Nick da numero uno (Grilli). Riecco Dimitrov. La generazione dei senza Slam ritrova un eroe (Crivelli). Muguruza travolgente, trova Halep per il titolo (Crivelli)

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Nick da numero uno (Grilli). Riecco Dimitrov. La generazione dei senza Slam ritrova un eroe (Crivelli). Muguruza travolgente, trova Halep per il titolo (Crivelli)

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Nick da numero uno (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

Evidentemente, Nick deve avere un conto aperto con Nadal. Il primo luglio de1 2014, sui prati di Wimbledon, il semisconosciuto Kyrgios – 19 anni e numero 144 del mondo – superò negli ottavi di finale Rafa, seconda testa di serie del torneo ma numero 1 del mondo. L’impresa gli è riuscita di nuovo venerdì sera: un 6-2 7-5 per sconfiggere il mancino di Manacor che da domani sarà nuovamente il numero 1 Atp, e pareggiare così i confronti diretti (2-2). Di fronte ad un Nadal troppo falloso e forse penalizzato dall’aver dovuto giocare due match in un solo giorno – come ha dovuto fare anche il suo avversario, più giovaane di lui di nove anni – Kyrgios si è esaltato, dominando all’inizio e ammortizzando senza problemi anche il break subito sul 5-4 del secondo set. Che il ragazzo di Canberra, perfetta espressione del melting pot della nuova Australia (padre greco, madre malese) giochi – quando vuole – bene, spesso benissimo, è un dato di fatto. Che non abbia paura di affrontare i campioni della racchetta l’abbiamo capito da tempo. Che però un talento così non sia riuscito finora ad issarsi oltre il 13° posto del ranking (ora è 23) è un mistero fin troppo facile da spiegare con i suoi ricorrenti problemi alla schiena e soprattutto con un carattere pigro e incostante, troppo incline ad atteggiamenti da bad boy. «Negli ultimi mesi ho avuto molti alti e bassi. Dopo la Coppa Davis ero in un gran momento poi mio nonno è morto e ho avuto altri problemi fuori dal campo. La mia testa era tra le nuvole», ha detto Kyrgios, recentemente abbandonato dal suo grande amore, la connazionale e collega Ajla Tomljanovic, sembra a causa di una notte brava trascorsa con due ragazze a Londra «Ho passato un periodo di merda, scusate per la volgarità ma ci sono state un sacco di cose che mi hanno distratto dal tennis». Il problema per Nick non è tanto sfidare i campioni («è facile caricarsi in questi incontri»), ma trovare le motivazioni giuste per impegnarsi in tutti i tornei. «Se gioco a Cincinnati contro Nadal rendo il massimo ma il problema per me è farlo ogni giorno. E’ vero, in match ridicoli su campi secondari qualche volta mi sono impegnato poco. Quest’anno a Lione con 5 spettatori sugli spalti, ho perso contro Kicker. Stanotte ho giocato contro Rafa e ho vinto. Ora però voglio cambiare e tornare sulla strada giusta». Ci riuscirà il simpatico Nick, che venerdì ha travato anche il tempo di farsi un seìfie in un cambio campo? La sfida con il vecchio, ma ancora solidissimo, Ferrer ci avrà dato stanotte la prima risposta.

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Riecco Dimitrov. La generazione dei senza Slam ritrova un eroe (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La terra di mezzo non se la passava troppo bene, schiacciata dalla leggenda infinita dei Fab Four e dall’esuberanza dell’arrembante Next Gen, il futuro che è già qui. Decennio amaro per i giocatori nati tra il ‘90 e il ‘94, che in definitiva non sono riusciti a scalzare Federer e compagnia dal dominio ultradecennale (una sola finale Slam giocata, quella di Raonic a Wimbledon l’anno scorso) e adesso rischiano l’oscuramento dalla generazione degli Zverev. Troppo tardi? Forse no, se l’ineffabile Grigor Dimitrov dimostrerà finalmente che la settimana di grazia a Cincinnati non è soltanto l’ennesimo fuoco fatuo di una paglia certamente di talento ma senza quella continuità di rendimento e di risultati che segnano la differenza tra un ottimo giocatore e i campionissimi. Del resto, se a caratterizzare la stagione sono stati al momento il trentunenne Nadal e soprattutto il trentaseienne Federer, rimane ancora tempo a Grisha, che di anni ne ha 26, per dare ragione a quelli che, vedendogli vincere Wimbledon e Us Open juniores nel 2008, lo battezzarono Baby Fed per la somiglianza gestuale (nei colpi) con lo svizzero e gli pronosticarono una solida carriera da top player. Il paragone con Roger gli ha certamente tarpato le ali non appena si è mosso tra i professionisti, lo ha schiacciato sotto pressioni che non poteva sopportare, ma anche adesso che nessuno più glielo fa pesare, Dimitrov continua a stare in altalena, vittima in realtà di un vizio che aveva rivelato fin da ragazzino: a volte, si specchia troppo nel suo tennis fino ad annoiarsi, unendo poi l’insipienza al piacere delle eccellenti compagnie femminili. Un peccato tecnico, perché con la sua classe il bulgaro non dovrebbe fare avanti e indietro in classifica come una trottola, ma rimanere stabile e sicuro tra i primi dieci del mondo, e magari anche più su. Prendete questa stagione, cominciata con il successo a Brisbane, la favolosa semifinale persa in cinque ore contro Nadal in Australia e un’altra vittoria a Sofia e poi proseguita con una terribile primavera sul cemento americano e sulla terra europea, prima di un tenero risveglio a Wimbledon (ottavi e ko con Federer). Nei primi due mesi dell’anno, insomma, sembrava finalmente il giocatore sognato, anche grazie alle cure di coach Vallverdu, ex di Murray, capace di restituirgli resistenza fisica senza sottrargli il talento, impresa che invece non riuscì a Rasheed; ma poi è ripiombato nel buio. Fino a questi giorni in Ohio, quelli dell’ennesima resurrezione: prima finale Masters 1000 in carriera, appena il quarto tennista degli anni 90 (dopo Janowicz, Raonic e Zverev) a riuscirci, e per di più senza perdere un set: «E’ colpa nostra, se la nostra generazione non ha ancora vinto Slam: vuol dire che non siamo stati capaci di perfezionare tutti i dettagli». Chissà se la situazione contingente, con i tabelloni dettati dagli infortuni, colmerà la lacuna; tra i semifinalisti di Cincy, intanto, solo Ferrer ha vinto un solo Masters 1000 (Bercy). E nonostante Kyrgios abbia impressionato almeno per un giorno travolgendo Nadal, Dimitrov ha la grande occasione per sottrarsi da tutte le ombre. Il sole della terra di mezzo.

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Muguruza travolgente, trova Halep per il titolo (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’aria dei grandi appuntamenti risveglia, come sempre, le voglie e le ambizioni di Garbine Muguruza, la vincitrice di Wimbledon che insegue ancora un successo in un Premier (la categoria più alta sotto gli Slam) e sul cemento americano. L’occasione le capiterà stasera a Cincinnati, dopo aver eliminato la numero uno del mondo Karolina Pliskova, interrompendo una striscia di sei sconfitte consecutive contro la ceca dopo la prima vittoria nel 2013. Partita dominata dalla spagnola con radici venezuelane, più incisiva dell’avversaria al servizio e decisamente meno fallosa: solo 13 gratuiti contro 28. Garbine era reduce da due maratone (2 ore e 18 minuti contro la Keys, con tre match point annullati e 2 ore e 45 minuti contro la Kuznetsova) che però non hanno inciso sulla debordante condizione atletica. In finale trova la Halep, appena 54 minuti per battere la Stephens, che in caso di successo conquisterà il primo posto in classica mondiale.

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