colleghi, che spesso si affidano più che altro a un mix di sensazioni e consulenze. Invece lui parla degli aspetti tecnici del proprio tennis come della composizione delle varie superfici su cui lo gioca, mostrando a riguardo, se non competenza, almeno coscienza. Il clima è sereno, così qualcuno dell’organizzazione gli domanda se lui e sua moglie abbiano dei piani per San Valentino. La risposta è nel mood delle precedenti: “Ester mi segue sempre, ma questa settimana specialmente l’ho voluta portare con me proprio per passare San Valentino con lei. Nulla di troppo movimentato, andremo a cena da qualche parte… almeno, vorremmo: qui a Rotterdam tutti i posti che abbiamo provato a prenotare erano al completo!” Sembra una piccola congiura cosmica. Tomas però è pienamente consapevole anche della fortuna che ha a fare quel genere di vita e, ancora una volta, ci sorride su.

Bisogna sgomberare la sala, c’è spazio soltanto per un’ultima domanda. “È un pochino cattiva, mi dispiace”. Lui alza le spalle, come a dire: spara. Il bersaglio è l’elefante nella stanza: Ti senti mai sottovalutato, poco considerato? Sei sempre tra le teste di serie ma non vieni considerato spesso né un potenziale vincitore, né un nome da intervistare… “Beh, cosa vuoi che ti dica? Se sei nell’era di Roger e Rafa e Novak e Andy è piuttosto difficile arrivare ad occupare i loro posti. Poi credo sia anche un fatto di personalità. Io caratterialmente sono un tipo calmo, magari non quello che attrae molto l’interesse delle persone. Ma va bene, non c’è da farne un dramma: è semplicemente così che sono fatto”. Se questa conferenza stampa fosse stata una sfida – e in un certo senso lo è stata – Tomas Berdych la avrebbe vinta. 6-0 6-0, con classe.

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