Nadal da far paura: concede solo un game. Djokovic, che fatica sotto gli occhi di Agassi (Garofalo). Nadal è straripante, Djokovic difficilmente guarirà (Clerici). Il ciclone Nadal scuote Parigi. Nole litiga ma resta in piedi (Crivelli). «Wawrinka teme il gioco di Fognini» (Azzolini). «In missione gratis per il tennis. Riporterò Djokovic al vertice» (Cantalupi). Terra? Macché, cemento. Ed è allarme infortuni (Clemente)

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Nadal da far paura: concede solo un game. Djokovic, che fatica sotto gli occhi di Agassi (Garofalo). Nadal è straripante, Djokovic difficilmente guarirà (Clerici). Il ciclone Nadal scuote Parigi. Nole litiga ma resta in piedi (Crivelli). «Wawrinka teme il gioco di Fognini» (Azzolini). «In missione gratis per il tennis. Riporterò Djokovic al vertice» (Cantalupi). Terra? Macché, cemento. Ed è allarme infortuni (Clemente)

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Nadal da far paura: concede solo un game. Djokovic, che fatica sotto gli occhi di Agassi (Antonio Garofalo, La Nazione)

Parbleu, che contrasto! Rafa Nadal, testa di serie n.4 ma favorito n.1, ha concesso un solo game (6-0,6-1,6-0: è durata 90 minuti solo perchè Rafa fra i punti se la prende sempre molto comoda) all’impotente Nikoloz Basilashvili, nato 25 anni fa a Tbilisi, la stessa città in cui era nato Alexander Metreveli, finalista a Wimbledon 1973, quando i georgiani erano sovietici. Invece Novak Djokovic, testa di serie e favorito n.2, ha dovuto sudare sette camicie, rompere una racchetta (evitando l’ammonizione soltanto perché le regole non sono uguali per tutti), farsi richiamare per perdita di tempo (time violation), imprecare fino a buscare l’ammonizione per «verbal abuse», sbagliare ben più del solito (55 errori gratuiti!), soffrire per 199 minuti e 5 set per venire a capo dell’argentino Diego Schwartzman, n.41 Atp e due centimetri… meno basso (1,70) dell’altro Diego, quello assai più celebre del Pallone. Djokovic ha scialacquato un buon avvio, avanti 4-1, finendo («Ho fatto troppi regali») per perdere il primo set mentre il suo coach in pectore Andre Agassi era in tutt’altre faccende affaccendato, fra uno sponsor (Lavazza) e l’altro (Longines). Giunto in tribuna sul 4-3 del secondo set, il promesso coach, annunciato dal brusio degli spettatori e avvistato solo nel megaschermo dallo stesso Djokovic («Eravamo d’accordo che il suo impegno finisse giovedì. Lui è l’uomo giusto, ma ancora non abbiamo fissato niente di preciso», con Andre che a Becker precisava «Non ho chiesto d’essere pagato»), Novak ha vinto quel set. «Ma ho avuto un altro black-out nel terzo», ha raccontato Djokovic. Buon per lui che l’argentino, mai arrivato prima al terzo turno d’uno Slam, è calato vistosamente, accusando mal di schiena fino a chiamare il medico. Negli ultimi due set Djokovic ha fatto il Nadal, perdendo due soli game: 5-7, 6-3, 3-6, 6-1, 6-1. Nole pensa positivo: «Bene che ho giocato 5 set… serve, era tanto che non succedeva». Ma siamo sicuri che non avrebbe preferito fare meno fatica come Nadal? Non l’ammetterà mai. Oggi l’ultimo superstite azzurro, Fabio Fognini sfida il favorito Stan Wawrinka: 2-1 i precedenti per lo svizzero sui campi rossi (4-1 in totale). E Murray deve temere del Potro che aspira alla rivincita della finale olimpica di Rio ma, senza più l’antico rovescio bimane, sul “rosso” è destinato a soffrire.

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Nadal è straripante, Djokovic difficilmente guarirà (Gianni Clerici, La Repubblica)

«Allora, Clerici, chi vince il torneo?». Il turista italiano ha più che diritto alla risposta. Mi vedo quindi costretto, contrariamente alle mie abitudini, ad avere un’opinione. «Credo – inizio a dire – che i favoriti fossero Nadal e Djokovic. A meno che ci sia qualcuno che mi sia sfuggito, che non ho visto». Il turista è generoso, ma forse un poco insistente. «Diciamo pure che i favoriti siano i due che dice lei, e che abbiamo visto oggi». «Dei due visti oggi – mi decido alfine – il favorito è quasi sicuramente Nadal». Rispondo, e aggiungo. «Nadal mi sembra ritornato simile a quello che fu, che ha inventato, con la Nadalada, come la chiamano in Spagna, un nuovo modo di affrontare le terra rossa. «E sarebbe?». « Il diritto mancino dall’angolo destro, o dal centro, un colpo che prima di lui non esisteva». «Ma il suo avversario mi sembrava uno qualunque, il match mi pareva un primo turno contro in qualificato». «Non proprio così. Il georgiano Basilashvili è non solo il n. 63 Atp ma uno che ha raggiunto le semifinali a Memphis, a Lione, e Sofia. Un bel ragazzone che, in conferenza stampa, sembrava sfiorare le lacrime, per quel che gli era accaduto». «Per quello score che gli aveva consentito un solo game?». «Non credo fosse il game, sul 5 a 0 nel secondo set, in cui tre insoliti errori gratuiti di Rafa, un suo buon diritto e una prima, gli avevano propiziato il gioco. Era la sensazione di inferiorità, la sensazione di non saper fare il proprio mestiere, qualcosa che mette in dubbio le scelte di una vita. Ero andato a sedermi davanti a lui con l’intenzione di dirgli che anch’io avevo subito due set terminati a zero, contro un Davis Cup australiano chiamato Quist, negli Anni ’50. Ma l’ho visto tanto abbattuto che non ho osato parlargli, poveraccio». «Non mi dirà che lei ancora prova pena per un 6-0, 6-0. Non mi dirà che lei ha sofferto anche per il duplice 6-1 finale subito da Schwartzman contro Djokovic». «Non credo ci sia qualche affinità tra i due punteggi. Schwartzman, n. 2 argentino, l’avevo ammirato contro il nostro Napolitano. Più piccolo del circuito col suo metro e settanta, è un colpitore dal fondo, rovescio bimane e diritto liftato che curiosamente termina con la gamba sinistra piegata verso l’alto. Un Djokovic in difficoltà atletica e forse umana, che nessun Agassi potrà guarire, è stato indietro di un set, in lunghi palleggi dal fondo. Poi, a partire dal quarto set, le cose sono cambiate». «Ma è stato a causa del miglioramento di Djokovic o del crollo dell’argentino?». «Di entrambe le cose, credo». A questo punto mi sono permesso di ricordare al lettore che avevo un appuntamento, e l’ho lasciato, certamente insoddisfatto. Ne aveva più di una ragione.

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Il ciclone Nadal scuote Parigi. Nole litiga ma resta in piedi (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Gli faranno un monumento, e non è un modo di dire. Nessuno più di Nadal ha impastato di emozioni e di leggenda ogni granello di terra del Roland Garros. Per questo, il presidente della Federtennis francese Bernard Giudicelli non scherza quando rivela che all’interno dell’impianto, a breve, verrà eretta una statua al vincitore di nove Coppe dei Moschettieri: «E’ un mostro, non possiamo non immortalarlo». Diventerebbe il primo giocatore ancora in attività a ricevere questo onore, e intanto il conto dei trionfi potrebbe allargarsi. Molto presto. A caccia della Decima, Rafa sta infatti affrontando la prima settimana del torneo con la furia agonistica e l’arroganza tecnica dei giorni di splendore. Il povero georgiano Basilashvili, che comunque è numero 63 del mondo e sabato scorso giocava la semifinale di Lione, raccatta un misero game e quando l’impresa gli riesce il pubblico gli tributa un’ovazione da campione del mondo. Una superiorità imbarazzante, cui fa il solletico solo un po’ di fretta alla fine, quando il maiorchino vuole chiudere per la pioggia impellente (che poi non arriverà) e marcata in particolare dal colpo più debole, il rovescio, con il quale Nadal ammette di aver un eccellente feeling da inizio anno. Nel frattempo, ottiene la 75′ vittoria a Parigi e soprattutto la 98′ su 100 match giocati sul rosso in partite tre su cinque (uniche sconfitte proprio qui, con Soderling e Djokovic) e fa addirittura meglio del 2012, quando approdò agli ottavi concedendo 17 game: adesso siamo a 15. Non si potrebbe volere di più, specialmente alla vigilia del 31° compleanno, che festeggerà oggi: «Penso di aver giocato alla grande, con molti vincenti, pochi errori e tanta profondità. Ho messo molta intensità in tutti i colpi. I record? La matematica era l’unica materia dove ho fallito a scuola… Questo non significa che i numeri non contino nulla, ma non è il momento di parlarne, ora si deve parlare del Roland Garros. Questa è l’unica cosa che conta». Secondo Moya, che lo allena dall’inizio dell’anno, il segreto è la ritrovata capacità di stare addosso agli avversari con tutta la forza del suo gioco e della sua personalità: «Io so che se riesco a tenere alto il mio livello, posso costringere chi mi sta di fronte a stare in campo più a lungo e con più difficoltà prima di battermi. Io provo a dare il meglio su ogni punto e non mi chiedo mai cos’ha in mente il mio avversario». Questa domanda, magari, andrebbe girata a Djokovic, che rimane in campo 3 ore e 19′ e per lunghi tratti finisce incartato dalla ragnatela del piccoletto argentino Schwartzman, capace di rimandare indietro tutto e stare davanti nel punteggio fino a quando gli cedono le gambe, troppo sollecitate da un ritmo che non gli appartiene. A Nole fa bene vedere apparire Agassi all’improvviso sullo schermo («Che persona speciale, in realtà lui aveva già altri impegni e dunque per adesso la nostra collaborazione doveva già essere finita»), ma il litigio nel quarto set con l’arbitro Ramos causa warning per atteggiamento antisportivo (parolacce) e relativo siparietto («Cosa stai facendo? Forse che capisci il serbo?») nonché i 55 errori gratuiti sono segnali non troppo confortanti in vista dell’attesa e probabile semifinale contro Rafa: «A volte, è necessario che arrivino partite così. Era da tempo che non giocavo cinque set e per di più su una superficie impegnativa come la terra, quindi posso dire di aver superato la sfida. Non ho giocato bene nei primi tre set, ma negli ultimi due ho rimesso tutte le cose a posto». Dovrà ritrovare in fretta il timing sulla palla e nei colpi a rimbalzo, se vorrà inquadrare l’obiettivo Nadal, perché prima potrebbe attenderlo Thiem. Salta però l’ottavo più interessante di quello spicchio di tabellone, il match dell’austriaco contro Goffin, due possibili outsider: il belga si torce una caviglia contro un telone parapioggia mal posizionato e si ritira contro Zeballos urlando di dolore. Buona fortuna.

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«Wawrinka teme il gioco di Fognini» (Daniele Azzolini, Tuttosport)

«Wawrinka lo teme». Coach Davin lo dice con quel che resta di un’antica inflessione emiliana, ricordo dei suoi giorni emiliani. I suoi allievi sono stati Gaudio, Coria, Del Potro, due vincitori di Slam e un numero due del ranking, e ora Fognini, «quello che mi diverte di più». Forse perché sotto c’è una scommessa da vincere, «dare a Fabio una base sulla quale poggiare il proprio talento». Discorso lungo, come si vede, ma la conclusione resta la stessa. «Wawrinka lo teme. E questo vuol dire che i migliori di questo sport lo considerano un outsider, forse un loro pari, e io sono convinto che sulla terra rossa lo sia davvero. Sanno che in determinate condizioni Fognini può diventare pericoloso, ha colpi in grado di creare difficoltà a tutti, nessuno escluso. Sono considerazioni che Fabio deve far sue, per portarle in campo e aggrapparsi a esse quando le difficoltà aumentano e le certezze vengono meno». Il suo impegno riguarda principalmente due parole: le “determinate condizioni”… Quelle che Franco Davin vuole trasformare in un percorso razionale nel quale Fognini possa rintracciare sempre la via di casa.

E a che punto siamo, Davin, su questa strada?

A buon punto, mi sembra. Fabio sta affrontando con determinazione questa ricerca di una nuova dimensione. Abbiamo cambiato molte cose, dall’allenamento all’alimentazione. Molto stanno contribuendo anche le vicende della sua vita, un figlio è un momento centrale per tutti, e lui è molto partecipe, ma anche molto tranquillo e rilassato. Nei primi due match parigini mi è piaciuto, contro Seppi addirittura molto. Non si è lasciato trascinare fuori dal seminato. Ha individuato come battere Andreas ed è rimasto in carreggiata fino in fondo.

Contro Wawrinka che cosa ti aspetti?

Che Fabio prosegua nella creazione di questo plafond di solidità e concretezza. Su di esso che deve mostrare quei colpi che a lui riescono così naturali. Wawrinka lo teme, dicevo, ma non per questo è meno favorito. È il numero tre del tennis, un giocatore da tre Slam che appena due anni fa alzava la Coppa del Roland Garros. Ovvio che sarà un’impresa batterlo.

Anche dare solidità a un tennista tutto bizze e talento, è un’impresa.

In qualche modo si, ma non quando il tennista in questione collabora. Il tracciato di una stagione di Fognini, fin qui, era un susseguirsi di alti e bassi, con cadute spesso evitabili. Io gli chiedo di lavorare per aumentare gli “alti”, e le capacità non gli mancano davvero.

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«In missione gratis per il tennis. Riporterò Djokovic al vertice» (Stefano Cantalupi, La Gazzetta dello Sport)

«Quello con Novak per me non è un lavoro. E un impegno». Andre Agassi lo precisa subito. La sua T-shirt, grigia come l’afoso cielo parigino, diventerà l’ombelico del mondo per ore e ore, rubando la scena ai campi. Lui, l’uomo del giorno, lo sa benissimo: il tono è da santone, ma già dalle prime battute allo stand Lavazza (di cui è testimonial) si capisce che non una singola parola gli uscirà a caso. Sul far della sera, il suo Djokovic sarà sopravvissuto alla trappola Schwartzman. Agassi compare nel clan serbo a fine 2 set, dopo aver scherzato con Becker in tv sul pupillo comune. Applaude un paio di variazioni di Nole, non si alza mai, va via durante l’ultimo punto. Il suo potrà anche non essere un lavoro, ma di impegno ne servirà parecchio per ridare il sorriso al Djoker.

Quando vedremo i primi risultati di questa sfida da coach?

Non stupitevi se Novak dovesse andare molto avanti già in questo torneo, è una persona speciale. Ho notato i primi effetti della collaborazione due giorni fa. Ho apprezzato la differenza tra il primo match e il successivo. Tra un allenamento e l’altro. C’è un processo completo da portare a termine. Non troppo veloce. Ma ogni giorno va meglio.

Se è un percorso lento, significa che avete un futuro insieme anche dopo Parigi? Lo seguirà a Wimbledon?

Se mi vorrà e se la cosa è realizzabile, darò il 100% per compiere questo sforzo. Qui l’ho allenato perché era nei miei programmi venire qui. Dovrò andarmene e sa che col mio ritmo di vita non posso essere un coach a tempo pieno, ma sono certo di poterlo aiutare.

Cosa l’ha spinta ad accettare la proposta?

Mia moglie Steffi, l’ho già detto. Ma anche il desiderio di essere utile. Quando dico che non è un lavoro, significa che mi sono dedicato a Novak usando il mio tempo e il mio denaro. Non ho bisogno di nulla.

Può raccontarci questi primi giorni di contatto?

Avevamo già parlato molto al telefono nelle scorse settimane per conoscerci, ma nulla è come vedersi di persona. Ho avuto modo di passare gli ultimi 8-9 giorni al suo fianco, ho dovuto imparare molte cose. Io, non lui. Perché gli insegnamenti servano, prima occorre che sia il maestro a imparare. A lui servono solo tre cose: ispirazione, informazione e applicazione. Poi potrà fare il resto. Ma ce la farà. Lo merita perché è un uomo di buona volontà. Dico di più: è il tennis che se lo merita, perché Novak è uno dei più grandi di sempre. Riportarlo al livello più alto è importante per me personalmente. Ma lo faccio per il tennis, prima ancora che per lui.

Nole è in cerca di risposte, ha detto. Cosa intendeva?

Per me è ovvio che ciò che gli è successo abbia poco a che fare col tennis. Novak deve andare dove troverà se stesso, non ha bisogno d’altro. Sa giocare, deve solo cercare una nuova via. Il tempo cambia, si diventa più vecchi, le domande sono diverse e vanno più in profondità. Deve trovare le sue risposte, capire come tirar fuori il meglio da questa parte della sua vita. E trasformare tutto in esperienza. Anche Murray sta facendo il suo cammino.

Cosa ci dice della cosiddetta Next Gen? Diceva che Zverev e Kyrgios possono essere le star del futuro, ma qui sono usciti molto in fretta.

Kyrgios ha un talento che parla per lui, ma deve gestirlo, perché altrimenti si ritrova in gabbia o sulle stelle senza rendersene conto. Sascha è stato sfortunato nell’accoppiamento con Verdasco, un ragazzo può anche soffrire contro uno esperto in un torneo sui 5 set.

C’è un nuovo Andre Agassi, in circolazione?

Djokovic controlla la linea di fondo come facevo io, ma le sue abilità difensive sono davvero di un altro livello. Non chiedetemi paragoni tra campioni di epoche così diverse.

Proprio qui a Parigi, nel ’99, lei completava il Grande Slam nella carriera, portandosi a casa l’unico dei quattro tornei che ancora mancava.

E’ incredibile come un momento possa spazzare via tante delusioni. Ci ero arrivato vicino molte volte. Vincere è stato importante per non avere rimpianti.

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Terra? Macché, cemento. Ed è allarme infortuni (Valentina Clemente, Corriere dello Sport)

Cadute, smorfie di dolore e abbandoni: nonostante il sole, e le temperature estive, non è iniziato nel migliore dei modi questo Roland Garros, visto che in soli sei giorni diversi giocatori hanno dovuto abbandonare il campo per infortunio (tra gli altri Almagro, Garcia-Lopez e Goffin). «Non sembra di giocare sulla terra – aveva affermato Fabio Fognini dopo la sua vittoria con Andreas Seppi – Nei campi esterni la qualità non è ottima, spesso si formano buche e questo impedisce d’avere un gioco fluido». Le alte temperature dei giorni scorsi sembrano aver avuto un effetto diretto sulla consistenza del terreno di gioco: gli scambi si velocizzano, ma la palla prende spesso effetti non prevedibili, che portano da una parte a giudicare male le traiettorie e dall’altra ad aumentare sforzi su una superficie che oppone maggiore resistenza di quella che dovrebbe. In questo quadro, giocatori arrivati a Parigi non al massimo della forma, possono aver pagato a caro prezzo i frangenti di gioco in cui, per dare di più, hanno messo sotto sforzo eccessivo il proprio corpo. Le perdite d’equilibrio, negli scambi, possono essere state maggiori proprio per l’assenza di contatto, tanto che la stessa caduta di David Goffin, costretto all’abbandono contro Horacio Zeballos, dopo aver infilato il suo piede sotto la copertura per la pioggia in uno scambio acceso, sembra teoricamente impossibile. «Non so spiegarmi quello che è successo – ha dichiarato l’argentino – Non so se sia stato un problema legato alla copertura o alla superficie che c’è sotto. Non so se sia cemento, ma in passato mi è già capitato sul duro di perdere l’equilibrio, perché perdi aderenza e ti parte il piede. Secondo me l’incidente non è legato alla copertura in sé. Sicuramente andando verso il fondo del campo la quantità della terra diminuisce, ancora di più in condizioni come quelle di questi giorni. Negli ultimi anni infatti il Roland Garros si era quasi sempre svolto con temperature più basse e nella preparazione dei vari campi sarebbe stato difficile prevedere temperature di oltre 30 gradi. Questo può aver provocato un problema di fondo, che oggi mette in difficoltà i giocatori.

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