Nick Kyrgios: il Cenerentolo d’Australia

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Nick Kyrgios: il Cenerentolo d’Australia

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Con gli Australian Open di Melbourne alle porte le speranze dei padroni di casa sono tutte su Nick Kyrgios. Il fenomeno di Canberra ha stupito il mondo l’anno scorso a Wimbledon, ma arrivare a quel punto non è stato facile

 

Correva l’anno 2009, tutta l’Australia nel gennaio estivo di Melbourne riponeva le proprie speranze tennistiche su un giovane già ben sviluppato, dai colpi potenti e capace anche di inventiva. A detta di molti, poteva riportare i Down Under in vetta al ranking e alla vittoria di slam pochi anni dopo quel cagnaccio di Lleyton Hewitt. A soli 16 anni e due mesi, onora la wild card e passa il primo turno degli Australian Open, fermandosi due giorni dopo di fronte a Muller.

Oggi quel ragazzo, Bernard Tomic, gigioneggia attorno alla sessantesima posizione del ranking, non ha più ripetuto i fasti di gioventù, si circonda di personaggi loschi e finora la storia del tennis l’ha fatta perdendo il match più veloce della storia di questo gioco, ventotto minuti e dieci secondi di taedium vitae contro Nieminen a Miami, nel 2014. Insomma una promessa non mantenuta e infatti questo articolo non è su di lui.

Quello stesso giorno del 2009, davanti alla tv a fare il tifo c’è anche un ragazzo cicciottello, che come nei film vorrebbe fare sport ma non ne ha il fisico. Ha 14 anni e deve scegliere a cosa dedicarsi da lì in avanti; ha fatto un po’ di tennis ma più che altro va al circolo a fare da raccattapalle al fratello maggiore Christos.

Dopo aver assistito al torneo e alla fantastica finale fra Federer e Nadal, Cenerentolo Nick capisce che nel tennis si corre troppo e fa finalmente la sua scelta: sarà un giocatore di pallacanestro. Tanto con quella trippa, uno vale l’altro: non sarà mai un campione.

Peccato per lui che i genitori la pensino diversamente. Al papà greco Giorgos e alla mamma Malese Nirlaila piace il tennis, punto e basta. Nick deve fare il tennista. Un tennista da circolo si intende, tanto con quella panza prenderà solo pallate. E poi ha già 14 anni, troppo tardi per iniziare un qualsiasi sport con speranze di successo. Magari che so, il tiro a piattello.

Ma Cenerentolo Nick ha un qualcosa che nessuno aveva preventivato: una gran forza di volontà. Si mette sotto, si allena e come nelle migliori favole, un anno dopo ha già un fisico da nuotatore. Mentre i suoi coetanei vanno alle Fiji a fare le vacanze cool, lui ci va a giocare a tennis e vince il suo primo torneo ITF contro altri 15enni che palleggiano da quando ancora avevano il ciuccio; è ufficiale: Nick non è più Cenerentolo, ha un talento pazzesco e sarà principe del tennis.

Nel 2013, il giovane di ancora belle speranze Tomic approda al terzo turno di Melbourne dichiarando baldanzoso che “Sempre che Federer arrivi a sfidarmi, sarà molto dura per lui contro di me”. Federer ci arriva e lo batte in 3 set. Sui campi secondari Nick con umiltà e lontano dai riflettori macina game contro i suoi pari età e si aggiudica il suo primo slam Juniores battendo in finale il suo amico Kokkinakis.

Ma Nick ancora non è celebre, va avanti a borse di studio del college, non ha una carta di credito della federazione senza limite di spesa come il golden boy Bernard. Però un po’, giusto un pochetto in lui ci credono, e allora ecco arrivare grazie alla collaborazione fra australiani e francesi, una wild card per il Roland Garros. Per le qualifiche ovviamente, non esageriamo.

Ma quella di Nick è una favola e le favole han sempre dei colpi di scena: il prescelto John Millman si fa male, l’Australia resta senza la sua wild card per il tabellone principale, e a questo punto non resta che promuovere il buon Nick, che non ha ancora vinto un match Atp. A Parigi trova Stepanek e lo batte in 76 76 76, prima di arrendersi a Cilic nel turno successivo; è la grande sorpresa e il mondo tennistico inizia a parlare di lui.

Nick Kyrgios (la “G” è muta, un po’ come la “D” di Django) ora non deve più raccogliere le palline al fratello Christos, che nel frattempo ha mollato lo sport ed è diventato avvocato, e forse un po’ di trippa l’ha messa su lui. Procede a gonfie vele vincendo anche i primi match nei master 1000, si qualifica per gli Us Open sempre con mamma e papà al seguito e il tifo a distanza della sorella Halimah, che fa la ballerina e gli fornisce consigli sulla coordinazione.

Arriva il 2014 e Nick per la prima volta si guadagna il diritto ad entrare nel tempio del tennis. A Wimbledon è fortunato, ha un primo turno relativamente facile e ne approfitta, batte il francese Robert. Ma al secondo ha la strada sbarrata da Gasquet, testa di serie numero 13. Riccardo cuor di telone va a matchpoint. Poi ne ha un altro, poi un altro ancora, nove in totale. Ma questa è la favola di Nick, li annulla tutti, vince 10-8 al quinto. Poi travolge Vesely e agli ottavi ha di fronte il numero uno: Rafael Nadal. Sì, quella furia rossa che cinque anni fa lo abbagliò alla tele, battendo il suo idolo Roger e facendogli pensare che il tennis non fosse roba per lui.

Memori della figuraccia di Tomic, stavolta nessuno si sbilancia. Gli australiani piantano i piedi ben bene per terra e dicono che Nadal è imbattibile, che Cenerentolo Nick deve puntare a fare bella figura e esperienza. Laver è uno di questi. Non solo, persino sua madre non crede in lui.

Come finì quel giorno lo sanno tutti: Nick il ciccione batte la furia Rafa in 4 set, permettendosi anche di fare questo. Da allora la sua classifica non è che progredita, portandolo fino al numero 50: non ha più bisogno di wild card ora, Cenerentolo Nick agli slam ci va per merito, e così sarà anche a Melbourne fra una settimana, con l’onore d’essere lo spauracchio che tutti vogliono evitare nei primi turni.

In un’intervista rilasciata a Tennis Magazine Francia, il giovane australiano racconta del successo e della fama arrivati dopo la sorprendente vittoria contro Rafael Nadal a Wimbledon, della difficile scelta a 14 anni fra basket e tennis e dei suoi tennisti preferiti.

Possiamo dire che la tua vita è cambiata molto, in particolare dopo la tua esplosione a Wimbledon?

Si la mia vita è cambiata molto. Soprattutto in Australia. Prima ero completamente sconosciuto. Oggi sono sempre “sotto i riflettori”, posso a malapena camminare per strada. Le persone mi riconoscono, mi chiamano, mi chiedono autografi…si si può dire che la mia vita è cambiata, ma in meglio! Il ricordo di Wimbledon è ancora molto vivo per me. Sono state le due settimane più belle della mia giovane carriera e questo non ha fatto altro che aumentare il mio desiderio di allenarmi ancora più duramente, così da poter provare di nuovo certe emozioni. Quando si assapora il successo, vuoi che ritorni. Anche questa posso considerarla una cosa che per me è cambiata. Ora pretendo di più da me stesso. Forse troppo. Sono ancora giovane, la strada è lunga, sono lontano dal poter dirmi arrivato. Devo imparare a essere paziente, che non è il mio punto forte.

 Dopo quei quindici giorni da sogno, è stato difficile tornare al “tran tran” degli allenamenti e dei tornei?

Certo che si. Devi capire, hai fatto un quarto di finale a Wimbledon battendo il n.1 del mondo, tutto è accaduto in un attimo, hai l’impressione di essere in cima e in maniera così veloce, devi passare oltre e ripartire dal “carbone” (basso). Dopo Wimbledon, mi sono fermato una settimana, sono stato a Canberra, e poi sono ritornato direttamente a Melbourne ad allenarmi.

 Oggi, se ripensi a Wimbledon, qual’ è il ricordo più speciale?

Sicuramente la vittoria con Gasquet, più di quella con Rafa. Ricorderò quel match tutta la vita. Due set di ritardo, nove match point, è stato incredibile. […] (scherzano sul fatto che Gasquet sia simpatico ma lo sarebbe meno se si parlasse di quella partita)

 Più seriamente, è stato incredibile, nove match point, una sorta di record, ma è apparso come se tu li abbia salvati sempre con una serenità e una sicurezza sconcertanti….

Si, è stato tutto al limite della follia. In realtà non so nemmeno bene come sia successo. Sul momento non ho avuto l’impressione di salvare nove match point. Forse due o tre, a dirla tutta. Sono rimasto nella mia “bolla”, non ho pensato molto al campo. Avevo un filo conduttore, non ho pensato ad altro che a tirare dei servizi potenti, basta. Questo, senza dubbio, mi ha permesso di vincere.

Avere sulla panchina, come capitano, Pat Rafter aiuta a crescere, vero?

Certamente! E’ stato uno dei più grandi giocatori della sua generazione, ed è una persona molto aperta. Mi parla spesso e mi aiuta tantissimo. Posso dire di avere un ottimo rapporto con lui.

 L’Australia, si sa, è una delle patrie del tennis, con numerose leggende viventi. E’ difficile, in qualche modo, subire il peso di questa tradizione?

Si lo è. Il nostro passato fa si che il pubblico australiano sia molto esigente, in generale si aspetta molto dai suoi giocatori. Non si emozionano facilmente. In questo senso, è sempre più difficile per un giovane giocatore australiano. Allo stesso tempo però questo ti spinge anche a migliorare.

 Molte persone si sono stupite del tuo cambio di coach dopo Wimbledon, proprio dopo aver raggiunto il più bel risultato della tua carriera. Tu hai giustificato la scelta con il desiderio di tornare nella tua città natale Canberra,  è così?

Si è vero. Tutta la mia famiglia vive lì, tranne mia sorella che è a Londra,  e anche la maggior parte dei miei amici. Sento molto la loro mancanza quando sono via per i tornei, quindi cerco di tornare il più spesso possibile tra un torneo e l’altro. Ma prima, avendo la mia sede di allenamento a Melbourne, avevo pochissimo tempo per stare a Canberra. Le cose erano chiare col mio coach, sapevamo già prima di Wimbledon che quello sarebbe stato il nostro ultimo torneo insieme. Ovviamente, visto com’è  andata, questo ha reso la fine della nostra collaborazione un po’ speciale, e anche un po’ più difficile. Viaggiavo con Simon 18 mesi all’anno, lui non era solo un ottimo coach per me, ma anche un ottimo amico.

 Sono stati i tuoi genitori a introdurti al tennis?

No, nessuno dei due gioca. Mio padre giocava a calcio e mia madre a badmington. Ho cominciato a giocare per caso. Non so nemmeno come ho cominciato(sorride). Quando ero ragazzo giocavo molto anche a basket, peraltro ad un buon livello. Poi, a 14 anni, ho dovuto fare una scelta, perché era impossibile conciliare le due cose. Mi ricordo che è stata una scelta molto difficile da  prendere. I miei genitori preferivano il tennis e mi spinsero un po’ in questo senso. Allora ho scelto il tennis, e alla fine dei conti è stata una buona scelta. (ride)

Allora forse avresti potuto fare anche una gran carriera da cestista?

Può darsi, chi lo sa. Pensa che ho anche battuto Monfils, che non è poco… (ride)

Ed è vero che Gael è uno dei tuoi giocatori preferiti oltre che uno dei tuoi idoli giovanili?

Si ancora oggi, senza dubbio, è uno dei giocatori che guardo più volentieri insieme a Federer.
Roger per la perfezione del suo tennis, Gael per il suo spettacolo. Per fare show e caricare il pubblico, lui è unico nel suo genere. Lui mi ispira in questo senso, che, come lui, io voglio cercare di giocare bene offendo spettacolo per il pubblico.. E’ una cosa che mi piace. Sul campo faccio parte di quei giocatori che amano sentire l’eccitazione. La folla è un qualcosa che mi aiuta a concentrarmi, a restare lì’!

 Ma preferisci vincere giocando male o perdere giocando bene?

Certamente vincere, non c’è ombra di dubbio.

Comunque sembri essere un giocatore che vive molte emozioni sul campo e che ama condividerle…

Si sono sempre stato un giocatore emozionale. Parlo molto sul campo. Talvolta può anche essermi nocivo. Credo che sia una cosa dovrò imparare a gestire meglio nel futuro. Ci sto lavorando. Ma è qualcosa che fa sempre parte di me.

 Parlando con te si ha la sensazione che tu sia come sul campo, abbastanza freddo e rilassato. E’ giusta quest’impressione?

Non lo so, sono soltanto un giovane uomo normale, mi piace passare tempo con la mia famiglia, amo lo sport, i videogiochi, non c’è niente di speciale, sono un ragazzo come tanti altri.

La tua più grande qualità e il tuo più grande difetto?

Come qualità direi di essere spassoso. Almeno, i miei parenti dicono che li faccio sempre ridere. Difetto non saprei,  un po’ pazzo, forse? (sorride)

 Tornando al tennis, tu sei a capo di una generazione di “teenager” che cerca di farsi spazio tra i più forti in un’epoca in cui molti dicono che non è più possibile a quest’età. Come lo spieghi?

Non posso parlare per gli altri. Per quel che mi riguarda , credo molto in me stesso, so di poter competere con i migliori. Credere in se stessi, avere fede, è la cosa più importante. Poi, mi rendo conto di dover fare ancora molti progressi sul piano fisico, anche se sono alto e potente. Ma ho fiducia in me. Questo è forse il problema di molti giovani, non credono abbastanza di poter vincere quando arrivano sul circuito. Io ci credo.

 Non hai avuto infortuni quest’anno, salvo di recente all’avambraccio sinistro. Ti preoccupa?

Necessariamente, e so che devo fare molta attenzione in quel punto, nelle cure e nel recupero. Ho un gioco esigente, e quando affronti i migliori, sono sempre partite molto dure e un po’ traumatiche per il fisico. Sto molto attento nel rapportarmi a questo.

 

Traduzione intervista a cura di Matteo De Laurentis

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