Favoloso Nadal. Il tempo si ferma, finale con Federer. "È fantastico" (Crivelli). Padri-padroni: la ribellione parta con le due Williams (Veronesi). Roger&Rafa, il classico torna di moda (Viggiani). Serena e Venus, la sfida è anche fuori dal campo (Semeraro). Eccomi Roger, mio nemico amatissimo (Azzolini). Carissimi nemici (Piccardi). Il gran finale (Clerici). Rafa-Roger, finale da sogno (Mancuso). Federer-Nadal, una poesia. E molti conti da regolare (Lombardo). Schiavone: "Vincerò ancora" (Azzolini)

Rassegna stampa

Favoloso Nadal. Il tempo si ferma, finale con Federer. “È fantastico” (Crivelli). Padri-padroni: la ribellione parta con le due Williams (Veronesi). Roger&Rafa, il classico torna di moda (Viggiani). Serena e Venus, la sfida è anche fuori dal campo (Semeraro). Eccomi Roger, mio nemico amatissimo (Azzolini). Carissimi nemici (Piccardi). Il gran finale (Clerici). Rafa-Roger, finale da sogno (Mancuso). Federer-Nadal, una poesia. E molti conti da regolare (Lombardo). Schiavone: “Vincerò ancora” (Azzolini)

Pubblicato

il

 

Favoloso Nadal. Il tempo si ferma, finale con Federer. “E’ fantastico” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

C’era una volta. Le favole cominciano così, trasportandoti nella magia di un tempo sospeso, dove la vita è un sogno e gli eroi del cuore trionfano sempre. Ci vogliono quattro ore e cinquantasei minuti di una battaglia feroce, intensa, di una qualità tecnica straordinaria negli ultimi tre set, tanto da iscriversi già al referendum per il match dell’anno, perché il lieto fine rallegri le anime fin lì in pena dell’onda infinita di amanti che i due ragazzi d’oro hanno innervato in quindici anni di tennis sublime. Rovescio fuori di Dimitrov, Nadal in ginocchio, mani sul volto e le lacrime trattenute a fatica: la finale è sua. E dall’altra parte della rete, ad aspettarlo, ci sarà la storia, o meglio la leggenda che insieme hanno costruito: Rafa contro Federer. L’apoteosi. Gli Australian Open della rivoluzione al contrario, con quattro ultratrentenni nelle due finali del singolare, mai successo prima, riporta indietro le passioni, ferma un’epoca che pareva perduta e la riporta all’onore del mondo grazie a due titani redivivi che riappaiono dalle nebbie di corpi martoriati da cento e cento tenzoni memorabili per riaffermare l’unica legge davvero immortale: quella del talento. PENSIERI LONTANI Nadal contro Roger. Non sarà mai una partita, piuttosto un viaggio tra le emozioni intense di una rivalità che ha finito per travalicare lo sport, unendo ogni episodio delle loro sfide in una saga mitologica. Eppure, la 35° pagina del loro libro personale stavolta racconterà per forza una vicenda diversa: a novembre, i due monumenti ammaccati, il maiorchino a un polso e Fed a un ginocchio, coltivavano pensieri ben lontani da un’altra finale Slam, per di più così ravvicinata. E quell’incontro a Manacor, nella ormai famosa inaugurazione dell’Accademia di Rafa, oggi si sublima in una resurrezione inattesa: «Quel momento è stato fantastico, non posso smettere di ringraziare Roger perché è stato molto emozionante per tutti. In quel momento sicuramente non avremmo mai pensato di poter arrivare fin qui. E successo, ed entrambi abbiamo lavorato molto duramente per essere dove siamo. È fantastico. È fantastico che possiamo di nuovo goderci un momento come questo. Sono molto felice per me e molto felice per lui». RICORDO E l’ascesa al cielo verso il vero Federer, per il satanasso mancino di Maiorca, non poteva che passare dal clone del Divino, quel Dimitrov troppo a lungo oppresso dalla nomea di «Baby Federer» e finalmente sbocciato. Ma quando nel quinto set si trova a fronteggiare due delicatissime palle break sul 4-3 sotto, Rafa torna d’incanto a dieci anni fa, azzannando il bulgaro e togliendogli gli ultimi respiri. Un Nadal che ha smarrito il famigerato dritto da destra a sinistra con cui concede adesso troppo gratuiti, ma che domani, pur gravato da 18 ore e 59 minuti di tennis nel torneo contro le 13 ore e 40′ dell’avversario, si presenterà al cospetto della storia forte di 23 vittorie a 11 nei precedenti, 6 a 2 nelle finali Slam e soprattutto il dolce ricordo dell’epilogo del 2009, l’unica volta in cui si sfidarono per il titolo australiano, quando inflisse a Roger la sconfitta più bruciante, portandolo fino alle lacrime e al celeberrimo «Così mi uccide»: «E’ stato molto tempo fa — ammette lo spagnolo — in un momento differente per entrambi. È completamente diverso da quello che è successo prima. E speciale. Non siamo stati in questa situazione per molto tempo, quindi questo rende il match differente». Anche Nadal pianse, accadde dopo il ritiro a Parigi della scorsa primavera: «E’ stata dura. Quando senti che stai giocando bene e devi abbandonare il Roland Garros senza scendere in campo, non è facile. Mi ricordo che piangevo in macchina tornando in hotel. E certo non pensavo di poter essere dove sono oggi». Domani la Rod Laver Arena sarà una volta di più il teatro, della grandezza, una potente rappresentazione del romanticismo di una sfida che vorremmo non finisse mai. Perfino Moya, adesso coach di Nadal, è emozionato: «Alleno il suo avversario, ma come potrei fare il tifo contro Federer? Sono due giganti, non c’è un favorito, però Rafa mi ha colpito per la mentalità». Lui, leone stanco ma felice, certo conosce i segreti di un appuntamento immortale: «È speciale giocare di nuovo con Roger in una finale Slam. Non posso negarlo. È eccitante per me e per lui». E il mondo dove lo mettiamo?

 

Padri-padroni: la ribellione parta con le due Williams (Sandro Veronesi, La Gazzetta dello Sport)

In occasione della nona finale di Slam tra Venus e Serena Williams, al termine di un leggendario Australian Open che ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, con Federer e Nadal di nuovo finalisti e con la resurrezione di Mjriana Lucic-Baroni, è venuto il momento di lanciare un appello, disperato e perentorio, nella speranza che venga davvero ascoltato: teniamo fuori i padri dal tennis! Lo dico da padre, oggi, e anche da figlio, ieri, di un padre che, buon’anima, si è sempre sovranamente disinteressato dei miei spasmi tennistici adolescenziali; ma lo dico anche da testimone, diretto o indiretto, delle catastrofi che i padri hanno causato ai loro figlioli tennisti, trasformandoli in casi di cronaca o scaraventandoli nel tunnel delle terapie di recupero. La lista delle vittime è lunga, soprattutto tra le donne: Steffi Graf, Jennifer Capriati, Mary Pierce, Timea Bacsinszky, Marion Bartoli, Camila Giorgi. Tutti abbiamo letto «Open» di Andrè Agassi. Tutti sappiamo a chi si rivolge Fognini quando perde la brocca e si mette a inveire da solo. Per non parlare del peggio, del male assoluto, cioè degli abusi veri e propri come quelli denunciati dalla Lucic-Baroni, che è riuscita a riemergerne solo in questi giorni a Melbourne, o da Jelena Dokic – a sedici anni capace di dare 6-2 6-0 a Martina Hingis a Wimbledon, a diciannove di salire al numero 4 del ranking Wta, e poi di colpo cancellata dal mostro della violenza domestica. Anche le sorelle Williams, com’è noto, hanno pagato dazio all’ego incontenibile di papá Richard: e ora che sono riuscite a levarselo di torno, e si sfidano per l’ennesimo Slam al riparo dalle sue grinfie edipiche, cogliamo l’occasione per mettere al bando questi patetici parassiti che infestano lo sport più bello del mondo. Un Daspo preventivo per tutti i padri — sciò, via, alla larga dai figli che giocano. Colpirà automaticamente solo quelli cattivi, perché quelli buoni lontano dai figli ci si tengono da soli

 

Roger&Rafa, il classico torna di moda (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport)

La Next Gen era stata liquidata già nei turni precedenti, agli Australian Open. Grigor Dimitrov, che non è più un teenager, di anni ne ha ormai 25, almeno era riuscito a farsi spazio fino alle semifinali di Melbourne. E invece non gli è bastata neppure la più bella partita in carriera per conquistare la prima finale di Slam. Ha avuto una sola sfortuna: quella di incrociare l’altro Revenant del tennis mondiale, un Rafa Nadal tornato a giocare su livelli pazzeschi dopo aver finalmente rimosso gli acciacchi che da tempo lo affliggevano. E così’, per la gioia di molti e soprattutto degli spagnoli, ecco che domani nella mattinata italiana tornerà “El Clasico” (31 Slam vinti in due!) con Roger Federer, Revenant con una giornata di anticipo parlando di finale guadagnata, con la vittoria nel derby svizzero con Stan Wawrinka, e soprattutto equivalente, a questo punto, a una preziosissima giornata di riposo in più, che alla sua età.. «Sarà speciale ritrovarmi contro Federer per il titolo. So che fa piacere anche a lui» Grigor sconfitto ma felice: «Sono sulla strada giust.a Un onore perdere in questo modo» QUANTI ANNI! E sì, perché l’Ufficio Anagrafe degli Slam fa sapere che si tratterà della seconda finale maschile più anziana nella storia del tennis pro’: l’età media di Federer-Nadal sarà infatti di 33 anni e 23 giorni, inferiore solo ai 37 anni e 2 giorni di Rosewall-Anderson, che furono protagonisti sempre a Melbourne nel 1972. Numeri che fanno il paio ovviamente con la finale femminile di questa mattina: Venus e Serena Williams andranno in campo con un età media di 35 anni, 11 mesi e 22 giorni! PARTITA E PAROLE. È durata cinque set, come Federer-Wawrinka, ma altro che fast tennis! Nadal ha chiuso al terzo match-point dopo 4h56: quasi due ore in più rispetto alla prima semifinale. Livello di gioco altissimo, il migliore s’è visto incredibilmente nell’ultimo parziale, con Dimitrov che ha sempre tenuto botta dopo aver rimontato per due volte un set all’avversario, tomato a far male con l'” uncino” e tutto il resto del repertorio, anche se il saldo migliore nel bilancio vincenti-errori non forzati ( 9 contro 2) ce l’aveva il suo avversario. Morale alle stelle per Nadal, assente dalle finali di Slam dal Roland Garros 2014: «Abbiamo disputato una partita pazzesca, Grigor è stato un avversario eccezionale. Per me, è fantastico essere tornato al top nel primo Slam dell’anno. Comunque vada la finale, tutto quello che mi è accaduto a Melbourne mi servirà per continuare a dare il meglio successivamente. Intanto, sarà speciale ritrovarmi con Roger in una finale di Slam: ne è contento anche lui». Dal canto suo Dimitrov, che lunedì sarà 12 o 13 del mondo (è stato anche 8 nell’agosto 2014), riparte dall’Australia con un sorriso grosso così « un onore per me aver giocato una partita simile conto un avversario simile: so di essere sulla strada giusta per un futuro importante. Vado via a testa alta, ma lo farò solo dopo aver visto anch’io questa fantastica finale». Prima degli Australian Open, il bulgaro aveva vinto il torneo di Brisbane mettendo in finale tre Top Ten (Thiem, Raonic e Nishikori). I NUMERI. Tornando a Federer-Nadal, è divertente addentrarsi nei numeri di questo blockbuster che davvero mancava a tutti, e da molto tempo a questa parte. Roger e Rafa sono attesi infatti dalla 35a sfida in carriera, con un bilancio che complessivamente dice 23-11 per l’ex Niño (9-2 nei quattro Slam), con parziali di 14-7 nelle finali (6-2 negli Slam) e 8-2 con quelle che saranno superficie (cemento) e condizioni (outdoor) di domani a Melbourne. Dove peraltro Nadal ha vinto addirittura tutti e 3 i precedenti nello Slam australiano (finale 2009, semifinali 2012 e 2014). L’ultimo confronto risale a quasi un anno e tre mesi fa: 1 novembre 2015, finale sul cemento indoor di Basilea, dove fu Roger a vincere (6-3 al terzo set) e mangiare la tradizionale pizza con i raccatapalle, come gli era capitato già altre sei volte in passato nel torneo di casa. L’ultima finale di Slam risale invece addirittura al Roland Garros 2011, ovvero ben 5 anni e 7 anni fa: manco a dirlo, la spuntò Nadal (in quattro set) che contro Federer è imbattuto, 4-0, anche sulla terra rossa parigina. Un aiuto, infine, per chi non ricorda il loro primo match: marzo 2004, terzo turno a Miami, vinse Nadal con un doppio 6-3 dal quale non si sarebbe mai arrivati a immaginare tutto questo…

 

Serena e Venus, la sfida è anche fuori dal campo (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Fossero solo due tenniste, sarebbe semplice: Serena probabilmente la più grande di sempre («Se fossi nata uomo, mi avrebbero già messo davanti a LeBron James», ha sibilato un mese fa), di certo sul podio insieme a Martina Navratilova e alla divina Suzanne Lenglen. Venus comunque una numero 1, la prima a mettersi in spalla l’eredità di Althea Gibson e trasportare l’America con la pelle nera in cima allo sport dei gesti bianchi. Ma le due sisters che oggi si spartiscono la finale degli Australian Open hanno sempre voluto essere molto di più. Larger than life, più largo della vita, dicono gli inglesi per definire chi non si accontenta, chi brucia da due estremità. TANTE DIMENSIONI. E loro di dimensioni ne hanno sempre avute parecchie. Serena attrice di sit-com e guest stars di serie tv anche note – Law e Order, i Simpson (come voce), Drop Dead Diva – e in video stracliccati come “Sorry” della sua amica Beyoncè. Oppure stilista, con la sua linea di completi “Aneres” – per i meno portati all’enigmistica: è il suo nome rovesciato… – a cui negli anni ha aggiunto collezioni di borse e di gioielli. Come se non bastasse, Serena è per giunta una “nail technician” una estetista diplomata nella cura delle unghie. Le sue copertine e i suoi servizi fotografici, da Vogue al classico numero di Sports Illustrated dedicato ai bikini, non si contano; di attività come imprenditrice sportiva ne ha almeno due di una certa sostanza, in società con Venus: una quota nei Miami Dolphins, la squadra di football americano di cui è supertifosa e una nella UFC, Ultimate Fighting Championships, ramo arti marziali. Difficile, del resto, trovare due combattenti come loro nel mondo del tennis. Anche in amore. La lista delle love story di Serena, vere e presunte – dal lungo flirt con il produttore cinematografico Brett Ratner a quello non confermato con Grigor Dimitrov, il semifinalista di quest US Open – può riempire il numero di un rotocalco, ma a 35 anni la Pantera ha deciso di mettere la testa a posto: si è fidanzata e pare sposerà Alexis Ohanian, l’inventore del sito web Reddit: naturalmente milionario pure lui. Più discreta, ma non meno curiosa, è la sua sorella maggiore. Venus è CEO della V Starr Interiors, la società di arredamento di interni che porta nella ragione sociale un pezzo del suo nome (Venus Ebony Starr), e anche co-proprietaria di una sua linea di abbigliamento, EleVen. Ha scritto un manuale su come farsi strada vittoriosamente nella vita, nel 2009 Forbes l’ha inserita al 77° posto nella lista delle “100 Celebrities” più influenti al mondo e nel 2001 secondo il Ladies I tome Journal era una delle trenta donne più potenti d’America. BATTAGLIE. II suo carisma Venus lo ha esercitato in questi anni anche per cambiare la divisione dei montepremi nel tennis: se le ragazze hanno raggiunto la parità, lo devono molto alle sue battaglie. Con Serena una lotta pluriennale l’ha dichiarata al razzismo, evitando fino al 2016 di partecipare al ricchissimo torneo di Indian Wells, dove il pubblico le aveva fischiate e contestate. Ora Serena in compenso è partita lancia in resta, forte della sua fede di testimone di Geova, contro l’arroganza maschilista del neo presidente Trump. ll tennis, a volte, può attendere

 

Eccomi Roger, mio nemico amatissimo (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Quattro ore e 56 minuti. Quante cose si possono fare con tanto tempo a disposizione? Si pub battere Grigor Dimitrov, ed è un fatto. Oppure si può fare amicizia, innamorarsi, mettere su famiglia. Si può partire da Madrid e raggiungere l’Islanda. Si possono vincere due maratone e trovare persino il tempo per un riposino fra l’una e l’altra. L’anno scorso Rafa Nadal avrebbe valutato bene le opzioni. Si all’Islanda, sì a una nuova amicizia, avrebbe ragionato sulla maratona, e opposto un motivato rifiuto solo a mettere su famiglia, visto che continua a recitare nella parte del celibe risoluto, nonostante Xisca sia qui («le ho fatto avere una wild card per il torneo») e monti ormai un’aria da sorella minore che lo dovrebbe preoccupare. Di certo, un anno fa, Rafa non avrebbe scelto di sprecare quasi cinque ore del suo tempo nel tennis. Il cambiamento è evidente. Fra i molti buoni motivi che spingono ad apprezzare questa ricomparsa del Nadal originario, la quarta riapparizione dopo quelle di Roger, Serena e Venus, il più lampante non viene dal tennis, dai colpi, e nemmeno dalla sudatissima vittoria sul bulgaro che non sembra più lui. Ma dalla voglia matta che è tornata a scuotere lo spagnolo, un furore tennistico quasi mistico, che lo spinge ad andare oltre la fatica, il dolore, le frustrazioni. Il puro piacere di farcela. Il tennis non è ancora quello del Rafa Originale. Meno preciso, meno puntiglioso, meno potente. Ma dovremmo misurarlo in micro- in nanosecondi, in millilitri se solo fosse. La voglia no, quella richiede tutti i superlativi che possano passarvi per la capa. Ne è uscita una semifinale rognosa, imperfetta, durissima e insieme anomala, zeppa di errori e di omissioni, eppure bella anche nelle sue disarmonie, perché libera, giocata come i due si sentivano di fare, fuori da ogni tattica. Un corpo a corpo, gladio contro gladio. Una semifinale in bilico fino al quattro pari del quinto set. Lì Rafa ha trovato se non i colpi, certo il carisma per obbligare Dimitrov a piegare le ginocchia. E il bulgaro non ha trovato argomenti per replicare. Se poi avete voglia di dare un’ occhiata ai numeri, il match potrebbe apparire assai meno epico. Dimitrov ha avuto 16 palle break, e ne ha piazzate appena 4. Più bravo Nadal, 13 chance, 5 a segno, ma non è questo il punto. L’anomalia è rappresentata dalla girandola di chance che il bulgaro ha ottenuto e non ha saputo gestire. Sedici palle break consentono di vincere qualsiasi match, se solo si ha l’accortezza di non gettarle al vento come coriandoli. Un residuo del felice sprecone che è sempre stato, e quasi dispiace sottolinearlo nel giorno che più di altri ha mostrato quanti passi abbia compiuto Grigor sulla strada di un tennis finalmente da podio. «Credo sia giusto essere positivi», azzarda Dimitrov, «ovvio che provi dispiacere, ma avverto anche l’orgoglio per il match che ho giocato. Nadal merita la vittoria, io sono stato vicino a cambiare il destino del match. Sarà una partita che gli australiani ricorderanno». Rafa gli dà ragione: «Sono questi match che rendono speciale il tennis. Oppure volete che tutto finisca in cinquanta minuti? Avete sentito il tifo, la partecipazione?». «Ora voglio solo dormire», si congeda Rafa. Avrà una giornata in meno per recuperare rispetto a Federer ma per lui non è un problema. «L’importante è che vi sia una giornata intera fra un match e l’altra. Certo, vengo da un match durissimo, ma è andata così. E io ho sempre dovuto faticare più di Roger». Resta la finale con il rivale di sempre. Il Più Grande contro il suo unico vice, che poi è il solo che lo abbia battuto 24 volte su 35 confronti giocati. «Queste statistiche appartengono al passato. Quando ci siamo incontrati a Manacor, per l’inaugurazione della mia Accademia, né io né lui pensavamo a una nuova finale Slam. Stavamo lavorando duro, entrambi. E invece la finale è arrivata. La prima sensazione? È di felicità, piena, sia per me sia per lui. E bellissimo ritrovarsi così e sapere che abbiamo ancora i colpi e le forze per scaldare i cuori della gente». Come Serena e Venus, stamattina

 

Carissimi nemici (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera)

II 28 marzo 2004 è una domenica. L’Angelus di Giovanni Paolo II è dedicato ai bambini. Beckham e Zidane trascinano il Real alla «manita» sul Siviglia. La polizia spagnola ammette di aver fermato i terroristi della strage di Madrid (ha multato per un’inversione di marcia l’auto piena di esplosivo, poi l’ha lasciata andare). Berlusconi fa un bagno di folla in Sicilia: festeggia il decennale della prima elezione. A Miami, un 22enne svizzero fresco della prima vittoria all’Australian Open affronta al terzo turno il più giovane del tabellone, un 17enne spagnolo n.34 del mondo, e perde (6-3, 6-3 in 69′). Rafa Nadal è il primo mancino dopo l’argentino Franco Squillari a battere Roger Federer. E l’incipit del libro (34 pagine) sulla rivalità più appassionante della storia contemporanea dello sport. Se Eraclito aveva ragione, se panta rei e nessun colpo è uguale a quello che lo precede, un cerchio è destinato a chiudersi quasi tredici anni dopo, domani a Melbourne, dove due amici si sono dati appuntamento contro pronostico sul campo centrale dell’Australian Open. Sminuzzato Wawrinka, Federer ha avuto la pazienza che Nadal uscisse dalla lunga seduta di psicanalisi (4.56′) con Dimitrov e l’ha aspettato in finale come Pip aspetta che Herbert gli salvi la vita in «Grandi Speranze», perché cos’è la 35° partita di tennis tra Roger e Rafa se non il perfezionamento di un romanzo di (reciproca) formazione? È la sfida che il mondo voleva. La più giusta: al di là delle eliminazioni di Murray e Djokovic, nessuno dei due ha avuto un 15 regalato. La più affascinante: vale un Clasico, un Superbowl, una «march madness», vale i 1oo metri all’Olimpiade. La più letteraria: complice il look da tamarro degli esordi, l’erede della borghesia di Manacor, dove i Nadal posseggono immobili e attività commerciali, è l’antitesi del figlio dell’ingegnere di Berneck baciato dagli dei del tennis, un’inversione di ruoli — Rafa il bullo e Roger il patrizio — motivata dal contrasto di stili, un malinteso arrivato ai giorni nostri che non ha impedito la nascita di un’amicizia sincera, irrorata di titoli Slam (31 in totale: 17 Federer e 14 Nadal), rispetto vero, aneddoti. L’ultimo, ricordato da entrambi a Melbourne, risale allo scorso ottobre. Rafa inaugura sull’isola di Maiorca un’Accademia che porta il suo nome, il progetto a cui tiene di più, la sublimazione della carriera. Accanto a sé vuole Federer. Che, pur in bacino di carenaggio per l’infortunio che l’ha tenuto fermo sei mesi, risponde all’appello: «Tu sei un’ispirazione — dice in pubblico —. La facilità con cui hai recuperato dai tuoi guai fisici tornando al top è qualcosa che spero di vivere quando rientrerò nel Tour a gennaio». Rieccoli, dunque. È la nona finale Slam in comune, la prima da Parigi 2o11, 23-11 per Nadal, in totale, i precedenti. Da quel 28 marzo 2004 è cambiato il mondo e pure — momentaneamente — il tennis. Mentre Djokovic si spacciava per Morello nel tentativo di conquistare un pubblico totalmente sedotto dalla fenomenologia federernadaliana (la maratona a Wimbledon 2oo8, finita 9-7 al quinto e al buio, il pianto di Roger sulla spalla di Rafa a Melbourne 2oo9, i messaggi di complimenti, la cordialità tra le compagne, Xisca e Mirka), mentre gli altri remavano da fondocampo zavorrati dal complesso d’inferiorità, loro giocavano un campionato a parte, alzandosi l’asticella a vicenda fino a toccare vette siderali. Perché ormai è chiaro che senza Federer non esisterebbe Nadal, e viceversa. «Sono il più grande tifoso di Rafa: la sfida per uno Slam, senza di lui avrebbe un sapore diverso. Lascerò tutto sul campo, a costo di non camminare più per i prossimi cinque mesi» ha scherzato (ma non troppo) il maschio Alfa che indossa alla grande lo smoking, oltre ai panni del predestinato. «Affrontarlo è sempre speciale perché ogni volta si ricomincia daccapo, come se il passato non contasse. Infatti non so come reagirò quando lo vedrò dall’altra parte della rete nella finale di domenica» ha ammesso il guapo dal chilometraggio illimitato, il braccio (mancino) della legge. Federer-Nadal è il riallinearsi dei pianeti dopo il big bang, un evento che ci fa sentire tutti un po’ più giovani e risolti: qualsiasi cosa succeda, down under tra poche ore, non sarà per caso. Logica, estetica, ragion pura ed epica, comunque vada, verranno soddisfatte. Tutti i fuoriclasse felici si somigliano. Ma solo Federer e Nadal, i carissimi nemici, sono leggendari a modo loro

 

Il gran finale (Gianni Clerici, La Repubblica)

Il trentenne, acciaccatissimo, coraggiosissimo Rafael Nadal ha battuto in cinque ore meno due minuti il giovane sanissimo Dimitrov, capace di 48 errori gratuiti di rovescio sui 70 commessi. Il match è stato definito “epico” da molti commentatori, inclusi quelli rispettatissimi per i loro precedenti tennistici, McEnroe e Wilander. Al di là di tutta la mia comprensione per il vecchio Rafa, se vecchio si può definire un trentenne che pratica il tennis da ventisei anni, dapprima per decisione familiare e dello Zio Toni, non mi sono commosso com’è accaduto a spettatori e commentatori, per quanto accadeva. Accadeva, in realtà, che un giovanotto di 24 anni, pronosticatissimo campione dal giorno in cui divenne il primo tra gli junior nel 2008, salito poi al N.11 tra i maggiorenni nel 2014, deludente in seguito ma apparentemente ripresosi sino alla vittoria nel recente torneo di Brisbane, fosse continuamente vicino a un successo sull’acciaccatissimo, senza riuscire mai a travolgerlo. Aggiungerei che mi pare impossibile contro un vecchio coraggioso spinto negli angoli come un pugile sul ring, che il giovane, pur assistito da un presunto geniale coach, non si sia spinto, in 5 ore, a tentare una sola smorzata, ripeto un solo drop-shot. Di lì, e dalla caterva di errori gratuiti, 70 contro i 77 vincenti, viene la mia delusione di appassionato che, tuttavia, non dimentica l’oggettività in favore del sentimentalismo. Se vogliamo affidarci al sentimentalismo parliamo sin d’ora della prossima finale tra Federer e Nadal, che ci hanno aiutati a felicemente convivere con il Tennis negli ultimi tredici anni, disputando tra loro ben trentaquattro match, alcuni dei quali memorabili. Tanto che presto ne uscirà un libro scritto dal mio amico Steve Flink, nuovo eletto nella storica Hall of Fame, che si appresta a insignirlo del titolo di Socio Onorario. La semifinale è stata dunque appassionante per ragioni umane, e tanto deludente per la qualità che, non mancassero ancor due giorni all’ultimo match, oserei dire che il Federer ammirato sin qui ha fin d’ora vinto il suo diciottesimo Slam, il suo dodicesimo incontro diretto con Nadal. Della loro partita ha già accennato il più che stanco Rafa, nell’intervista concessa sul campo al bravissimo Jim Courier, capace di trasformarsi, almeno lui, da tennista in giornalista. Nadal ha ricordato il recente incontro, per l’inaugurazione della sua Accademia a Manacor, dicendo che lui e Roger erano talmente malconci che la loro esibizione era sfumata, e entrambi si erano rassegnati a qualche palleggio a meta campo per onorare ospiti e pubblico convenuti per la cerimonia. Tutto ciò, insieme al ventottesimo incontro tra le Sorelle Williams, mi fa pensare a quel che giorni fa, riferendosi alle Annate dei vigneti, andava affermando il Grande Moschettiere Henri Cochet, che fu il primo a spingersi a simile paragone. Stiamo assistendo al fenomeno di un tennis insolito, alla prevalenza dei cosiddetti vecchi sui giovani. I più che trentacinquenni quali le sorelle Williams e Federer sono un caso insolito o è qualcos’altro che li lascia in grado di imporsi ad una, forse due generazioni seguenti la loro? Mi pare che sistemi di allenamenti più avanzati, insieme con l’aiuto di medici, preparatori atletici, fisioterapisti, massaggiatori, allenatori, possano spiegare, almeno in parte, il fenomeno. Altrimenti bisognerebbe affidarsi ad altre ricerche, o, chissà, al destino generazionale o, perché no, alla scuola tennistica, che produce ormai giocatori che si assomigliano troppo, o somigliano ai modelli ideali degli insegnanti, in fondo spersonalizzati. Escluderei la presenza del doping, segnalato in passato (Korda, vincitore drogato dello Aus Open 1998) o anche nel presente, con la vicenda, tra i grandi, della Sharapova. Devo concludere rispondendo alla mia curiosità con una spiegazione, per altro generazionale. Le mie povere lauree semi letterarie non mi permettono risposte più acute, e me ne scuso con gli aficionados, attendendo qualche opinione più approfondita

 

Rafa-Roger, finale da sogno (Angelo Mancuso, Il Messaggero)

Come nella macchina del tempo: il tennis riavvolge il nastro e a Melbourne ci regala un ritorno al passato unico. Una finale con in campo Nadal e Federer, rispettivamente 30 e 35 anni. Un epilogo vintage di un torneo che si è trasformato nel più imprevedibile da tanti anni a questa parte, il più anziano dell’era open. Due giorni fa King Roger aveva messo in fila il connazionale Wawrinka. Ieri il mancino spagnolo ha fatto lo stesso con Baby Fed Dimitrov: 6-3 5-7 7-6 (5) 6-7 (4) 6-4. Un Rafa granitico ha fatto a sportellate con il bulgaro, che a 25 anni non riesce a liberarsi dal peso di essere paragonato al campione svizzero perché volente o nolente gli somiglia nello stile e nell’esecuzione sia del rovescio a una mano che del diritto. COME Al VECCHI TEMPI Cinque ore per tornare Nadal, quello vero, contro un avversario che ha giocato il miglior tennis della sua carriera. Rafa ha annusato la sconfitta, ma l’ha rifiutata. Nel quinto set il livello è schizzato su e sia lui che il rivale hanno avuto una chance dietro l’altra. Prima ha avuto tre palle break Nadal, poi una Dimitrov, quindi un’altra Rafa, e poi ancora due pericolosissime il bulgaro sul 4-3. Sulla prima lo spagnolo ha messo a segno un rovescio da fondo campo, sulla seconda una volèe. In quel preciso momento si è caricato come ai vecchi tempi, mentre l’avversario è crollato. Sul 4-4 il Dimitrov ha perso il servizio, poi nel game seguente ha cancellato i primi due match point, ma si è arreso al terzo spedendo lungo un rovescio. Il maiorchino sembrava bollito, consumato dal suo tennis muscolare. La sconfitte non facevano quasi più notizia e arrivavano contro rivali che un tempo stritolava. Non raggiungeva una finale Slam dal Roland Garros 2014, quando mise la firma sul nono sigillo parigino. Due anni e mezzo di sofferenze e dubbi cancellati in Australia. «Essere in finale dopo un match come questo significa tantissimo – ha sottolineato -Ho avuto un 2016 difficile e per tornare ad alti livelli ci vogliono tempo e pazienza. Ho lavorato tantissimo e questa finale è un sogno che si avvera. Sfidare di nuovo Federer sarà un privilegio, è qualcosa di speciale per entrambi». La loro rivalità, per quanto all’insegna del politically correct, è una delle più suggestive della storia dello sport, oltre che una perfetta contrapposizione di stili. IL MATCH DEI MATCH Non ci sono Djokovic o Murray che tengano: quando giocano Roger e Rafa il mondo del tennis si ferma. La finale degli Australian Open di domani sarà il capitolo n.35 di questa saga. Federer ha vinto più Slam, l’ultimo nel 2012 a Wimbledon (17 contro 14), ma Nadal è avanti nei precedenti (23-11), divario che diventa ancor più netto se si considerano i soli Major, in cui si è imposto in 9 sfide su 11. Lo svizzero ha prevalso solo nelle finali di Wimbledon 2006 e 2007. Tutto cominciò a Miami nel 2004, quando Rafa era il più giovane del tabellone, 17 anni. In due set spedì a casa Federer. Fu il primo segnale che King Roger aveva trovato la sua nemesi. Che domani vinca il migliore, chi non fa differenza. Questa finale è già storia

 

Federer-Nadal, una poesia. E molti conti da regolare (Marco Lombardo, Il Giornale)

La frase che spiega di più quanto succederà domani a Melbourne è di John McEnroe: «I due più forti di sempre nel campo dedicato a Rod Laver: il tennis non può avere di meglio». Raccontare Federer-Nadal ai posteri è dimostrare che ci sono tennisti ma anche uomini che giocano a tennis, che esistono giocatori e pure campioni. E che soprattutto talenti si nasce, ma fuoriclasse non si diventa se non con un lavoro duro e un senso innato per la passione. Federer-Nadal insomma sarà la finale più incredibile di questi Australian Open, ed è anche la partita più completa che la storia del tennis abbia mai prodotto. E la storia di una rivalità diventata amicizia, di una stima che è esondata in ammirazione, di due stili che messi a confronto si incastrano come due tessere di un puzzle capolavoro. E rivederli uno contro l’altro per contendersi uno Slam, otto anni dopo l’ultima volta a Melbourne e sei dall’ultima finale di Parigi, è un’emozione che solo la fantasia dello sport può regalare quando pensi che la festa sia finita. Neppure Grigor Dimitrov, giocando la partita quasi perfetta, è riuscito ad opporsi al destino, ma la differenza appunto la fanno i momenti importanti, quando il campione sul 4-4 del quinto set salva due palle break – ovvero i punti della probabile sconfitta – con quattro colpi vincenti. II punteggio finale (6-3, 5-7, 7-6 , 6-7, 6-4) è dunque la somma forale di fatica e meraviglia, quella di un match giocato alla Nadal senza più essere il Rafa di un tempo ma quanto basta per superare un avversario in stato di grazia. Tornato ad essere quello che, non a caso, chiamavano baby Federer. Così eccoli di nuovo Rafa e Roger per la ventiquattresima volta: conduce lo spagnolo 23-11, ma che importa. Questa volta non è come le altre. Anche Nadal ha ricordato di quando Federer è andato a trovarlo per l’inaugurazione della sua accademia a Manacor: «E stato grande, mi ha fatto felice. Lui in un paesino così piccolo del mondo». E non è stato un caso che solo Roger fosse lì: era l’unico che potesse esserci. Perché Federer è stato l’esempio per Rafa quando sognava di arrivare in cima al tennis, Nadal è stata la sfida più grande di Roger quando lo spagnolo ha cominciato a batterlo. Uno è stato la motivazione dell’altro, l’altro è stato il tarlo dell’uno, come quella volta a Roma (2006) in cui lo svizzero a un passo dal match al quinto set si è sentito come Will Coyote che finalmente acchiappa Beep Beep: ha mollato la presa senza un perché. Senza Federer, Nadal sarebbe stato numero uno incontrastato molto più a lungo. Senza Nadal, Federer avrebbe fatto due volte il Grande Slam negli anni in cui ha vinto tutto tranne la finale di Parigi. Persa contro di lui. Insieme hanno dominato il tennis; insieme si sono fatti rimpiangere quando l’usura sembrava averli fatti fuori. Fino a quando il tennis non ha deciso di raccontare il miracolo di Melbourne. Diciamolo: la storia ha vissuto diverse rivalità, ma non c’è un Borg-McEnroe, un Sampras-Agassi, un Becker-Edberg che sia stato un duello così lungo e così completo. Così bello. Per questo domani mattina saremo tutti lì: Federer ha due ore in meno di gioco e un giorno in più di riposo, Nadal l’arma per entrare nel cervello del suo avversario e fargli perdere tutte le certezze. Qualcuno dice che potrebbe essere l’ultima volta. Ci credereste?

 

Schiavone: “Vincerò ancora” (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Vi sono donne che lasciano il segno, e non dispongono di chissà quali armamentari per farlo. Bastano una parola, un modo di essere. Una racchetta. Al passo d’addio, Francesca Schiavone ha il potere di farci sentire, già o , un po’ più soli. Quando ha vinto è venuta a dirci che si poteva farlo ancora, farlo meglio, fare di più. L’arte di sentirsi inappagati è una grande eredità, non solo per lo sport. Ma va raccolta, e lei è pronta a dare una mano. Altrove, purtroppo. I talenti italiani se ne vanno, non solo dall’università. Anche dal tennis. Lasciare e ripartire. Consigliano di non perdere tempo. Di cambiare pagina e rimettersi rapidi in cammino. «Ci sto pensando, le idee non mancano. Avevo bisogno di una nuova base, l’ho trovata. Mi godo questi ultimi mesi, poi ricomincio da capo». Una base. E dove? «America. Andrò a vivere là, a Miami Ho una casetta lì, ed è quello che ci vuole. In un contesto che mi affascina». Ma dai, l’America di Trump… E Miami poi, la città dei pensionati… «Non sfottere. No, l’America che cerco è un’altra, e non c’entra Trump. Cerco un posto abituato a dare meriti a chi ne ha, un contesto in cui le capacità vengano riconosciute, dove non vi sia volontà di distruggere, ma di apprezzare. Prova a considerarla una sfida, e neanche facile, temo. L’Italia? Non la ripudio, no davvero, le voglio un bene da pazzi. Per certi versi sarebbe stato più facile, avrei continuato a recitare nei panni della Schiavone che ha vinto a Parigi, a partecipare a eventi in nome di ciò che ho fatto, e guarda, prometto che se mi chiameranno verrò di corsa. Ma ho ancora voglia di investire su me stessa, di misurarmi con quello che so fare. L’America può darmi le risposte che cerco». Che cosa porti con te in America? «Porto la mia Italia. La mia creatività» E ancora il nostro simbolo, vero? «Lo è. Ci cercano ancora per questi valori, e ci cercheranno sempre. Noi tendiamo a sottovalutarci». Non sarà facile insegnarla «Forse. Ma il quadro d’assieme è il migliore possibile. I ragazzi, laggiù, hanno basi solide, e non parlo solo di tennis. Ma non sanno andare oltre. Io posso aiutarli, penso di poter diventare una buona insegnante, lo faccio con piacere e disinvoltura». La creatività è come la punta di un iceberg, sotto occorre un mare di cultura, per sorreggerla. «Ever. È uno dei nostri problemi maggiori. I nostri ragazzi hanno slanci generosi, pensieri alti, ma basi poco solide. Sono problematiche che conosco, perché le ho vissute. Avrei voluto lavorare di più sulla mia conoscenza delle cose e del mondo. Ma lo sport professionistico impone ritmi non facili da abbinare al resto. S’impara dal mondo che frequentiamo, e non è tempo perso nemmeno quella. Avevo cercato agli inizi un approccio universitario, ma lo ammetto, lo sport ti assorbe completamente». Sei una grande lettrice di libri, vero? «Si, una lettrice avida di libri. E un po’ strampalata nelle scelte» Strampalata? «Temo di si. Per anni ho letto libri di psicologia. Tutti. Quanti ne hanno scritti? Mille? Li ho letti. Diecimila? Ho letto anche quelli. Ne sono uscita con la testa in fiamme e una visione delle cose un po’ contorta». E ora? «Niente libri di psicologia. Se ne vedo uno, scappo. Ma tanto di tutto il resto. Belle storie, soprattutto. Avventure». La tua è una bella storia. Come la racconteresti? «Senza fingere. La racconterei per quella che è stata. Ho sgobbato come una matta, ma la fatica vera non è quella fisica, piuttosto viene dal lavoro che serve condurre su se stessi. Trovare una propria strada, un modo di essere, di crescere, di farsi una ragione delle cose, di saper valutare le vittorie e le sconfitte. Ecco, questa è stata la parte più complicata». Difficile da insegnare ai ragazzi… «Sì e no. Occorre vedere che cosa hanno dentro. Certe motivazioni devono essere già lì, magari nascoste, ma dentro di loro. Certe voglie non s’introducono con un trapianto e non è facile insegnarle». Due immagini di questi anni, che porterai con te «Immagini di gioia. La mia, quando ho vinto Parigi. Una foto mi mostra mentre cerco di mangiare quella terra rossa, non vi fu niente di costruito, ci avrei provato anche fosse stato cemento. Poi, la gioia del pubblico di Melbourne, quando vinsi un bellissimo match con Svetlana Kuznetsova. Mamma mia, quanta intensità». II tuo addio strappa al tennis alcune forti connotazioni, la qualità nella costruzione di un match, e la gioia del gioco che tu hai saputo esprimere. Mi guardo intorno e non ne vedo molte altre, come te. «Le giovani tenniste mi avvicinano, mi chiedono consiglio. La costruzione del match si può insegnare, ma nasce da una precisa scelta personale. Se non ti sai mettere in discussione, non puoi cogliere il momento utile per cambiare tattica di gioco. La gioia invece fa parte delle motivazioni di cui parlavamo prima Difficile insegnarle, impossibile imporle. Però, è vero, mi sono divertita da matti a giocare a tennis. Ci ho messo tutta me stessa, e mi fa piacere, oggi, con tanti anni di partite sulle spalle, sentirmi ancora inappagata. Ho una voglia di vincere, e di stupire ancora me stessa e gli altri, che mi scuote dentro». E questo il tuo segreto, Francesca? Sentirti inappagata? «Si. Non insoddisfatta, badate. Inappagata. Gioco bene e penso, posso fare meglio. Vinco e mi dico, fallo ancora. È uno stimolo forte, trascinante e a volte stordente. Ma spero non mi abbandoni mai

 

 

 

 

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement