Federer genio guastatore: scatta il piano Wimbledon (Semeraro). L'umiltà e la determinazione di Rafa (Giua)

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Federer genio guastatore: scatta il piano Wimbledon (Semeraro). L’umiltà e la determinazione di Rafa (Giua)

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Federer genio guastatore: scatta il piano Wimbledon (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Rilassato, tonificato, rinfrescato dalla sosta e dal nuovo taglio di capelli stile marine, Roger Federer oggi finalmente torna in campo sull’erba, l’amata erba, di Stoccarda. E non vede l’ora di ricominciare a vincere. «Basta, le pause sono finita,, ha scherzato Roger, che l’ultima partita l’ha giocata il 4 aprile scorso, battendo in finale a Miami Rafa Nadal «Ormai sono diventato il campione mondiale degli allenamenti, ma io voglio ricominciare ad esserlo in campo». Per dare un po’ di tregua al suo fisico da magnifico 35enne (anzi, quasi 36enne), il n.5 del mondo – che era stato assente negli ultimi sei mesi del 2016 per l’infortunio al ginocchio rimediato a Wimbledon -, come si sa aveva deciso di salare l’intera stagione sulla terra battuta dopo aver fatto una scorpacciata nei primi tre mesi del 2017 quando, oltre che Miami, si era divorato gli Australian Open (il suo 18° Slam) e Indian Wells Battendo in due finali su tre proprio il suo grande rivale spagnolo, il quale a sua volta si è poi preso tutto il resto, spadroneggiando sul rosso e vincendo il secondo Slam di stagione (e il suo 15° in carriera) a Parigi.

Un Nadal in forma strepitosa che ora guida saldamente la Race – la classifica che somma solo i risultati dell’anno solare in corso – e che a Wimbledon potrebbe ritornare anche sul trono del ranking mondiale Atp. «Domenica a Parigi contro Rafa non avrei avuto una chance, ha ammesso Federer in un’intervista alla vigilia del suo debutto nel torneo, che oggi lo vedrà impegnato contro un avversario peraltro più anziano di lui, il 39enne Tommy Haas. «Mi aspettavo che avrebbe dominato la stagione sulla terra come ai vecchi tempi Io non credevo certo di vincere gli Australian Open, e anche la Sunshine Double (la doppietta del sole fra California e Florida, ndr) è arrivata inattesa. Il decimo successo di Rafa al Roland Garros forse è stato meno inaspettato, visto che in passato aveva già vinto nove volte, ma sono comunque terribilmente meravigliato di cosa stiamo riuscendo ancora a fare noi due. Credo che abbia a che face con il momento di rilassamento di Murray dopo il suo grande finale di 2017, e con il fatto che Djokovic non sta giocando il suo miglior tennis, mentre noi ci siamo avvantaggiati dalla grande condizione fisica recuperata dopo gli infortuni dello scorso anno».

Adesso però il tempo del relax è finito, Roger ha confermato che non si fermerà più fino alla fine della stagione, e che vuole dare filo da torcere a Nadal anche nella corsa al n.1. A partire da Stoccarda, per continuare sull’erba a Halle e poi a Wimbledon, dine insegue l’ottavo centro. «Ovviamente a questo punto Rafa (che come Federer ha pochi punti da difendere da qui a novembre, ndr) ha una grande chance di finire numero uno per il quarto anno nella sua carriera. Per lui si tratterà soprattutto di evitare gli infortuni, mentre io devo riprendere il filo delle vittorie che ho interrotto a Miami (…)

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L’umiltà e la determinazione di Rafa (Claudio Giua, repubblica.it)

Sette anni sono tanti. Rafael Nadal aveva 24 anni quando tra il 2010 e il 2011 passò intere giornate con John Carlin, il giornalista inglese cresciuto in Argentina che nel 2008 aveva scritto “Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation” da cui era stata tratta la sceneggiatura del film “Invictus” di Clint Eastwood. Ora ne ha 31, e in questo tratto di vita ha collezionato molti successi e superato alcune profonde crisi. Ma quanto disse a Carlin sulle finali degli Slam, poi riportato fedelmente nella quasi-autobiografia “Rafa. La mia storia”, Sperling & Kupfer, 2011, euro 15,30), è quel che serve per descrivere come ha affrontato oggi la sua decima finale vittoriosa al Roland Garros: “Giocare a tennis contro un rivale al tuo stesso livello, o contro uno che puoi sconfiggere, sta tutto nell’elevare il tuo gioco quando è necessario. Un campione dà il meglio di sé non nelle partite iniziali del torneo, ma nelle semifinali e nelle finali contro gli avversari migliori. E un grande campione di tennis gioca al top nelle finali del Grande Slam”. Un esempio di umiltà e determinazione, confermate dall’emozione con la quale ha salutato il pubblico al termine del match a fianco dello zio Toni, l’uomo che con lui ha creato uno dei più bei miti dello sport del terzo millennio

A Parigi quest’anno Rafa ha tuttavia dato il meglio di sé fin dal primo turno con Benoit Paire, e poi via via con Robin Haase, Nikoloz Basilashvili, Roberto Bautista Agut, Pablo Carreno Busta e Dominic Thiem. Sei match a senso unico, 17 set vinti contro nessuno perso, 98 game contro 29. Più i tre set e i 18 game vinti contro i 6 persi oggi. Come Carlin annotò a suo tempo, anche nella finale 2017 Rafa ha “elevato il gioco” perché “necessario”, direi indispensabile contro Stan Wawrinka, una perfetta, seppur tardivamente messa a punto, macchina da Slam, con tre finali in tre anni, ciascuna chiusa sollevando il trofeo più pesante, a Melbourne nel 2014, a Parigi nel 2015 e a New York nel 2016.

Rispetto a Nadal, lo svizzero ha persino più bisogno di eventi e avversari non ordinari per esprimere il proprio potenziale, che è un mix soltanto in apparenza basico ma che diventa esplosivo nelle sinergie tra il servizio spesso in kick e il diritto forte e dinamico, tra lo sventaglio di rovescio a una mano e la mobilità che sorprende, così come la resistenza, in un fisico che diresti sovradimensionato. Se sottoposto a ritmi notevoli e sollecitazioni anche psicologiche, Wawrinka è l’avversario che nessuno vorrebbe affrontare in una finale.

I quindicimila del Philippe Chatrier sono consapevoli che potrebbe essere un match lungo e combattuto. S’attrezzano con cappelli e scorte d’acqua. Invece il primo set (6-2 per Nadal) dura 45 minuti, nulla di particolare, con due break al sesto e all’ottavo game che segnalano la scarsa efficienza del servizio e l’alto tasso di errore di Stan, da contrapporre alla qualità nei turni di risposta e alla granitica tranquillità di Rafa. Il quale nel secondo set rimpolpa la serie di game vinti di slancio, che diventano sette.

Il maiorchino è impressionante: di norma serve, si apre il campo e va a chiudere come gli conviene, con il cross o il lungolinea. Talvolta si limita a tenere la palla molto profonda nel tentativo di prendere l’avversario controtempo, con conseguente replica fuori misura. Ci riesce quasi sempre. Sempre più di frequente ho la sensazione che Rafa abbia appreso rapidamente la lezione dell’ultimo Federer, quello che Ivan Ljubicic ha guidato a Melbourne, Miami e Indian Wells: se si può, l’impatto va anticipato approfittando dell’energia cinetica della palla dopo il rimbalzo.

Nonostante il game in più (6-3), la seconda frazione dura come la precedente: 45 minuti. Wawrinka cerca con gli occhi il coach Magnus Norman, che non sembra però in grado di dargli consigli su come disfare le trame del tennis di precisione e intelligenza intessute da Nadal. Il terzo set riparte con un break ai danni di Wawrinka, che viene ripetuto al quinto game. Wawrinka gioca bene, lotta su ogni punto ma si deve rassegnare al cospetto della devastante superiorità di Nadal sulla terra rossa. Al quale bastano 31 minuti per ottenere il 6-1 definitivo.

Il percorso netto dello spagnolo a Parigi, mai costretto al quarto set, s’accompagna a un record difficilmente ripetibile in futuro: dieci vittorie nello stesso Slam in tredici anni. Per lui si tratta del quindicesimo major nel curriculum: avendo cinque anni meno di Federer, se manterrà o riproporrà nelle prossime stagioni l’attuale stato di grazia psicofisico potrà andare all’assalto del record personale (diciotto Slam) del suo storico avversario e amico (…)

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