Se Fognini gioca così, non può temere nemmeno Murray (Clerici). Fognini pensa a Roma: domani c'è la rivincita con Murray (Mancuso). Il club del Piccolo Grande Slam (Giua). Super Fognini, ora c'è Murray; avanza la Giorgi (Scanagatta)

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Se Fognini gioca così, non può temere nemmeno Murray (Clerici). Fognini pensa a Roma: domani c’è la rivincita con Murray (Mancuso). Il club del Piccolo Grande Slam (Giua). Super Fognini, ora c’è Murray; avanza la Giorgi (Scanagatta)

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Se Fognini gioca così, non può temere nemmeno Murray (Gianni Clerici, La Repubblica)

AL CAMPO numero 12, dove mi sono assiso grazie alla mia cravatta di club, giunge una bella signora, che prende posto tra me e Sergio Palmieri, il direttore del torneo di Roma. Rimane, come noi, incantata da qualche scambio di Fabio Fognini, che incontra un bestione tutto stupore e ferocia, il boemo Jiry Vesely. Ad un punto delizioso di Fabio, che fa seguire un tocco farfallesco a un passante di rovescio lungo linea, la signora chiede: «Ma come fa a non giocare sempre cosi?». Sergio scuote il capo, mentre io, dopo averci pensato un istante: «Bisognerebbe chiedere alla dottoressa Marcella Marcone, la psichiatra che ha appena pubblicato il libro “Racchette e abitudini”. Sergio mi risparmia sicuramente una battuta, mentre io concordo con la bella signora che un Fognini in giornata tratta la palla, insieme, da chirurgo e da erotomane, da manicure e da scultore, tipo Vito Tongiani, quello a cui si deve il bassorilievo della Lenglen.

Mentre Fabio conduce, la mia S-memoria si attiva, e mi viene in mente chi sia il boemo che sta soccombendo ai tocchi dell’artista. L’avevo visto la primavera scorsa Jiry Vesely, battere, primo di una serie inattesa, Novak Djokovic, a Montecarlo. Avevo scritto allora: “L’avevo visto da junior, e una volta di più mi ero sbagliato, predicendogli un futuro strettamente legato alla sua ammirevole gestualità, non alla psiche, che spesse volte non coincidono. Figlio di un maestro boemo, aveva seguito il papà in Germania, sinché le migliorate condizioni del paese l’avevano sottratto ad una felice sudditanza ad Angela Merkel”. Ed eccolo qui, Jiri, che dopo aver raggiunto l’anno scorso il quarto turno di Wimbledon, ha sfiorato i quarti, perdendo dal connazionale Berdych in 5 set. Quel fenomeno di Fognini l’ha battuto togliendogli tre volte il serviziaccio, spesso favorito dal pessimo arbitro, Ali Nili, che non si avvedeva di un ripetuto fallo di piede, nei servizi da destra.

Detto di Fognini, che non mi pare sicura vittima di Murray nel prossimo turno, dovrei felicitarmi con il mancato Dr. Lorenzi, che a 35 anni riesce a migliorare il suo tennis. Resosi brillantemente conto di calpestare un campo in erba, è riuscito a battere l’argentino Horacio Zeballos, anticipandolo spesso a rete, discendendovi 33 volte per ottenere 24 punti. Zeballos non era certo nella forma esplosiva che gli aveva consentito il successo della vita contro Nadal a Viña del Mar, città che conservo nei ricordi ancor peggiori di quelli di Rafa, per una bronchite nelle fredde acque dell’oceano; ma ciò non ha niente a che vedere con un presunto terraiolo, oggi capace di serve and volley, quale il dottor Lorenzi (…)

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Fognini pensa a Roma: domani c’è la rivincita con Murray (Angelo Mancuso, Il Messaggero)

Tutto bene quel che finisce bene. Ieri il popolo british è stato in apprensione per lo sorti di Sir Andy Murray sino a quando non ha messo piede sul Centre Court. Al mattino non aveva concluso l’allenamento a Aorangi Park e la voce si era sparsa creando allarme: lo scozzese è a rischio a causa dell’anca dolorante. Si era sparsa la voce di un suo ritiro, prontamente smentita dagli organizzatori. Infatti l’estroso Dustin Brown, un clown della racchetta con le treccine rasta alla Bob Marley, gli ha fatto poco più che il solletico: 6-3 6-2 6-2 con tanto di sospiro di sollievo dei trepidanti sudditi di Sua Maestà la Regina Elisabetta. Proprio il britannico domani sarà l’awersario al terzo turno di Fabio Fognini, che si è sbarazzato in tre veloci set del gigante ceco Jiri Vesely. Il ligure è stato perfetto. Lucido alla risposta, preciso nei punti che hanno scavato il solco tra lui e il rivale: 7-6 (3) 6-4 6-2.

Che Murray non sia al massimo è un fatto: conta poco il test contro l’evanescente Brown. Di ben altro spessore è l’azzurro, che è in parità nei precedenti (3-3) e non più di un mese e mezzo fa ha brutalizzatolo scozzese al Foro Italico (6-2 6-4). «Quella vittoria è nella mia personale top 3 insieme all’altro successo sempre con Murray in Davis a Napoli e alla vittoria contro Nadal agli US Open», ricorda l’azzurro. Che poi aggiunge: «Ma a Roma si giocava sulla terra rossa, qui sull’erba, c’è differenza. Però sto bene, inutile dire che quando testa, fisico e tennis funzionano è tutto fantastico».

Dopo 6 eliminazioni di fila all’esordio, il 35enne senese ha sfruttato la sua testa di serie n.32 e un buon sorteggio per centrare la prima vittoria sui prati di Wimbledon. Ha superato il mancino argentino Horacio Zeballos in un match diviso in due giorni a causa dell’oscurità: 7-6 (3) 4-6 7-6 (8) 7-5. Paolino è come il Brunello delle sue parti: migliora invecchiando. E ora pub sognare il terzo turno: oggi affronta il Next Gen statunitense Jared Donaldson, che non sembra imbattibile. Eliminati, invece, Andreas Seppi (sconfitto 6-3 7-6 6-3 da Anderson) e Francesca Schiavone (battuta 6-3 6-0 dalla Svitolina).

35mila sterline, quasi 40mila euro. Tanto hanno intascato Dolgopolov e Klizan per i 40 minuti e poco più giocati due giorni fa contro Federer e Djokovic. Entrambi sono scesi in campo infortunati e si sono ritirati dopo aver ceduto il primo set rovinando lo spettacolo sul Centre Court, in particolare a coloro che per conquistare il prezioso tagliando avevano dormito in tenda e fatto la fila sin dalle prime ore del mattino. Due episodi che hanno rinfocolato la polemica sul sempre maggior numero di ritiri al primo turno degli Slam. Viene messo in discussione l’ingente prize money in palio, un invito a provarci sempre e comunque per accaparrarselo (…)

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Il club del Piccolo Grande Slam (Claudio Giua, repubblica.it)

Per Paolo Lorenzi mercoledì 5 luglio 2017 resterà per sempre il giorno memorabile del primo passaggio in carriera al secondo turno di Wimbledon, l’unico dei quattro major dal cui tabellone era regolarmente scomparso – sei volte! – il lunedì o il martedì della prima settimana. Il senese ci mette due giorni a ottenere il diritto all’iscrizione al club del Piccolo Grande Slam. Ieri il buio ferma sul 7-6 4 -6 7-6 2-2 lui e il coriaceo argentino Horacio Zeballos, ATP 52, sfiancati da tre ore e 9 minuti di scambi sul campo 8. Paolo dà il meglio nel tie break del terzo set, quando si ritrova sotto per 1-5, annulla tre set point sul 3-6 e poi va a prendersi il parziale per 10-8. Oggi, alla ripresa sempre sul campo 8, il più umile e regolare degli italiani impugnanti racchetta fa sfoggio di pazienza e intelligenza. In 33 minuti contiene Zeballos, accelera al servizio sul 5 pari e ottiene alla risposta il break nel dodicesimo game, l’unico senza possibilità di recupero.

Per prendersi un match nel quale i suoi punti complessivi risulteranno 148 contro i 147 dell’avversario, Paolo sfrutta ogni occasione decisiva, soprattutto nei due tie-break. La differenza la fa la sua capacità di concentrazione, affinata negli ultimi tre anni. Infatti, prima di invertire la tendenza agli UsOpen 2014, il numero 33 al mondo aveva inutilmente tentato  tredici volte di superare un qualsivoglia primo turno di Slam. Domani tenterà di raddoppiare il miracolo, approdando al terzo turno alle spese dell’americano Jared Donaldson, ATP 67, classe 1996: alla sua portata, azzardo.

Furono e sono pochi i giocatori italiani capaci, nei decenni, di compiere la stessa impresa di Lorenzi. Con il rischio di dimenticarne qualcuno, gli altri che hanno avuto la chance di combattere almeno una volta per raggiungere il terzo turno di ciascuno dei quattro Slam (talvolta poi avanzando nel torneo fino ai quarti, alle semi e perfino alla finale) furono Nicola Pietrangeli e Sergio Tacchini in tempi di collegamenti intercontinentali ancora precari e avventurosi; l’australiano Martin Mulligan prima di prendere la cittadinanza italiana nel 1968; nell’era Open, Omar Camporese, Davide Sanguinetti, Stefano Pescosolido, Gianluca Pozzi, Renzo Furlan, Cristiano Caratti, Andrea Gaudenzi, Diego Nargiso e Filippo Volandri; dei contemporanei, Simone Bolelli, Andrea Seppi e Fabio Fognini. Non Adriano Panatta, che si spinse una sola volta fino agli antipodi, nel 1969, per buscarle subito. Non Uberto De Morpurgo, Giorgio De Stefani, Gianni Cucelli, Orlando Sirola, Fausto Gardini, Marcello Del Bello e Beppe Merlo che scendevano in campo in ere tennistiche più provinciali che globali. E non possono sfoggiare il fermacravatta del Piccolo Grande Slam nemmeno Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli, Paolo Canè, Francesco Cancellotti o Potito Storace, che pure hanno giocato ai massimi livelli ATP.

Intanto Fognini passa il turno e s’appresta a incrociare di nuovo il cammino di Andy Murray, che tre volte su sei ha dovuto pagare pegno al suo talento: l’ultima a Roma meno di due mesi fa. Sarà una prima assoluta a Wimbledon. Il predominio di Fabio sul mancino ceco Jiri Vesely, 24 anni, ATP 48 e molto a proprio agio sull’erba (l’anno scorso raggiunse gli ottavi di finale eliminando in tre set Dominic Thiem), è stato nettissimo: 7-6 6-4 6-2 in un’ora e 57 minuti. Davvero impressionante la qualità dei vincenti (60 contro 20) sfoggiata dal signor Pennetta. Anche qui: venerdì partirà da underdog ma tutt’altro che sconfitto.

Niente da fare invece per gli altri due italiani del club del Piccolo Grande Slam in campo oggi a Londra, perché Jo-Wilfried Tsonga non è al momento alla portata di Simone Bolelli, in recupero dopo gli infortuni (6-1 7-5 6-2), mentre il sudafricano Ken Anderson riesce a spremere lo spremibile dal suo devastante servizio nel match con Andreas Seppi (6-3 7-6 6-3). Il bolognese non ha nulla da rimproverarsi (“Non ho più dolori, e questo mi basta”, ha detto dopo la partita) e continuerà a lavorare per rientrare tra i Top 100: che significa tanti tornei, dai Challenger ai Masters 1000, da qui a novembre. Il sudtirolese farà lo stesso se vuole rimanere nel Gotha del tennis (…)

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Super Fognini, ora c’è Murray. Avanza la Giorgi (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

IL MIGLIOR Fognini mai visto sull’erba domina per 3 set a zero (e sera mai perdere il servizio, concedendo appena due pallebreak) uno dei tanti tennisti pivot, il ceco Jiri Vesely (1,98), mancino e con vari scalpi importanti qui. Una prestazione impressionante che, se non fosse che al terzo turno lo attende sir Andy Murray, vincitore su questi campi di 2 Wimbledon (2013 e 2016) e di un oro olimpico (2012), indurrebbe a grande ottimismo. Eppure Fabio ha un bilancio in parità con Murray. Ci ha vinto tre volte su sei. L’ultima un mese e mezzo fa a Roma dove vinceva addirittura 6-2, 5-1 prima di battere per la prima volta un n.1 Atp 6-2,6-4. Lo aveva sconfitto anche a Napoli in Coppa Davis su un campo palude per la gran pioggia, tramortendolo con 13 smorzate assassine. Molta Murray era reduce da un’operazione alla schiena, aveva l’alibi. Qui ne ha pronto un altro, l’anca. Più che due vittorie sulla prediletta terra rossa (che a Murray piace meno), forse a dare fiducia a Fabio potrebbe essere più un match perso! Alle Olimpiadi di Rio (su un veloce cemento): era avanti di un break, quasi due, nel terzo set. «Il favorito è Murray, non c’è dubbio, ma lui non potrà sottovalutarmi, sa che non può scherzare. Ci conosciamo bene da quando abbiamo 14 anni. Abbiamo la stessa età (Andy ha solo 9 giorni di più). Qui gioca in casa lui, come io a Roma e Napoli, ma ho il gioco che gli dà fastidio».

E Murray: «Fabio è sempre pericoloso. Sa tirare vincenti con tutti i colpi e a rete ha una gran mano». Forse sull’erba non potrà fargli tutti i dropshot delle sue prove italiane. Solo Federer riesce a giocarle come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Ma ci proverò» garantisce lui togliendosi un sassolino dalle scarpe: «Hanno scritto tutti che avevo preparato male Wimbledon, perché non avevo giocato per nulla sull’erba, ma ho fatto un bel richiamo atletico e lavorato molto sul servizio: lo si gioca da fermo (ha fatto 11 aces come Vesely! )…perchè dopo Wimbledon voglio giocare tre tornei di fila sulla terra battuta». E’ incredibilmente sereno, dentro e fuori dal campo:«Forse sarà la paternità, io e Flavia siamo felici, lei sta lavorando a Milano per Sky… ».

«E’ certamente una delle 3 partite che ho giocato meglio sull’erba questa… Vesely lo scorso anno qui era arrivato negli ottavi». Eh sì, aveva battuto Thiem prima di costringere l’altro ceco Berdych a una maratona di 5 set. Nella giornata Petra Kvitova, bicampionessa del torneo e favorita della vigilia quasi quanto la Pliskova, esce di scena per mano dell’americana Brengle, n.95 Wta. Camila Giorgi non riesce a sfruttare 4 matchpoint contro l’altra americana Keys nel tiebreak del secondo set (uno solo sul proprio servizio), poi però vince (…)

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