Amicizia e rivalità nelle epoche: ma Andy Murray si fida di Novak Djokovic?

Editoriali del Direttore

Amicizia e rivalità nelle epoche: ma Andy Murray si fida di Novak Djokovic?

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L'Italia della Coppa Davis 1976 contro il Cile
 

Quando manca la fiducia manca anche l’amicizia. Non si può pensare male di una persona e chiamarlo amico. Adriano Panatta e Corrado Barazzutti. Rafa Nadal e Roger Federer

Quanto accaduto nella finale dell’Australian Open, con Novak Djokovic che ha dato più volte l’impressione al pubblico presente e a quello davanti alla tv, ma soprattutto al suo avversario, di avere qualche problema fisico, più o meno serio ma poi rivelatosi molto poco serio, e le successive dichiarazioni, per certi versi sorprendenti, di Andy Murray “Mi sono distratto” parente stretto di un altro concetto più accusatorio “Mi ha distratto”, finiscono per porre un interrogativo anche per due coetanei che si conoscono e si frequentano da quando avevano 11/12 anni coltivando gli stessi sogni e sopportando gli stessi sacrifici, lontano da casa, con tante aspettative da parte dei loro clan familiari a pesare sulle loro spalle.

Possono due campioni che puntano entrambi a vincere gli Slam e a sedersi sullo stesso trono del tennis mondiale, essere davvero amici al punto di sacrificare la loro inevitabile rivalità al massimo rispetto reciproco quando si affrontano? Oppure quando si tratta di vincere una finale importante occorre essere capaci di non guardare in faccia a nessuno ed ispirarsi soltanto al mio concittadino Machiavelli secondo il quale – almeno gli si attribuisce comunemente un pensiero simile (anche se qualcuno in tempi moderni lo contesta)- “il raggiungimento di ogni fine giustifica il mezzo”?

E mi domando se a volte non sia proprio la grande vicinanza di età, cammino e frequentazione, l’assiduità di un rapporto maturato fin dalla più giovane età, a non creare piccole scintille di gelosia, che poi prendono fuoco quando meno uno se lo aspetta. Perché può venir naturale che i difetti di uno – nobody is perfect -via via diventino sempre più insopportabili ed intollerabili per l’altro. Se fra due persone, e anche i campioni sono persone, viene a mancare la stima e la fiducia reciproca, e uno pensa anzi sempre che l’altro “voglia fare troppo il furbo” e “lo freghi”, beh l’amicizia va a farsi benedire e chi, nonostante ciò, si professa amico è in realtà molto semplicemente un ipocrita. E’ certo difficile sognare di battere l’altro, di scalzarlo dalla sua posizione, eppoi essergli davvero amico nel profondo del cuore.

Fra Rafa Nadal e Roger Federer corre indubbiamente buon sangue e stima reciproca perché ciascuno dei due non può non ammirare l’altro, sia per i risultati raggiunti, sia per tutte le volte che pur giocando bene uno dei due ha finito ugualmente per  perdere dall’altro. Però fra i due c’è un discreto distacco anagrafico, cinque anni, e questo spiega perché inizialmente Rafa guardasse a Roger come ad un mito, un esempio da imitare, e perché poi, dopo averci preso qualche lezione che non si aspettava – soprattutto sulla terra rossa – Roger che è l’emblema vivente dell’uomo politically correct, ha cominciato a pensare che non era sempre lui ad aver giocato male.

E’ questa, di solito, la debolezza e la forza di Roger: dal suo punto di vista lui non dovrebbe mai perdere! E se succede è più spesso colpa sua, a sentir lui. Basta leggere le sue dichiarazioni se non si è stati presenti ad ascoltarle. Sconfitto più  di una volta da Nadal, anzi il più delle volte, Roger è stato costretto ad ammettere, per primo a se stesso,  che anche quel mancino di Maiorca aveva delle qualità sorprendenti. Da lì l’ammirazione per Nadal che aveva poi sempre manifestato con (apparente -sincera? – umiltà la sua grande ammirazione per Roger (qualità non indifferente agli occhi di Roger).

Ciò significa che i due oggi sono veri amici? Mah, io non credo. Età a parte sono troppo diversi, anche se – a contrario – non è scritto da nessuna parte che per essere amici si debba essere uguali o simili, nè avere gli stessi gusti, le stesse abitudini o hobby. Il fatto che uno sia svizzero -e tendente ad atteggiamenti per l’appunto neutrali da buon svizzero, sposato e “legatissimo” (?!) alla moglie e con 4 figli  – e l’altro un isolano spagnolo ancora scapolo seppur più che fidanzato, non esclude affatto che i due possano essere grandi amici. Secondo me magari  lo diventeranno, un po’ come è successo ai due grandi rivali di fine anni ’70, John McEnroe e Bjorn Borg. Sembravano diversissimi, in tutto e per tutto, anche se era una bufala quello stereotipo che si leggeva su molti giornali che definivano e titolavano Bjorn “Ice-Borg”.

Bjorn non faceva mai una piega in campo…o quasi (ricordate come reagì per il lancio delle monetine al Foro Italico nella finale del ’78 vinta al quinto su Panatta?). Era di ghiaccio solo lì. Ma fuori era un vulcano. Per le donne è sempre andato matto, e se all’inizio aveva trovato in Mariana Simionescu una “simil Mirka Federer”, poi però, dacchè i due si separarono, Bjorn ne ha combinate più di Carlo in guerra, stimolato anche da un altro amico, Adriano Panatta, che gli presentò l’ipotesi di una vita diversa, Loredana Bertè…e non solo. Ma aveva un debole, il buon Bjorn, anche per le birre, l’alcool, e forse qualcosina di più: per questo andava molto d’accordo con McEnroe e con il povero Vitas Gerulaitis. Quante ne hanno combinate insieme quei tre! Loro erano certamente amici, e può anche essere che il ritiro prematuro di Bjorn a 26 anni, abbia contribuito a farli sentire tale. Se Borg avesse continuato a battere McEnroe come nell’epica finale dell’80 e del mega leggendario tiebreak, forse SuperEgo McEnroe non l’avrebbe ammesso alla ristretta cerchia dei suoi amici del cuore.

Venendo ai giorni nostri…durante un incontro di un paio d’anni fa a Wimbledon organizzato dalla Lavazza con Judy Murray e Tony Nadal, la mamma di Andy disse chiaramente che suo figlio ormai aveva un rapporto migliore, di maggior amicizia e complicita’ con Rafa piuttosto che con Novak, e che i due giocavano perfino a PlayStation ( o qualche altro gioco al computer che ora mi sfugge) a distanza. Judy fu proprio chiara: “Fra Andy e Novak c’è meno feeling di una volta”. Ma questo discorso esula un po’ dal tema. Serve solo a dire che non è che l’essere cresciuti insieme signific hidover essere grandi amici per forza. Magari i due, Andy e Novak, lo ridiventeranno, come tanti rivali che si ritrovano anni dopo il fine carriera, nel momento in cui affiorano tanti ricordi e ci si dimentica un po’ di più i reciproci “dispettucci” e financo eventuali scorrettezze. Oggi John McEnroe e Ivan Lendl non si amano di certo, ma si detestano meno di una volta e possono perfino provare a scherzare insieme. Anche se non si inviteranno mai a cena.

Ricordo bene quando dovendo giocare un’esibizione nella mia Firenze, e trovandosi entrambi ad Anversa, Sergio Palmieri -che era insieme a  Carlo Pennisi il coorganizzatore dell’esibizione – tentò di convincere John,che aveva noleggiato un aereo privato, a dare un passaggio anche a Ivan. Invano, non ci fu verso. Ma anche lì siamo fuori tema, non c’era mai stata (neppur millantata…) vera amicizia. Nell’ambito delle squadre di Coppa Davis o di Fed Cup si è invece spesso spacciata per amicizia un rapporto che non era tale. A volte per la troppa differenza di stile, carattere, personalità, background di due giocatori che magari si sono trovati a giocare l’uno al fianco dell’altro per diverse centinaia di volte in doppio, condividendo quindi gioie e dolori ogni volta.

Il romano della ricca borghesia Nicola Pietrangeli era troppo diverso, ad esempio, da Orlando Sirola, istriano di Fiume, serio, anzi serioso, con alle spalle tutta un’altra famiglia, vita, situazione economica e aspirazioni (Nicola era ricco, e non tanto per il padre rappresentante in Italia della Lacoste, quanto per una clamorosa vincita multimilionaria della madre russa al lotto francese; Orlando era povero in canna). Si saranno abbracciati un migliaio di volta, tre finali di Slam ed una vinta, nove finali al Foro Italico e mai vinta una, hanno fatto mille trasferte insieme, si volevano bene alla fine, ma uno leggero, spesso ai confini della superficialità, l’altro burbero, poco flessibile…come quando pretese la squalifica dell’esordiente Panatta per come si era comportato a Zagabria in Davis compromettendo l’esito del match dopo una serie di reazioni maleducate. Sirola, da istriano nei confronti della ex Jugoslavia, non poteva sopportare di poter essere in qualche modo corresponsabile di quelle. Pietrangeli si sarebbe guardato bene, dal prendere posizioni così radicali. E quando ci fu da sostituire Sirola, ormai inviso a Panatta e reo di aver consentito al ceco Kukal a Grugliasco di recuperare dai crampi che avrebbero potuto dar partita vinta a Mimì Di Domenico, per eccesso di FairPlay – Mimì perse incredibilmente la partita e con lui anche l’Italia – tutti se la presero con Sirola e, dopo un brevissimo interregno di Giordano Maioli quale capitano, proprio Nicola Pietrangeli diventò per una prima volta capitano di Coppa Davis (soltanto per un anno;  nel ’73 gli subentrò Fausto Gardini, eppoi nel ’75-’76 tornò Nicola, capitano per 11 incontri complessivi). Nicola dimostrò amicizia ad Orlando in quei frangenti? Mica tanta. Ma forse Orlandone, il gigante buono, non se ne sorprese granché.

Fra Fausto Gardini e Nicola Pietrangeli, un milanese pragmatico e un romano da “dolce vita”, non poteva esserci vera amicizia. Ma anche fra Fausto Gardini e Beppe Merlo non ce n’era tanta. E’ rimasto storico l’episodio di Merlo colto dai crampi nella finale degli Internazionali d’Italia 1955: altro che Djokovic e Murray! Gardini mentre Merlo era sdraiato a terra, cominciò a saltargli davanti e ad invocare il ritiro all’arbitro dell’epoca (“Il tennis deve essere continuo” citava la regola d’allora, altro che MTO!). Questi, mentre il povero Beppino si contorceva dal dolore, fu costretto a decretare il suo forfait. Il pubblico subissò di fischi Gardini, ma nell’albo d’oro di quell’anno figura e figurerà per sempre il suo nome e non quello di Merlo che aveva avuto la partita in mano. Così, anche se Murray era avanti 2-0 nel quarto e Djokovic sembrava in crisi spaventosa, nell’albo d’oro dell’Australian Open figura nell’anno del Signore 2015 per la quinta volta Novak Djokovic e per zero volte Andy Murray, sconfitto per la quarta volta in finale…con il rischio che i ragazzi del 2040 scorrendo l’albo d’oro del solo Australian Open dicano quel che si dice oggi di Fred Stolle, tre volte consecutive finalista a Wimbledon e sempre battuto: “Doveva essere un grande perdente!”. Che poi Stolle abbia dominato un US Open nel ’66 (finale su Newcomb) e un Roland Garros nel ’65 (su Tony Roche) nessuno pare tener conto. Speriamo che nel 2040 si ricordino che Andy Murray ha vinto i due Slam di più grande caratura, Wimbledon 2013 (77 anni dopo Fred Perry, quello delle magliette con l’alloro)” e US Open 2012! Più eventuali altri Majors…

Ma per via dell’Australian Open e “per essersi distratto”, anche Andy Murray rischia di esser ricordato come un grande perdente a meno che nei prossimi anni non centri un bel po’ di  Slam. Con l’inevitabile declino anagrafico di Federer, gli acciacchi ricorrenti di Nadal, è possibile che i due coetanei separati alla nascita (nell’87) da una sola settimana, si ritrovino davanti in diverse finali, soprattutto su campi non in terra battuta. E’ pensabile che Andy e Novak diventino più amici? Io dico di no. Almeno finchè saranno rivali e avversari.

Per tornare al tennis di casa nostra  fra Sirola, Gardini, Pietrangeli e Merlo, nessuno era davvero super-amico dell’altro. E fra i loro eredi? Panatta e Bertolucci erano amicissimi e Barazzutti e Zugarelli fecero quadrato dall’altra parte, ma i fatti dicono che poi Barazzutti ha percorso la sua carriera federale e Zugarelli non se l’è filato più nessuno, ivi incluso lo stesso Barazzutti che forse una mano avrebbe potuto dargliela se più che un vero amico in Tonino non avesse soprattutto trovato un alleato per contrastare in qualche modo Adriano e Paolo. Fra questi ultimi due beh, l’amicizia c’era – seppur Adriano se la legò al dito quando, silurato dal presidente federale Paolo Galgani (che non ha combinato meno guai di Binaghi), Bertolucci accettò il ruolo di capitano che era stato di Adriano e che diversi altri interpellati avevano rifiutato per non prestarsialle operazioni politiche di Galgani. L’incrinatura fu così pesante che quando con la gestione Binaghi fu fatto fuori Bertolucci per nominare capitano Barazzutti – e ciò  sebbene Corrado fosse inviso alla stragrande maggioranza dei giocatori – Panatta (che aveva contribuito alla elezione di Binaghi prima di litigarci pesantemente anche nelle aule dei tribunali, come tutti sanno) non mosse un dito lì per lì in difesa dell’amico Paolo.

Ma poi l’amicizia naturale fra Paolo e Adriano, il primo nativo di Forte dei Marmi, il secondo a lungo lì residente, ha preso il sopravvento. Ma, in quel caso, Adriano e Paolo, con il secondo che poteva dare l’impressione di essere un po’ vassallo del primo, non erano veri rivali. Barazzutti, friulano tignoso e testardo come pochi, aveva soppiantato Bertolucci come secondo singolarista di Davis e quindi il vero rivale di Adriano era lui. E lo battè anche in finale agli Assoluti (gara che a quel tempo contava assai). Bertolucci divenne decisivo per il doppio, ma mai così decisivo come uno che doveva giocare due singolari. Mah, in questo excursus semi-storico, mi sono un po’ perso, riguardo al discorso “Campioni rivali…ma amici si può?”, però un po’ di legna sul fuoco perchè i lettori ne discutano forse – sia pure in maniera confusa (ho scritto a tempo record: Voltaire diceva “Scusate se ho scritto troppo a lungo, se sono stato troppo prolisso, ma avevo poco tempo”) -sono riuscito a metterla. Buona lettura e, mi raccomando, buoni commenti (avevo fatto un sacco di refusi scrivendo in semi-oscurità sull’Ipad, e me ne scuso con i primi lettori. Ora qualcuno dovrei essere riuscito ad eliminarlo.

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