Raonic avvisa Wimbledon «Tanto vale vincere subito» (Piccardi), Non solo Federer. Wimbledon vede la nuova Hingis (Clerici), Nole, Roger e Rafa 40 anni dopo mito Ashe. Al via oggi il più prestigioso torneo del mondo di Tennis (Lombardo), The Championships. Tradizione fa rima con innovazione (Merli)

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Raonic avvisa Wimbledon «Tanto vale vincere subito» (Piccardi), Non solo Federer. Wimbledon vede la nuova Hingis (Clerici), Nole, Roger e Rafa 40 anni dopo mito Ashe. Al via oggi il più prestigioso torneo del mondo di Tennis (Lombardo), The Championships. Tradizione fa rima con innovazione (Merli)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Raonic avvisa Wimbledon «Tanto vale vincere subito»

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 29.06.2015

 

Le «giovani pistole» fremono: «Il destino è nelle nostre mani» 99 Il top player colto Mi piace imparare, ho visitato tutti i musei di New York, ora voglio vedere quelli italiani Young guns, li chiamano. «Giovani pistole». Milos Raonic, 24 anni, montenegrino di nascita e canadese d’adozione, 196 centimetri di nitroglicerina pura e pronta ad esplodere, figlio di ingegneri e nipote dell’ex ministro dello sviluppo economico del governo di Podgorica, dorme con il dito appoggiato sul grilletto. Sei titoli all’attivo, una vittoria eccellente su Federer, la finale del Master l’anno scorso. Dei top-lo è il più giovane: «Non sono lontano dal vertice, non mi pongo limiti» dice con una voce ancora in cambiamento, che alterna bassi baritonali ad acuti spassosi. Appena rientrato da un infortunio al piede (asportazione del neuro-ma di Morton), da n.9 del mondo (ma a maggio, prima dello stop, era n.4), insieme a Kei Nishikori è Milos la racchetta più bollente sull’erba di Wimbledon, al via stamane, ma con un vantaggio rispetto al giapponese: semifinalista a sorpresa l’anno scorso, Raonic i prati di Church Road li conosce come le sue tasche. Milos, intanto sveliamo un mistero: la manica solitaria… «Nessun vezzo, nessuna malattia misteriosa. A Miami, nel 2014, mi beccai un eritema solare. D dottore mi prescrisse la maglia a maniche lunghe ma faceva troppo caldo. Sono un grande fan dei Toronto Raptors e mi sono ispirato all’Nba: una manica sciolta, da togliere e mettere per proteggere il bracdo. La cosa divertente è che, insieme al servizio, è diventata un marchio di fabbrica». Come si arriva a Brampton, Ontario, dal Montenegro? «Nei primi anni go mamma e papà trovarono lavoro in Canada e lasciarono l’ex Yugoslavia. lo avevo 3 anni. Scoprii il Paese delle grandi opportunità: mi allenavo alle 6 di mattina con la macchina spara-palle perché a quell’ora era meno costoso…». Come Agassi a Las Vegas. «Conosco la storia del tennis e ho letto la sua biografia, dalla quale il tennis esce tutt’altro che bene. Però non direi che le nostre storie si somigliano». Le sue radici dove sono? «In Canada. Ho pochissimi ricordi di Podgorica da bambino e nessuna memoria nostalgica. Momir e Jelena, i miei fratelli, sono tornati a vivere in Montenegro e io vado a trovarli a Natale. Tutto qui». Dicono che Raonic è il top player colto, che va per musei «Leggo molto: biografie di atleti e businessman. Ho divorato quelle di Steve Jobs e Mike Tyson. Mi piace imparare, dalle persone e dai luoghi. I musei di New York li ho visitati tutti più volte e mi riprometto di organizzare un periodo senza tennis in Italia: i Musei Vaticani a Roma, gli Uffizi a Firenze, la Pinacoteca a Milano… Voglio vedere tutto: con la guida, per farmi spiegare». Troppo tennis per permettersi una vacanza. «Eh, se voglio crescere devo darci dentro. L’obiettivo è diventare il migliore e restarlo a lungo». Auguri. ovvio che per essere il numero i devo vincere gli Slam». Cosa le consigliano i suoi coach? «Riccardo Piatti e Ivan Ljubicic, Che da voi è di casa, sono le mie radici italiane. Mi conoscono bene e assecondano le mie ambizioni. Con la sua enorme esperienza da allenatore Riccardo mi tiene con i piedi per terra. Ivan è stato un fior di tennista: sa cosa attraverso durante un match e sa consigliarmi per il meglio». L’idolo assoluto? «Pete Sampras. Come lui non c’è nessuno». L’ha conosciuto? «Nel 2011, al torneo di San José, in. California. Mi diede un consiglio che non ho più dimenticato: sei un campione solo se dai il meglio anche quando non sei al meglio»…..

 

Non solo Federer. Wimbledon vede la nuova Hingis

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 29.06.2015

 

Pensavo a tante cose, questa mattina, inoltrandomi sul marciapiedi, tra i campi del golf appena appena recintati, e i solidi muri forniti di fil di ferro e spunzoni, che impediscono l’ingresso alle previlegiate seggioline del tennis. Ero arrivato sino all’England Tennis and Croquet Club concedendomi un taxi e, mentre facevo la coda per i controlli, mi era venuto in mente il mio amico di tante cene insieme a Missoni, Enzo Biagi, che Brera e io avevamo, non del tutto scherzosamente, nominato professore. Come fai – gli avevo chiesto una sera – come fai a sapere tutto, quando vai in un posto difficile, dove magari c’è una guerra?». »Facile. Parlo con il tassista». Ero in coda – dicevo – e vedevo i ragazzini in divisa frugare tra i computer e qualche notes, oggetto ormai superato. Guardavano un tantino, poi sorridevano, e aprivano un nuovo zainetto. Nessun metal detector, osservavo, e insieme pensavo che non conosco il nuovo presidente di Wimbledon, mentre ero stato amico, o almeno in buoni rapporti, con tutti i precedenti . Insieme a ciò, mi veniva in mente quanto mi aveva detto l’autista, un pachistano che conosco da anni, uno che ha fuggito la fame, per diventare non meno inglese degli inglesi. Sono così impressionato dalle recenti iniziative dell’Isis, che gliene avevo chiesto. Mi aveva risposto: .Non fanno altro che mandare mail, in cui si permettono di parlare, sempre a torto, di Maometto, perché nel Corano Maometto dice che non bisogna uccidere. Mandano mail in cui chiedono denaro, e in cui chiedono di andare ad aiutarli, come soldati, o addirittura come mogli, dei soldati. E io so di ragazzi che si lasciano convincere ad andarsene da questo paese civile, e addirittura ragazze, che maga-n saranno violentate. E, recentemente, un mio cliente, un turco, borghese come lei, Mister Clerìci, mi ha detto che quelli dell’Isis hanno ragione, perché fanno fuori i curdi. Insomma, sta diventando peggio di quello che succedeva in Irlanda tra i cattolici e i protestanti». Simili parole divenivano quasi sonore, mentre vedevo i giovanottini in divisa frugare tra i computer e gli ombrelli, immancabili nella prima giornata che giustifica la costruzione di un terzo tetto, in questo antico club, in cui si passavano pomeriggi a guardare il cielo. E mi dicevo che, prima di sera, avrei fatto un salto, io che non sono cattolico praticante, nella chiesa di Saint Mary, a accendere un cero. Superati i controlli, avrei ritrovato la grande organizzazione che rende simile il torneo a una magnifica vacanza, o addirittura un pellegrinaggio, secondo il mio maestro Bassani. Torneo che, ricordo per giustificare le mie divagazioni, ho visto per la prima volta da alunno della seconda elementare, nel 1937, accompagnato da papà e da Lord Hanbury, il Presidente del mio amato Tennis Club di Alassio. Stavo chiedendo spiegazioni sul funzionamento dei nuovi televisori, che offriranno troppe scelte e informazioni utili ai blog, quando mi sono giunte le immagini di una dolente Radwanska . Una che ha sfiorato Wimbledon 2012, presa a pallate da una bambolona che mi pareva la figlia della Hingis. Martina, pur incline ne al doppio misto, non ha avuto bambini, mi sono detto, poi nella stanche circonvoluzioni è apparsa la volta in cui, in Svizzera, avevo visto in campo una giovanissima che dirigeva i capezzoli verso le diagonali del campo, e centrava sempre le righe. E, improvvisamente, la televisione inquadrava, a bordo campo, proprio una Martina entusiasta, nel ruolo di madre putativa, di coach, di madrina, non so dirvi. Posso però dire che, per rifilare un 6-0 al terzo a una Radwanska disperata, bisogna essere qualcuno, qualcuno capace di somigliare alla Hingis dei tempi felici. E penso che bisognerà seguire questa Belinda Bencic, nuova svizzera di lusso, nell’avventura di Wimbledon 2015.

 

Nole, Roger e Rafa 40 anni dopo mito Ashe Al via oggi il più prestigioso torneo del mondo di Tennis

 

Marco Lombardo, Il giornale del 29.06.2015

 

Nel ’75 primo storico trionfo di un atleta di colore. Federer: «Mi ha ispirato» Marco Lombardo Quarant’anni fa Wimbledon ha fatto la storia e quella storia oggi è una delle tante attaccate ai muri del tempio delle racchette. Se è vero che Wimbledon è il Vaticano del tennis così come lo ha definitolo scriba Gianni Clerici -, solo qui poteva essere quella volta che un nero battè un bianco sul verde più verde che c’è. E quella volta fu appunto quarant’anni fa. Artur Ashe, il nero che fece la rivoluzione, sapeva che solo in quel posto avrebbe potuto scrivere qualcosa di immortale e fu così che si presentò all’edizione del 1975 convinto di potercela fare: «Adesso che viaggiamo come una troupe di cani ammaestrati – diceva – e facciamo venti volte il giro del mondo in un anno, è una cosa incredibile ritornare per 15 giorni in un luogo in cui tutto funziona con amore. Darei un annodi vita, magari una mano, purdi farcela a vincere il torneo. È un posto incredibile, un posto dove tutti dovremmo vestirci puliti, di bianco. Se già non ci fosse quella re- gola». Già insomma, predominantly white, e quell’anno – arrivato in finale dopo aver sconfitto il futuro re Bjorn Borg Ashe si ritrovò davanti il rampante Jimmy Connors, che un anno prima gli aveva fatto causa per via di un’esclusione dal Roland Garros e per il fatto che Ashe fosse il presidente dell’associazione giocatori. Figuratevi che roba: agli inglesi, tazzina del the in mano, queste storie piacciono parecchio e nonostante i bookmakers lo dessero largamente sfavorito (Ashe aveva nove anni in più di Jimbo), il nero mosse e vinse tra il delirio degli spettatori. «È stata più che una partita di tennis – asserì poi lo storico del gioco John Barrett -, è stata la più grande prova di intelligenza su un campo che io abbia mai visto». Connors colpiva piatto e furente, Ashe si era studiato tutto e ribatteva liftato e furbo. Finì 6-1, 6-1, 5-7, 6-4: scacco in quattro set. La Storia. Quarant’anni dopo Wimbledon non è cambiata e da oggi vuole raccontare un altro capitolo. C’è chi lo ama e c’è anche chi lo odia, però è l’unico torneo in cui tutto è rimasto al suo posto. Si comincia di lunedì, ci si riposa la domenica di mezzo, nella prima settimana si giocano i primi tre turni, il secondo lunedì tutti gli ottavi e poi ci si alterna tra donne e uomini. Nulla cambia, se non fosse che quest’anno sono state chiaramente abolite le suo- le colorate (ci aveva provato Federer) e pure i bastoni per i selfie. Wimbledon dunque cerca ancora i suoi leader e i nomi sono sempre gli stessi: Serena Wiliams o Maria Sharapova tra le donne, i Fab Four tra gli uomini con Wawrinka – vincitore a Parigi – che sull’erba fatica a inserirsi. Pronostici? Il papà di Djokovic dice che suo figlio Novak diventerà il più grande di tutti i tempi, Nadal se ne è tornato prima del torneo a Manacor per rilassarsi col golf, Murray ha lodato il suo anno di lavoro con Amelie Mauresmo («e siamo passati attraverso momenti bui per arrivare qui in piena forma»), Edberg lancia il suo protetto Federer verso l’ottavo titolo: «Ce la può fare, è in grande forma». Il quale Roger chiosa così: «Ho visto Ashe solo in un documentario, purtroppo non ho potuto conoscerlo. Ma so che è una persona che ha ispirato tante persone, anche me. Era un leader».

 

The Championships. Tradizione fa rima con innovazione

 

Alessandro Merli, il Sole 24 Ore del 28.06.2015

 

“Tennis in an English garden”. Il tennis in un giardino inglese: non c’è titolo più rétro per il piano che delinea il futuro di un circolo e di un torneo che da un bel pezzo hanno passato i cento anni. Ma il circolo è l’AllEnglandLawn Tennis and Croquet Club e il torneo è semplicemente The Championships.

La sua moneta, dicono, è la tradizione: l’edera rampicante sul Centre Court, le seggioline verdi del Royal Box, il falco Rufus che ogni mattina volteggia per un’ora sui campi a tener lontani i piccioni, che non disturbino la crescita dell’erba di segale dei campi, la “queue”, la fila notturna per accaparrarsi gli ultimi biglietti, e, naturalmente, le fragole con panna rigorosamente del Kent.

Ma il campo centrale dal 2009 ha un tetto retrattile nuovo di zecca, a tener fuori quel visitatore immancabile che è la pioggia, e dal 2019 lo avrà pure il campo numero 1, uno strano disco volante appoggiato sui prati. Nel Royal Box siedono più celebrities che esponenti dell’aristocrazia. Il falco che conta è Hawkeye, l’occhio elettronico per individuare i falli. La queue ha una sua app. E le fragole con pannavengono ingurgitate al ritmo di 28 tonnellate in due settimane, in quella che è una delle più colossali operazioni di catering d’Inghilterra.

Dietro la facciata della tradizione, Wimbledon resta grande soprattutto per aver continuamente reinventato se stesso, anche a costo di non sembrare più quella che era, ma con la capacità di vendersi come un tempio immutabile. Una capacità finanziaria raffinata (nel consiglio siede niente meno che l’ex governatore della Bank of EnglandMervyn King, oggi Lord King of Lothbury), che consente di produrre un gigantesco utile, che il club chiama pudicamente “surplus”: 32 milioni di sterline, quasi 45 milioni di euro, nel 2014. Anche se in calo rispetto al record di due anni prima, di 37,7 milioni di sterline, si tratta di una cifra ragguardevole, girata ogni anni alla federazione britannica per produrre, finora senza successo, i prossimi Andy Murray. Sono i proventi dei diritti tv, dei biglietti, del merchandising in verde e viola, cioè i colori del Club, delle 13 “forniture ufficiali” (fra cui l’italiana Lavazza, diventato ormai il caffè degli Slam, anche al Roland Garros e allo Us Open), delle debentures, le obbligazioni che non pagano altro interesse che un paio di biglietti per ogni giorno dei Championships.

Poi ci sarebbe il tennis. I tradizionalisti sognano l’ottava di Roger Federer, che è tonico e rilassato e viene dal successo nel suo giardino di casa, quello della bomboniera di Halle in Germania. Avrà la resistenza sui cinque set per due settimane? Al numero due del tabellone, re Roger resta dietro solo a Novak Djokovic, il campione uscente, che ha accusato una battuta d’arresto a Parigi quando tutti già pronosticavano che avrebbe vinto tutto per tutto l’anno, ma resta il favorito. Stan Wawrinka, il campione del Roland Garros, è il preferito dagli esteti per il suo rovescio, ma sui prati di Wimbledon, almeno fino a che non si trasformano in “erba battuta”, servirebbe anche il gioco a rete. RafaNadal ha vinto a Stoccarda, nella “prima” della stagione dei campi in erba, quest’anno allungata di una settimana, ma, al numero 10, sembra lontano dai giorni migliori. Soprattutto, c’è la voglia matta di Andy Murray di ripetere l’impresa storica di due anni fa. “Mi sento meglio di allora”, dice lo scozzese, che ha avuto una stagione senza precedenti sulla terra e ha vinto il “riscaldamento” del Queen’s. Per i bookmakers è lui il secondo dietro Djokovic e attira le scommesse, e il tifo, del pubblico di casa. Sfatato l’incantesimo di Fred Perry nel 2013, può trasformarlo in un arma a suo favore.

Nel torneo femminile, è difficile scommettere contro Serena Williams. L’americana si prepara al suo personalissimo “Serena Slam”, avendo vinto in successione lo Us Open, l’Open di Australia e il Roland Garros. Va alla ricerca del suo 21esimo titolo nei grandi tornei e del suo sesto Wimbledon, per dimenticare la delusione dell’anno scorso, quando fu sconfitta al terzo turno dalla francese AlizéCornet, ma soprattutto era sembrata sconfiggere se stessa, anche quest’anno il rischio più grave. Da allora non si è più fermata negli appuntamenti che contano. L’ultimo titolo sui prati londinesi risale al 2012, basterà questo per motivarla. La vera minaccia viene dalla campionessa dello scorso anno, Petra Kvitova, con il suo gioco mancino.

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