ATP Indian Wells, Medvedev all'arbitro: “Campo lento? E io sarò lento in bagno”

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ATP Indian Wells, Medvedev all’arbitro: “Campo lento? E io sarò lento in bagno”

In un siparietto con il giudice di sedia Lahyani, Daniil Medvedev prova a fare il duro. Ma sa il significato di duro?

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Daniil Medvedev – ATP Indian Wells 2023 (foto Ubitennis)
 

Non basta a Daniil Medvedev una striscia aperta di sedici vittorie consecutive che gli è valsa tre titoli e (per adesso) gli ottavi di finale al BNP Paribas Open. Non basta, forse perché in quel momento le vittorie erano ancora quindici, a evitare una sua stilettata, espressa all’incolpevole arbitro Mohamed Lahyani, questa volta nei confronti della superficie di gioco.

“Questa volta” perché ultimamente si era lamentato – né primo né ultimo, in realtà – delle palline usate in Australia e in Medio Oriente, secondo lui sgonfie (ma c’è chi le aveva trovate troppo veloci, chi quasi contemporaneamente rapide e lente, chi ce l’aveva con il feltro…). Dopo aver sostenuto che era come colpire una palla medica e suggerendo che alcuni infortuni dei colleghi fossero da attribuire proprio alla combinazione di palle lente e superfici dure, in California si era detto fiducioso perché le condizioni erano simili a quelle di Doha (uno dei tre trofei alzati), forse anche più lente. L’unico problema è che “se a Indian Wells ho una brutta giornata, diventa più difficile che in ogni altro posto”. E la (molto relativamente) brutta giornata è arrivata al suo secondo match, quando è stato costretto al terzo set da Ilya Ivashka, con la grossa complicità di sé stesso o, meglio, della propria assenza per uno scampolo di match che gli è costato appunto il secondo parziale. Niente di preoccupante, anche perché Ilya non è più quello del 2021.

In ogni caso, quando si rivolge a Lahyani chiedendo il toilet break, lo avverte: “Sarò lento a fare pipì quanto è lento il campo. Quindi puoi prenderti 25 minuti. Il campo è lento, io vado lentamente”. E nel caso il concetto non fosse sufficientemente chiaro, aggiunge: “Mi prendo il tempo necessario”.

L’arbitro, che per la funzione che ricopre non può dirgli di smettere di comportarsi da bambino e che, se fa tardi, non gli dà la merenda, gli ricorda che “sei un professionista, devi accettare queste condizioni”. “Non le accetto” è la prevedibile risposta di Daniil. “Nella scheda informativa c’è scritto che questi sono campi in duro (hard courts). Questi non sono campi in duro”.

Non è la prima volta che Medvedev se la prende con la superficie di gioco. Lo ricordiamo nella brillante filippica al Roland Garros quando iniziò a percuotere il campo con la racchetta e, al giudice di sedia che gli aveva chiesto di non danneggiare la superficie, rispose: “Non posso romperla, è già rotta”. Non aveva nemmeno tutti i torti in quella circostanza, dal momento che il manto è realizzato “rompendo dei mattoni”.

In questo caso, tuttavia, hard significa duro, non veloce, e una qualche corrispondenza tra i due aggettivi raramente si concretizza nel Tour. Ciò non toglie qualche ragione a Daniil, sia per i campi ruvidi di Indian Wells sui quali alcune caviglie si sono già “girate” (Passaro, van de Zandschulp), sia per il siparietto a ravvivare un match a base di tanti scambi lunghi. La maggior parte dei quali vinti da Ivashka.

Dopo il match, è tornato sulla questione davanti ai giornalisti. “È molto difficile giocare qui, per tuti. Credo ci siano, diciamo, dieci tennisti che hanno la qualità per farlo. Non dirò quali, ma hanno qualcosa nel loro gioco che li può aiutare. Gli altri, tutti a faticare”. Al ventisettenne moscovita piace il numero 10: due giorni prima, parlando di Rafa Nadal, lo definiva la migliore e la peggiore sfida sulla terra battuta perché aveva perso “quanti, dieci incontri?”. Poi prosegue nella spiegazione. “Ci sono tanti incontri con un 6-1. Lo guardi alla TV e pensi che quello che lo ha perso non sta giocando male. Sbagli pochi colpi in momenti importanti dopo scambi da 25 colpi. Questa è stata la differenza tra il secondo e il terzo set [contro Ivashka]. Non posso dire di aver giocato molto meglio nel terzo, ma sono riuscito a essere quello a non sbagliare dopo 25 colpi”.

Il prossimo impegno sarà la tredicesima sfida contro Sascha Zverev, bilancio in parità. Se da un lato ormai i due si conoscono bene, dall’altro “ogni match contro un top player è un nuovo inizio perché lui cerca di adattarsi e io cerco di adattarmi”. L’ultimo loro a confronto risale alla finale delle ATP Finals del 2021, con un doppio 6-4 per il tedesco. “Innanzitutto, ha servito benissimo, quella è stata la chiave per lui. Penso che qui sia un po’ meno importante, ma sono sicuro che scambieremo molto. Alla fine conterà, sempre dopo una ventina di colpi, chi riuscirà a giocare quello migliore per mettere l’altro fuori equilibrio, cosa non facile qua”.

In una piccola pausa dal tema tennis, Medvedev apprezza la domanda su quali siano le differenze fra le tre lingue che parla, russo, inglese e francese. “Immagino che il russo sia molto difficile, ma ci sono nato, non l’ho studiato. Ho imparato l’inglese da giovane, sono davvero contento di potermi esprimere bene perché è la lingua più importante, è il mezzo con cui tutti comunicano. Il francese non è facile, non sapevo una parola fino ai 17 anni. Ho iniziato a studiarlo un po’ quando ho saputo che mi sarei trasferito in Francia. Una lingua molto complicata. In Russia, come probabilmente ancor più in inglese, letteralmente pronunciamo tutto quello che c’è scritto. In francese, metà delle lettere non si pronunciano, ho dovuto farci l’abitudine. Ora le parlo tutte correntemente e talvolta nemmeno so in quale lingua stia pensando. Non sogno molto, ma probabilmente lo faccio in russo. Lo stesso sul campo, quando mi arrabbio, non decido quale usare: viene fuori da sé”.

Daniil torna sull’argomento “corde” di cui aveva già parlato in più di un’occasione, dicendo che le aveva cambiate per adattarsi alle condizioni di gioco più lente, senza però specificare se quelle attuali siano più sottili o più grosse, eventuali aggiustamenti del bilanciamento del racchetta o della tensione. ”Ci sono giocatori capaci di cambiare la tensione di 0,1 chili e dire, ‘sì, così è meglio’. Tu dammene una tirata a 20 chili e una a 25 e probabilmente non sento la differenza. Non so esattamente in che modo siano diverse queste corde, ma sono più morbide e si chiamano Soft. Prima erano le Razor Code, adesso le Razor Soft. Le sento più morbide all’impatto, così la palla va di più, tipo trampolino. Più veloce senza che debba metterci del mio. La racchetta è rimasta identica. Neanche la tensione ho cambiato, quindi ho dovuto adattare le mie sensazioni perché, se continuassi a colpire allo stesso modo, la palla volerebbe fuori. La cosa più curiosa è che, quando qualcosa non va per il verso giusto – come in Australia, anche se non avevo giocato male –, subito arrivano i dubbi. Sono felice di aver vinto i tre successivi tornei e ciò prova che le corde sono buone”.

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